C'è una seguita trasmissione televisiva che
s'intitola "Chi l'ha visto?".
di NINO
MARTINEZ
Nel caso di Lucio Amorosi, gestore dell' Antico Chiosco
dovremmo modificare il titolo in "Chi non l'ha visto?".
Siamo, infatti, convinti che la quasi totalità dei
palermitani l'abbia visto, lo continui a vedere e -cosa più importante- lo
conosca. Già, perché quando questo simpatico signore si piazza dietro la
cassa, pardon, dietro il timone di quell'elegante yacht che è il suo bar
-pasticceria non c'è cliente che tralasci il piacere di uno scambio di
battute con lui, o addirittura-folla permettendo- non intavoli una breve,
allegra conversazione. Questo comportamento in Lucio Amorosi non è una
strategia commerciale; è piuttosto un suo bisogno sentimentale di
comunicare, di creare rapporti fondati sulla gentilezza, sull'affabilità
che non infrequentemente si trasformano in sincera amicizia. Lucio Amorosi,
come gestore, è un perfezionista: tutto nel suo locale è curato al massimo
e i suoi fedeli dipendenti sanno che su questo non si transige; così come
non si transige sul servizio ai clienti. Che deve essere sempre
inappuntabile. Anche se davanti alla cassa si assiepano dieci, venti
persone, lui, che acrobaticamente distribuisce scontrini, incassa, da il
resto, nella confusione di voci che nominano il prodotto desiderato, non
smette di osservare anche il dipendente più lontano, notandone
eventualmente il più veniale neo nel rispetto verso l'avventore.
Lucio Amorosi, mondellano a 24 carati, ha avuto sempre
nel cuore e nei suoi sogni una Mondello ideale, e per vedere questa borgata
all'altezza di quelle più rinomate d'Italia (pur non possedendo le sue
bellezze), sarebbe disposto a dare l'anima. Ecco perché arricchire sempre
di più come attrezzatura e come estetica interna l'Antico Chiosco", (che è
diventato quasi sinonimo di Mondello) in Lucio Amorosi traduce la volontà
di concorrere a migliorare le condizioni di una incomparabile zona i cui
problemi - non ci stanchiamo di ripeterlo - lasciano indifferenti le
autorità.
Signor Amorosi, lei nella gestione dell'Antico Chiosco
è subentrato a sua zia Giuseppina. Come se la ricorda?
"L'immagine che ho di mia zia è quella di una donna molto forte,
coraggiosa, intraprendente, dotata di notevole intuito commerciale. Era una
donna che esigeva molto nel lavoro, ma prima che dagli altri, da se stessa.
Ai dipendenti non faceva mancare nulla che riguardasse i loro diritti ma
pretendeva che osservassero in pieno i loro doveri. E queste regole le
applicava con amabilità, con "savoir faire". Virtù che lei ha
ereditato."Per me la zia Giuseppina è stata davvero una maestra di vita.
Dal suo comportamento e dalla sua dirittura morale ho tratto esperienza e
insegnamenti".
Quando è avvenuto il passaggio del testimone tra sua
zia e lei?
"Nel 1973. Lei era molto sofferente e quindi, non più in condizioni di
tenere le redini del locale che esigeva una presenza costante e un
dispendio di energie ragguardevole. Io l'ho affiancata nell'attività tre
anni prima della sua dipartita ; una collaborazione che mi ha permesso di
conoscere i segreti di una gestione complessa qual'è quella di una
pasticceria"
Com'era l'Antico Chiosco quando la gestione è passata
a lei?
"In quel periodo non era necessario fare sfoggio di grandiosa attrezzatura,
né di soverchia eleganza. Tutto era basato sulla semplicità e sulla qualità
dei prodotti: il locale si avvaleva dell'opera di 12 dipendenti che
aumentavano di tre unità nella stagione estiva. Oggi i dipendenti sono 20".
Da allora, cos'è cambiato?
"Sono soprattutto cambiate e confineranno a cambiare le esigenze degli
avventori, i quali pur non trascurando di gradire i prodotti tipici,
tradizionali, richiedono sempre quelli nuovi che il consumismo immette nel
mercato a ritmo serrato. E, poi, occorre anche confrontarsi senza sosta con
le problematiche locali, che ristagnano nella situazione di immobilismo
amministrativo della borgata rendendo impossibile la programmazione di una
gestione con adeguati progetti. Il vivere alla giornata non dipende dalla
vista corta dei commercianti di Mondello di cui si fa un gran parlare senza
cognizione di causa, ma alla mancanza di strutture e infrastrutture, di una
progettualità che è di competenza degli organi comunali. Tutto ciò non ci
consente di prendere decisioni di una certa importanza. C'è assenza di
sicurezza, di garanzie".
Quante volte ha cambiato l'aspetto del suo locale, in
trent'anni?
"Sì, è vero, ho fatto vari cambiamenti, solo interni, però; l'esterno l'ho
lasciato sempre come in origine. Debbo tenere in gran conto le esigenze
della clientela la quale dimostra di apprezzare le diverse fisionomie che,
di tanto in tanto, conferisco all'ambiente. Qualcuno, addirittura, mi
domanda: 'A quando il prossimo cambiamento?'"
Chi la collabora nella gestione? Non ci dirà che fa
tutto da solo...
" Non sarebbe umanamente possibile. Faccio leva sulla mia famiglia. Mi
affiancano validamente, mia moglie Giulia, le mie figlie Adele e Rosanna,
nonché mio genero Enzo. Una struttura di tale portata e complessità
richiede un'opera dirigenziale di gruppo attenta e puntuale, per
un'efficiente funzionalità. Al servizio della clientela".