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Musei
Museo Etnografico Giuseppe Pitrè

Dove si trova
Via Duca degli Abruzzi 1


(foto ©PalermoWeb)

Fu fondato nel 1909 da Giuseppe Pitrè folclorista e studioso di costumi e tradizioni popolari.

E' una dipendenza della Palazzina Cinese e conserva numerose collezioni che spaziano dal costume agli arnesi per la caccia, dai presepi alle insegne, da oggetti sacri a ex voto... da visitare per conoscere a fondo la società e la cultura palermitana.

Cenni storici

Nel 1798 Ferdinando IV di Napoli III di Sicilia (dopo il congresso di Vienna, Ferdinando I delle due Sicilie.), per sottrarsi alla cattura dei francesi, giunse da Napoli a Palermo.

L'aria del Palazzo Reale di Palermo, con tutte le modifiche che re Ferdinando, poté fargli per renderlo piacevole e accogliente, lo soffocava. Infatti, re Ferdinando, preferiva vivere circondato dalla natura della quale ne era appassionato.

In questo modo, tra antichi bagli e casene trasformate in ville per lo svago della nobiltà non solo palermitana, re Ferdinando, nel territorio palermitano, individuò, immersa nel verde, una strana costruzione alla cinese e le sue dèpandance. Tale costruzione fu progettata dall'architetto Giuseppe Venanzio Marvuglia per Benedetto Lombardo giudice della Gran Corte Civile e Criminale.

Re Ferdinando comprata regolarmente la costruzione e l'ampio parco che la circondava fino alle paludi (in seguito bonificate diventando negli anni '20 e '30 un centro balneare molto rinomato, con ville Liberty, prendendo il nome di Mondello.), fece rimaneggiare da Alessandro Emanuele, figlio del Marvuglia, anch'egli architetto, la casina e le sue dèpandance mantenendone le caratteristiche orientali.

Questa bizzarra costruzione prese il nome di Casina alla cinese, con ampio salone, gli appartamenti del re e della regina, terrazza dei quattro venti, scale esterne a chiocciola, giardini all'italiana, capeaus, boschetto e grotte di memoria arcadica, che divenne per il re Ferdinando e Maria Carolina, durante la loro forzata permanenza in Sicilia, la loro "favorita" residenza. Questo modo di dire fece sì che, tutta la tenuta, prese il nome di Parco della Favorita. Il capeaus, il boschetto e le grotte sono stati, in seguito, dati alla cittadinanza diventando la Città dei Ragazzi, luogo di svago, di cultura e d'espressioni artistiche, per bambini, ragazzi e spesso adulti.

Il Parco, circa 400 ettari di terreno, divenne per il re Ferdinando la sua riserva naturale di caccia e di pesca; mentre i giardini, furono dei veri e propri laboratori naturali, dove la passione per l'agricoltura, lo portava a sperimentare l'unione di varie essenze per costituirne delle nuove che oggi sono ancora esistenti.

Nel locale attiguo alla Casina alla cinese, le dèpandance, re Ferdinando, trasferì l'amministrazione della Real-Casa, la cucina (interessante il collegamento della cucina alla camera da pranzo, assicurato da un corridoio sotterraneo, dalla quale si accedeva tramite la scala dalla cucina e con un meccanismo simile a quello del Trianon di Maria Antonietta, la tavola apparecchiata, successivamente, veniva fatta salire al piano superiore.), 

[...il collegamento della cucina alla sala da pranzo già esisteva nella precedente costruzione progettata da G. Venanzio Marvuglia, per conto del giudice Benedetto Lombardo Grazie a degli appunti scritti da Leon Dufourny, m un'occasione di un invito a cena, da parte del giudice Lombardo, abbiamo una descrizione dettagliata di questa dimora Egli, infatti, non manca di descrivere tutti gli annessi, oltre alla descrizione dell'abitazione, che costituivano i servizi geneiah e la cucina Eia esterrefatto dall'eccezionale idea distributiva della cucina " segregata" dall'edificio residenziale II collegamento nacque per evitare la circolazione di cuochi e di sguattere, nelle stanze nobiliari...]

la scuderia, la stalla, i vari quartini per gli alloggiamenti della servitù, botteghe artigiane, il cortile detto della "strigliata" ed infine la Cappella.

La Cappella (situata a sinistra dell'ingresso principale delle dèpandance) palizzata intorno al 1803-1804, di perimetro quadrato all'esterno, mentre l'interno è a pianta circolare con fascia anulare, presenta otto colonne con nicchie e passetti. Tramite una galleria si entra al piano superiore dove la famiglia reale poteva assistere al rito religioso. Le otto colonne sostengono un architrave circolare che a sua volta sostiene la cupola a sesto depresso. Questa cappella è particolarmente indicativa perché innovativa nell'architettura siciliana poiché dimostra una sintesi dell'uso del linguaggio classico. L'esterno è molto semplice e bilanciato, rispecchia il perimetro quadrato formando così un cubo, forma geometrica pura, dove è evidenziato l'asse principale dato dalla porta e dalla finestra sovrastante. La cupola emerge sopra un anello gradonato, al centro s'innalza un pinnacolo formato da otto ombrellini in rame.

Al lato destro dell'ingresso principale delle dèpandance, troviamo una costruzione dallo schema semplice ma mascherata da elementi decorativi, drappeggi, da farla apparire ricca e complessa, tutto ciò la fa assomigliare ad una tenda esotica di un accampamento militare.

Nel 1927, su concessione dello Stato, tutto il complesso dei servizi (dèpandance), la Casina cinese e il Parco della Favorita, furono restituiti al Comune di Palermo.

"La storia degli umili, dei dimenticati, la storia del vero popolo; storia politica, letteraria, naturale, religiosa, sempre assistita accanto a quella ufficiale, ma mai degnata, fino ad allora, di considerazione. " ...Così scrisse Giuseppe Pitrè, 

[...Giuseppe Pitrè, nato a Palermo nel 1841 e morto nel 1916, medico demopsicologo studioso di tradizioni popolari, dedicò tutta la sua vita alla ricerca della cultura e tradizione siciliana...] 

che nel 1910, grazie ai suoi studi e ai cinquantanni di raccolta minuziosa e d'indagine delle testimonianze culturali del popolo siciliano (un patrimonio dove si fondevano elementi di vita e di cultura), fondò, (nelle quattro sale dell'edificio scolastico dell'Assunta in Via Maqueda), il primo Museo Etnografico Siciliano.

Già nel 1881, per l'Esposizione Industriale di Milano, Giuseppe Pitrè, grazie alla sua passione, organizzò una mostra con costumi e utensili siciliani i quali costituirono in seguito, il primo nucleo di raccolta del Museo Etnografico Siciliano.

Nel 1891-1892 in occasione dell'Esposizione Nazionale Italiana tenuta a Palermo, G. Pitrè espose oggetti relativi ai costumi e agli usi comuni del popolo siciliano. Molti di questi oggetti, furono nuovamente esposti nel 1902 in occasione dell'Esposizione Agricola, tenutasi a Palermo.

Per una facile lettura degli oggetti esposti nell'Esposizione Nazionale Italiana, G. Pitrè scrisse " Mostra Etnografica Siciliana" un catalogo articolato da nove capitoli che accompagnava e illustrava la mostra. La descrizione degli oggetti era supportata da dei disegni, i nove capitoli rappresentati e illustrati sono: Costumi; Oggetti d'uso domestico; Pastorizia, agricoltura, caccia; Veicoli; Alimenti; Spettacoli e feste; Amuleti, ex voto, oggetti di devozione; Giocattoli e balocchi fanciulleschi; Libri e libretti che il popolino siciliano legge o si fa leggere. Il Museo Etnografico Siciliano situato in quei pochi locali di Via Maqueda, ben poco si prestava ai 4.000 "oggetti" che G. Pitrè aveva minuziosamente trovato, curato e catalogato; poiché, oltre agli oggetti, aveva raccolto innumerevoli libri, presepi e cartelloni disegnati dell'Opera dei Pupi dove le gesta dell'Orlando Furioso, e altre storie, attraverso la vivacità dei disegni e dei colori venivano raccontate. G. Pitrè, infatti, poté solo aumentare la sua ricerca introducendo sempre più oggetti che man mano andava trovando e che in qualche modo raccontassero la civiltà siciliana, ma non riuscì mai a dar loro una giusta sistemazione per essere così ammirati nel loro giusto splendore.

Il desiderio di G. Pitrè, era quello di poter avere un luogo naturale dove gli oggetti da lui raccolti potessero ancora "vivere". Infatti, egli, immaginava il Museo Etnografico in un ambiente speciale, possibilmente immerso nella natura, in modo tale che gli "oggetti" al contatto di essa, potessero prendere vita, cioè rinascere, ricrescere e nuovamente morire nei ricordi di ogni osservatore. In questo modo si crea un ciclo continuo, dove gli elementi della vita, si fondono con quelli della cultura assumendo così nel tempo, un alto valore storico. Questo desiderio G. Pitrè non riuscì mai a realizzarlo a causa della sua morte nel 1916.

Dal 1916 al 1933, il Museo Etnografico, non avendo più l'interesse del suo ideatore, non fu più curato e le collezioni furono abbandonate.

Solo nel 1934 il comune di Palermo diede a Giuseppe Cocchiara (1904-1945), allievo di G. Pitrè, la direzione del Museo e l'incarico di riordinare tale collezione.

Giuseppe Cocchiara, conoscendo la volontà del suo maestro e condividendo che tale collezione non poteva essere ammirata e consultata se non fosse stata collocata in un altro posto degno e più vasto, cercò di trovare una sede più consona.

Dopo tanto cercare si accorse che la sede più idonea per ospitare definitivamente l'allestimento era la Casina alla Cinese con annessa la dèpandance, abbandonata al suo splendore. E così nel Gennaio del 1935, il Ministro, cedeva al Comune di Palermo, la Casina Cinese e le sue dèpandance. Nelle dèpandance fu allestito il Museo Etnografico Siciliano, prendendo il nome del suo fondatore " Giuseppe Pitrè".

Giuseppe Cocchiara, avendo avuto la direzione del Museo, curò l'assetto definitivo dell'allestimento e scrisse " La vita e l'arte del popolo siciliano nel Museo Pitrè" , che oltre ad essere un catalogo delle collezioni, nella sua introduzione, spiega quali siano state le ragioni della scelta della collocazione del Museo nelle dèpandance della Casina Cinese, scrivendo:... "L'idea di sistemare il Museo Pitrè in queste dèpandance, sorse primo fra tutti il desiderio del mio maestro, poi la particolare ubicazione delle suddette in un parco immenso e suggestivo, qual ' è quello della Favorita. Un Museo Etnografico, che non è un Museo Archeologico o una Galleria d'Arte, deve vivere in ambienti speciali che sorgano, possibilmente, in aperta campagna, ove più splende la bellezza della natura, ove più immediato è il contatto con la vita delle piante. Un Museo Archeologico accoglie oggetti "morti ". Vivi e palpitanti di vita sono gli oggetti che accoglie un Museo Etnografico. [...]". Per G. Cocchiara la collocazione del Museo nelle dèpandance della Casina Cinese e il Parco della Favorita aveva molteplici funzioni, cioè doveva divenire un luogo di cultura e di indagine, luogo di cultura pubblica dove l'uomo poteva servirsene per le sue esigenze spirituali.

[...] "Il Museo non è ordinato nelle sale, ma nella mente del visitatore [...]" in altre parole, come scrive Cocchiara, diventa un'attività o una conclusione di studi, deve soddisfare sia il visitatore profano, sia utilizzarlo per scopi turistici, ma soprattutto deve essere una guida a coloro che vengono per motivi di studi.

In questo modo G. Cocchiara anticipa di ben trentacinque anni, i Musei "en plein air", i centri di ricerca, i laboratori, le strutture in progress, i luoghi di ricompensazioni delle trame storiche sociali, tecniche d'allestimento e di studio mirati non solo alla facile fruizione del "visitatore" ma anche all'immediata conoscenza concettuale di ciò che è esposto.

Cappella

All'interno della cappella, oltre al valore architettonico della stessa, sono esposte due modelli per il Carro di Santa Rosalia.

Uno progettato nel 1896 e realizzato nel 1914, alto un metro e 65cm. e lungo 95cm., è costruito in legno a forma di scafo; di alto valore artistico è minuziosamente decorato con stucchi dorati e colorati a forma di testine, ghirlande e fogliame, statuine di angioletti e immagini della patrona della città.

L'altro modello costruito anch'egli in legno a forma di uno scafo, ricoperto con festoni di stoffa con angeli e al centro un tributo innalzato con la santa, non fu mai realizzato. Carta dei valori associativi

Le collezioni

La sistemazione delle collezioni è così articolata:

Carretti e Bordature, attualmente collocati nel corridoio situato all'ingresso del Museo.

In questo allestimento sono esposti i più bei esemplari dei carretti siciliani, sono anche esposti all'interno della stessa sala per motivi di ristrutturazione, delle carrozze e delle portantine.

Casa e Pagliaio, Filatura, Tessitura, Arredi e Corredi, (prima, seconda e terza sala)
Fuculareddu miu! Casuzza mia, tu sì a reggia e sì batìa! E' così che il popolo siciliano si è tramandato da generazione a generazione questo canto popolare, dove vede la sua casa come una reggia dove si alternano gioie e dolori.

La prima sala, infatti, raccoglie alcuni archetipi di costruzioni, che illustrano, attraverso le varie dominazioni cui è stata sottoposta la Sicilia, l'evolversi delle abitazioni, dal pagliaio alla dimora recente. Nella seconda e terza sala sono raccolte fusi, arcolai, rocche, campioni di tessuti; tutta l'arte del tessere e del ricamo che in Sicilia ancora è un'arte e che le macchine dalla produzione in serie, non ha distrutto.

Costumi popolari, Costumi albanesi quarta sala
In questa sala sono raccolti i vari costumi siciliani sia d'uomini sia di donne dove la cultura siciliana è evidenziata, dai vari tipi d'abiti: abito da lavoro, abito per la festa patronale e per la domenica e abito per le cerimonie nuziali. La caratteristica di questi abiti specialmente quelli femminili, sono la presenza di merletti e di ricami. Stupendo il costume tradizionale di Piana degli Albanese del XIX secolo: gonna di seta rossa ricamata a bande con fili d'oro, camicia di pizzo bianco, busto in velluto nero, mantellina di seta celeste con grossa filettatura ricamata con fili d'oro; particolare è la cintura di rame argentato, dove al centro uno scudo racchiude la raffigurazione di San Giorgio che uccide il Drago.

Ceramica popolare, Ceramica grezza o arte figulina, quinta, sesta, settima e ottava sala
" Vonn' esseri di crita li pignatti, pi fan li minestri sapuriti" ... così venivano decantate le ceramiche grezze (solo di terracotta), prive di decorazione, oggetti d'uso che facevano parte della vita quotidiana siciliana. La ceramica popolare, invece, veniva dipinta, la caratteristica è che ogni paese aveva le sue decorazioni (le ceramiche di Caltagirone, le ceramiche di Santo Stefano di Camastra, ecc...), Interessanti e d'alto valore artistico sono le lucerne a figura umana.

Cortile detto della strigliata sono esposti, tempo permettendo, alcuni degli splendidi carretti siciliani. 

Angolo della cucina tradizionale siciliana con i relativi utensili, nona sala

Magia e religione, decima sala
La magia e la religione due credi lontani ma nello stesso tempo vicini, entrambe vicino all'uomo sia per credenze popolari sia per fede. Una illude d'avere sulla natura e sulle cose un dominio; mentre l'altra ti fa credere che la natura e le cose che ci circondano, sono solo dei tramiti che ti aiutano al passaggio dalla vita terrena a quello celeste. In questa sala, infatti, sono raccolti oggetti dove il sacro e il profano s'alternano. 

Ex voto, miracoli, undicesima sala 
Interessante, in questa sala, sono raccolti degli oggetti chiamati i miracoli di cera e le tavolette votive. Gli oggetti esposti, sono il risultato straordinario delle tendenze artistiche dell'epoca e la magistrale maestria degli artigiani siciliani che riuscivano con poco a realizzare delle opere di un elevato valore artistico. 

Pani e dolci festivi, dodicesima sala
In questa sala sono documentate con un'impronta magica-religiosa i pani e i dolci festivi; vi sono pure degli oggetti che attestano e raffigurano, quanto il popolo siciliano sia molto vicino alla fede e ai riti religiosi.


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