COSI' SI PRESENTAVA NEL MEDIOEVO IL TERRITORIO DA PARTANNA A TOMMASO NATALE.
"La piana dei Colles" UN EDEN PERDUTO
di Pippo Lo Cascio
Una carrellata su uomini dell'epoca che vi
abitarono rendendola fertile e celebre, anche nel tre e quattrocento,
dalla Sicilia fughe di cervelli che preferivano le università romane,
fiorentine, e soprattutto bolognesi. Storie delle famiglie Bilingerio, Fazio de Fazio, Gaddu da Nabula,
Speciale.
La campagna collese, ben caratterizzata nell'area della
Conca d'Oro e compresa tra le attuali località di Partanna, Martini,
Pallavicino, San Lorenzo, ZEN, Cardillo e Tommaso Natale, in età medievale
dovette apparire a commercianti e a viaggiatori, come un piccolo paradiso
terrestre.
Un ambiente in perfetto equilibro naturale, con molto verde,
ricco di sorgenti e di polle d'acqua potabili; qua e là si ergevano bagli
agricoli e torri d'avvistamento spiccavano tra vigneti, orti e pozzi. Tra
gli appezzamenti di terreni, correvano le trazzere, grazie alle quali
schiavi, salariati e artigiani, raggiungevano i posti di lavoro.
Le
vallate e le cime dei monti Gallo e Pellegrino, erano presumibilmente
coperte da una fitta macchia mediterranea, costituita da alti carrubi,
profumati mirti, sommacela, olivastri e lungo le due "portelle di mare"
di Mondello e di Sferracavallo, si svolgevano i primi traffici economici
con le tre tonnare (la terza era quella di Isolabella a Taormina).
In una
vasta area, tra il villaggio di Santus Laurencius (San Lorenzo) e le
falde del monte Billiemi, persisteva ancora un lembo della foresta di
ilici, grosso polmone di verde ricordata ancora in età settecentesca, con
il toponimo di Serra di Malopera.
Grazie al recupero ed alle trascrizioni
di documenti dei secoli XIV e XV, siamo in possesso di alcune piccole
storie legate alle economie e agli uomini che hanno abitato la Piana
(oltre seicento anni addietro) e che l'hanno resa fertile e celebre.
Taluni tasselli di questo grande mosaico della "Palermo fuori le mura",
sono da tramandare alle future generazioni, perché non se ne perda la
memoria storica.
FACIO DE IUDICE FACIO
I frammenti storici della famiglia Fazio de
Fazio o Facio de Indice Facio, come comunemente è ricordata nei
documenti, ci riportano alla coppia composta tra Donna Perrona che sposò
in seconde nozze mastro Bonione da Eboli. Dal matrimonio nacque
Alessandra, che in seguito fu promessa in moglie al mercante Nicolo
Bilingeri o di Bilingerio.
Dagli atti pervenuti Donna Alessandra ci è
dipinta come una persona scaltra e avveduta, continuamente in lite con
parenti e vicini confinanti, tendente ad accrescere il suo patrimonio
familiare, già di per sé molto cospicuo. Rimasta vedova ancora in giovane
età, ebbe due figli: uno morto in giovane età ed una figlia, cui fu
imposto il nome di Violante, che già a dodici anni fu promessa in sposa a
Fazio de Ridice Fazio, figlio di Simone de Iudice Fazio. Nell'anno del
"fidanzamento", il futuro sposo non si trovava a Palermo, ma era
residente a Bologna per motivi di studio, essendo iscritto nella locale
università nel corso di studi giuridici. La conferma della sua presenza
nella città emiliana, ci è data da un documento del 12 novembre del 1348,
II indizione, in cui l'universitas di Palermo da mandato a Giovanni de
Andronico, gabelloto Gabelle molendinorum, al pagamento a Facio de Iudice
Facio di onze 18 per gli anni II, III e IV indizione come sussidio per
gli studi in legge a Bologna.
Durante il medioevo tra la Sicilia e le
più note città della Penisola, oltre che per motivi politici, economici e
commerciali, vi furono delle "fughe di cervelli" che preferivano
frequentare le dotte università, romane, fiorentine, bolognesi e padovani
anziché quelle di Salerno e di Napoli. La celebre università di Bologna,
in particolare, attrasse un gran numero di studenti che vi si recarono
per seguire gli studi di diritto canonico e civile. Proprio nel secolo
XIV, quando studiava Fazio de Fazio, v'insegnavano illustri professori
siciliani mentre era rettore il palermitano Pietro Tagliavia.
Donna Alessandra di Bilingerio nel 1350 assegnò a notar
Simone, procuratore del figlio, una vigna con torre, pozzo e terra
"scapola" in contrada Piano di Gallo, in soddisfazione delle cento onze
in denaro ed once 50 in corredo, promesse in un contratto matrimoniale.
Terminati gli studi Fazio tornò
con la laurea in giurisprudenza e nell'anno 1350 sposava Donna Violante Bilingeri. Pare che il giovane non fosse rimasto soddisfatto della dote
assegnata dalla suocera, tanto che chiese un cospicuo aumento che Donna
Alessandra portò a trecento onze, più il feudo di Cinisi. Il novello
sposo per contraccambiare promise allora di offrire alla suocera ben
dodici onze per gli alimenti.
Tra le tante proprietà la novella coppia
possedeva un altro luogo ai Colles da identificare con l'area di San
Nicola, tra Partanna e lo ZEN, dove ancora esistono la torre (è la torre
Verde o Sessa) a base quadra e con l'intatta merlatura) e numerosi pozzi
d'acqua. Probabilmente i vigneti citati dal documento notarile erano
quelli della produzione della Vernaccia e di Malvasia, due vini molto
ricercati anche fuori l'Isola.
I GADDU DA NABULA
La famiglia di imprenditori toscani, il cui
rappresentate principale fu Mastro Gaddu di Nabula conciatore di pelli e
gabelloto, impiantò intorno al 1360 un mirtettu di 185 salme, dopo avere
colmato e spianato alcuni laghetti o pantani, servendosi della mano
d'opera di schiavi greci di fede ortodossa, provenienti dal centro di
smistamento di Caffa nella Crimea.
Indicativa della diffusione e
dell'importanza raggiunta dall'economia del mirto, fu la gabella del Mirtus sive mortille operante a Palermo nel 1328: tutto il mirto che
entrava in città, era infatti, tassato di 10 grani a salma. Altre
frammentarie notizie di una coltivazione di mirto tra Sanctu Laurenciu
(San Lorenzo) e i borghi di Tommaso Natale e di Partanna, attestano che
già nel 1296 tal Roberto de Nicosia, gestì le operazioni di raccolta e di
lavorazione delle foglie dell'arbusto. Tra il mese di dicembre e l'aprile
dell'anno successivo, ingaggiò sei carrettieri, ciascuno con quattro
somari, per trasportare le foglie di mirto raccolte dal Plano Galli sino
al paratore Cassarorum a Palermo. Il 21 dicembre 1298 Matteo Chinchina
si obbligò con Pasquale Spatafora corbi-serius a triturare sive parare
con altri soci, durante il periodo della raccolta, il mirto esistente
nelle contrade Galli e latini dietro compenso di tari 50 per ogni 100
salme di mirto e tre barili di vino. Ed ancora il 5 gennaio 1299 Filippo Pipitonus e Guglielmo Carbonarius si misero all'opera, sempre a Galli e
latini, per il modesto compenso di 55 tari, cui si era aggiunta "in
omaggio" una mescita di vino, durante il pasto.
Altri documenti ci
testimoniano l'attività intorno al 1360.
Oggi l'arbusto, come
propagandato dalla locale Associazione Ambientalista, "Mirto Verde",
potrebbe essere massicciamente piantumato sui fianchi aridi dei due
rilievi, a sostegno dei pochi esemplari che si rinvengono e ciò per
incrementare la rara macchia mediterranea.
Gli sparuti esemplari sono
circoscritti solamente in limitate aree del Piano dello Stinco sul monte
Gallo, ma un tempo erano padroni indiscussi sia del Piano che del monte.
GLI SPECIALE
I giardini di età quattrocentesca che avevano
impiantato gli Speciale nella zona tra l'attuale ZEN e la chiesa di San
Lorenzo, è un tipico esempio di grande tenuta suburbana che produceva
culture aride ed irrigue e segna il punto di arrivo dei lavori di
bonifica che aveva iniziato in quella contrada, il toscano Gaddo da
Nubula nel precedente secolo.
I lavoratori che provenivano dalla murata
città di Palermo e si spostavano ai Colles, ricevevano un salario
maggiorato.
Nel 1434 Pietro Speciale junior, figlio di Giovan Matteo,
assunse molti jurnalari (che lavoravano alla giornata) per sostituire i
vigneti invecchiati e "...coltivare rose, cardoni, olivi, granati,
cotogni, gelsi, prugni, ciliegi, limoni, mandorli, fichi, frumento, orzo,
carciofi...".
IL VIGNETO
Le prime frammentarie notizie di una
coltivazione di vigne si hanno dal XIII secolo grazie, ancora una volta
alla certosina ricerca archivistica dello storico francese Henri Bresc,
che documentò un lento passaggio naturale dalla ghianda all'uva.
Negli
studi, Les jardin de Palerme (1290-1460) ed in quello successivo,
Un monde Mediterraneèn. Economie et Società en Sicilie,
egli analizza dettagliatamente l'economia siciliana tra gli anni 1300 e
1450: "... Les dèfrichements sont Ubère l'espoce
nécessaire à l'implantation des vignes de Piano Gallo, de la "Costiera"
de Monreale et de la haute vallèe de l'Oreto..."
Tra la fine del XIII secolo e la seconda metà del
secolo XV, sono ricordate piantagioni proprio al monte Belliemi, a
Chargitia Rumen (l'odierno quartiere di Cruillas), a Sant'Helia de
Aquilea (CEP - Michelangelo) ed ancora al Saltus de Sciavo, il Salto
dello Schiavo, l'attuale Parco della Favorita.
Le aree piantonate a
vigneti si rendevano libere grazie a continui e ad indiscriminati
disboscamenti della foresta; grosso polmone di ossigeno e ricchezza
economica, la cui presenza è documentata dal 1270 e successivamente
ricordata negli anni 1324, 1420 e 1439.
L'abbattimento degli alberi per uso industriale, iniziò
nel XIII secolo, dato il grande successo che ebbe la coltivazione della
canna da zucchero impiantata in Sicilia, i cui forni per la cottura
divorarono enormi quantità di legname. Nei secoli XIV-XV, le terre
lasciate vacue furono in parte impiantate ad orti ed a giardini e
fornirono ai mercati della città di Palermo ed a quelli dei paesi vicini,
le migliori uve e vini (i già citati Malvasia e Vernaccia), provenienti
dai palmenti sparsi per le campagne.
La vigna costituì per lungo tempo il cuore della vita
economica e commerciale dei Colles. Produzioni di uve sono documentate
ancora al Salto dello Schiavo, grazie soprattutto alla minuziosa
trascrizione giornaliera dei proventi degli affitti o delle gabelle
riportate dall'abate Angelo Senisio nel suo Caternu (quaderno), tra gli
anni 1371 e 1381.
"... Zo esti per li machazeni et la taberna et la
vigna di li Colli, unc. iij, tr. viiij, g. xv..." (per pagamenti
ottenuti grazie all'affitto dei magazzini, della taverna e della vigna
dei Colli, tre once, nove tari e 15 grani).
La lunga lista evidenzia le
grandi quantità di possedimenti disseminate in città e nelle campagne
extra moenia, di contro risalta il difficile approccio con i creditori.
Infatti non tutti pagavano regolarmente i fiduciari dell'abbazia di San
Martino delle Scale quando si presentavano per riscuotere; un esempio su
tutti: "...Matheu di Alfanu per li ferri di lu Saltu di lu Sclavu
(...) dede ad me tr. iiij in due fiati..." (mi diede quattro tari in
due volte).
In un transunto dell'inventario dei beni, appartenenti
al Giudice Fazio di Fazio del 12 novembre 1382, sono ricordati gli uomini
d'affari Ioannes Boy, Ioannis Cavalcantis, Franconi de Afflicto e Iannis
de Abbatellis, perché proprietari di una "... peccie unius terre
vinealis (...) site in contrada Galli...".
Gli ultimi anni del secolo
(9 dicembre 1398, VII indizione), vedono la presenza di due proprietari
ebrei, Sabet Cusintino e Sufen Taguil, che otterranno dal tribunale la
terza parte di una vigna ai Colli, precedentemente assegnata a Filippo
Spallitta. La lettera a firma Martino e Maria, re e regina di Sicilia,
ordinano altresì allo Spallitta, secreto di Palermo, di rimborsare gli
ebrei con i proventi percepiti dalla vigna e con le spese affrontate pro cultura et con clusiva ricollecione e le spese processuali.