1800. Mondello flagellata dalla
malaria. Innalzata da 300 forzati una duna di tre metri per arginare le acque
putride. Nel 1887 la spiaggia rischiò di essere eliminata !
di Lelia Collura
La bonifica di Mondello, paludoso e
insano luogo, dove la popolazione moriva di malaria, costituì un serio e
annoso problema per gli amministratori della città di Palermo del XVIII
e del XIX secolo. Già al tempo di Ferdinando II si erano cercate
soluzioni per arginare il diffondersi della malattia. Nessuno aveva
individuato il nesso tra la zanzara anofele, che viveva e si riproduceva
abbondantemente nella zona umida dei pantani, e il diffondersi delle
febbri intermittenti; piuttosto si ritenne per decenni che la causa di
ciò fosse da ricercare nei miasmi provocati dai processi di
decomposizione di sostanze organiche che si sviluppavano quando acque
dolci e acque salate venivano a contatto. Fu così che il primo tentativo
di bonifica promosso durante il periodo borbonico fu quello di tentare
di arginare la miscela delle acque innalzando una duna, alta m.2,50, di
sabbia, pietre e terra, proprio al limitare della battigia. Le opere,
secondo quanto riporta il Villabianca costarono L. 12.750 e furono
realizzate in 4 mesi con il concorso gratuito di 300 forzati. A memoria
dei lavori venne anche posta una lapide monumentale, distrutta poi
durante i moti del 1848 che portava scritta la seguente iscrizione:
D.O.M. Ferdinando Borbonio Imperante, Joanne
Fogliani Prorege, Exiccatis hic stagnis Aeris salubritati consultum
Reipubblicae Gubernacula tenentibus Vincentio La Grua Talamanca,
Innocentio Muzio, Vincentio Parisi, Carolo Vanni, Ferdinando Logerot,
Rosario Lo Guasto, Joanne Guasconne anno MDCCLXXIII.
Restò del tutto immutata la morfologia
della zona a monte della duna, caratterizzata da isolette e canali dove,
per volontà degli amministratori della casa reale, vennero impiantati
vigneti e altri tipi di coltivazioni che richiedevano replicate
sarchiature, nella speranza che "quelle terre si scaricassero, per mezzo
dell'evaporazione, della umidità soverchia e non permettessero la
vegetazione dei fatali germi specifici della malaria". Ma proprio tra i
contadini si ebbero le più numerose vittime dell'epidemia tanto che
successivamente, con apposito provvedimento, se ne proibì la
coltivazione.
Dal 1826 al 1837 la Real Casa
Borbonica finanziò un altro tentativo di bonifica con la creazione di
una fitta rete di canali, molti dei quali
rivestiti di muratura impermeabile, con profondità e larghezza
differenti, che avevano lo scopo ai raccogliere ie numerose polle
d'acqua che sgorgano nel fondo del bacino e versarle a mare attraverso
un collettore di raccordo che sfociava alle due estremità del golfo:
Mondello e Punta Celisi. La terra derivante dallo scavo dei canali servì
a rialzare la superficie delle isolette, ma l'effetto finale a lavori
conclusi fu ugualmente quello di un acquitrino e quindi secondo le
convinzioni dell'epoca "adatto alla produzione di germi malarici".
Nel 1860 la malaria ebbe
un'impennata. A quel tempo vivevano nel
cosiddetto Comune riunito di Mondello-Partanna e Pallavicino 2948
persone. Da uno studio condotto dal prof. F. Maggiore-Perni, relativo al
movimento della popolazione di Palermo e delle borgate (ventennio
1862/1881), si evince che la zona colpita dall'infezione subì un
decremento della popolazione dovuto certamente al diffondersi della
malattia ma anche alla fuga di molti abitanti verso zone più salubri.
Nel 1864
una Commissione Municipale appositamente costituita riprese i lavori di
impermeabilizzazione dei canali, cercando così di prosciugare le
isolette e agevolare il deflusso a mare, delle acque dolci affioranti.
Qualcuno, inoltre ipotizzò di impiantare nelle stesse un prato
permanente di erba medica o del lollium perenne.
Anche Fanno successivo e fino al 1868
la malattia imperversò con violenza; il Municipio di Palermo spese, ogni
anno, L.8.000 per medici straordinari e sussidi agli ammalati. Per far
fronte all'epidemia e cercare di debellare la malsania di Mondello, fu
chiesto l'aiuto del governo centrale che diede incarico al dr. Pareto di
trovare una soluzione, mentre da parte sua il Municipio si sobbarcò
l'onere di spurgare, ancora una volta i canali.
Secondo le descrizioni dell'epoca,
sul finire dell'800 "la piana di Mondello era caratterizzata da un vasto
bacino idrografico chiuso dai monti da tre lati e chiuso dal lato del
mare da una spiaggia sottile ma di materiale compatto". Nonostante la
gente si ammalasse e morisse di malaria, il terreno era fertile e in
quella ubertosa contrada, prosperava la coltura delle esperidi (cioè
degli agrumi). "Nel bacino si versavano, oltre le acque piovane dei tre
monti, larghe falde di acque latenti e sgorgavano dal fondo miriadi di
vene idriche, e le acque salendo alla superficie costituivano un vasto
terreno acquitrinoso di circa 400mila mq." I canali realizzati per
smaltire le acque, in realtà si erano dimostrati inadeguati mentre la
duna borbonica, proteggendo la spiaggia dai marosi aveva consentito la
crescita di "una rigogliosa vegetazione di frutici e sufrutici"
(arbusti).
L'ing. Pareto nel 1870
inizio a studiare il sistema idrologico di Mondello ma non propose nulla
di nuovo. Progettò infatti di aumentare il numero dei canali, rialzare
la duna, e realizzare opere per impedire che le acque del mare si
infilassero nei canali. Immaginò inoltre l'utilizzo di una macchina
idrovora, alimentata a vapore, da collocare nel punto più depresso della
piana, grazie all'azione della quale riteneva possibile prosciugare
l'acqua stagnante che proveniva dalle soprastanti colline e dai numerosi
pozzi che si trovavano nel podere del principe di Scalea e in tutta la
periferia del bacino.
Anche il prof. Michele Capitò,
esperto di idraulica, elaborò una sua teoria. Egli si convinse che il
maggiore apporto di acque dolci nella piana di Mondello provenisse da un
canale sotterraneo che da Bellolampo, attraverso Tommaso Natale e il
podere del principe di Scalea, raggiungeva il golfo in prossimità della
spiaggia e lì ristagnasse a causa del sottosuolo argilloso. Ipotizzò
quindi la realizzazione di una diga capace di deviare l'acqua
sotterranea. La diga avrebbe dovuto sorgere nei pressi della montagna
Inserra e avrebbe avuto il duplice effetto di eliminare la maggiore
alimentazione del bacino e risolvere il problema dell'approvvigionamento
idrico della città di Palermo.
Frattanto la malaria continuava a
decimare la già stremata popolazione delle
contrade Saline, Valdesi, Mondello e Partanna; quest'ultima registrò il
maggior numero di vittime. Il prof. Tommaso Crudeli, che nella metà del
XIX sec. studiò il diffondersi della malattia, rifiutò le convinzioni
dell'epoca e sostenne invece la teoria, pure questa infondata, che i
germi della malaria vivessero nella terra umida e che trasportati dai
venti periodici aggredissero l'uomo attraverso le vie respiratorie.
I dati raccolti a partire dal 1881
ci informano sulle percentuali di malati accertati rispetto alla
popolazione residente. Questi oscillarono tra il 20 e il 50% su circa
3.700 abitanti. Si trattava proprio di una grande calamità che incideva
in termini economici e sociali sull'intera comunità agricolo-marinara e
sulla stessa città di Palermo.
Nel 1887 il Corpo Reale del Genio
Civile di Palermo presentò un progetto dal
titolo "Bonificamento delle paludi di Mondello" che sulla base di
indicazioni fornite dal Consiglio Superiore dei LL.PP. individuava una
serie di strategie per sanare i luoghi e sconfiggere la malaria.
In pratica l'idea era quella di
ripristinare l'antica duna, di installare sportelli a ventola,
saracinesche e serrande a difesa dei collettori, costruire un canale di
circonvallazione attorno alla conca depressa (pantano) per raccogliere
all'entrata le acque sotterranee e versarle a mare nei due sbocchi di
punta Celisi e Mondello, e di colmare l'intero bacino con pietre e
terra.
Il Sindaco pro tempore,
l'agronomo e patriota Nicolo Turrisi Colonna, ebbe modo di esaminare il
progetto e non condividendolo affatto propose una sua alternativa,
sicuramente molto originale rispetto alle precedenti. La novità
consisteva nel taglio del diaframma sorto in questi ultimi secoli tra il
mare e il bacino, nel lato del golfo ove è la foce del Canale Celisi.
Rotta la spiaggia per una data larghezza si sarebbe scavato il fondo
argilloso della profondità necessaria per raccogliere tutte le acque
stagnanti e smaltirle in mare. Per verificare la sua teoria, il Turrisi
Colonna, si rivolgeva agli ingegneri e agli studiosi di idraulica
affinchè calcolassero le dimensioni di questo nuovo e ampio canale
raccordando le diverse quote sommerse del bacino e del mare aperto. In
definitiva la bella spiaggia di Mondello, rischiò in quella occasione di
essere, almeno parzialmente, eliminata! L'autore.della proposta
suggeriva infine, per evitare che il nuovo canale si ricolmasse di
sabbia, di proteggerlo con una gettata di massi calcarei prelevati dal
Pellegrino.
Si giunge così al 1889,
anno in cui il principe di Scalea, già promotore di un comitato a favore
della bonifica del pantano, avvalendosi dell'amicizia e dell'appoggio di
Francesco Crispi, allora capo del governo, riuscì a fare approvare e
finanziare il progetto Baccarini, ultima variante al progetto del 1887.
Pochi anni dopo iniziarono i lavori di bonifica e la colmata dei canali
ad opera dell'impresa Dupony. Una grande quantità di terra e di massi
dissodati dal Pellegrino servirono a riempire i canali; vi fu pure
spianato il grande banco di sabbia che costituiva l'antica duna sulla
spiaggia. Inoltre fu realizzato il canale di circonvallazione per
raccogliere le acque e versarle nei due sbocchi di Mondello e punta
Celisi. L'eliminazione dell'ambiente umido comportò l'estinzione della
terribile anofele e quindi la scomparsa della malaria. Finalmente nel
1908 venivano ultimati i lavori della bonifica delle paludi di Mondello.
Subito dopo si scatenarono i progetti di colonizzazione e di
sfruttamento del lido. Ma questa è un'altra storia.