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MONDELLO WEB:
Madd-Mudd, antico nome della borgata
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Monte Gallo, Pizzo
Sella, Madd-Mudd... Mondello !
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Una storica testimonianza nel documento
"CABELLA
MONDELLORUM PANORMI". Il grande "feudo del Gallo", di proprietà dell'Arcidiocesi di Palermo,
veniva misurato in "MONDELLI", nome derivante dall'arabo
"MADD-MUDD"
di Francesca Mercadante
Il viaggiatore, che oggi si apprestasse a percorrere il
territorio siciliano con l'intento di conoscere i luoghi della capitale, è
indotto subito, per bellezze naturali, per il richiamo paesaggistico, a
recarsi ad occidente di Palermo tra il monte Pellegrino ed il monte Gallo,
nel territorio estremo della Piana del Colli, ultimo lembo della Conca
d'Oro. E già, fuori dalle colonne del Parco della Favorita nella discesa
del "Giusino", avverte sensibilità cromatiche fuori dell'ordinario.
I toni grigi del calcare dolomitico dei due rilievi sono
addolciti dalle alberature viarie e apprestandosi a quote più basse
incontra l'azzurro del mare, tutt'uno quasi con il cielo...
Ma se un altro
viaggiatore, in un altro tempo, avesse percorso la stessa strada negli
stessi luoghi, stenterebbe a riconoscerli in quelli d'oggi, nonostante
l'esile bellezza residua. A dispetto dell'immutabilità eterna, che l'umano
applica intorno a sé, la Natura sovrana, smentisce e soverchia con i fatti,
l'assunto detto.
Di fatto, non sempre i toni del grigio delle due montagne
sono apparse tali, ci fu un periodo in cui la macchia mediterranea, con le
sue essenze ricopriva le falde e zone del bosco d'arbusti nella Piana,
nascondendo i torrenti stagionali, mentre all'interno della costa sabbiosa,
ampie zone palustri accoglievano acque dolci di ristoro a faune oggi
scomparse. Così, forse, dovette apparire il paesaggio ai viaggiatori arabi,
che si apprestarono lungo la strada del Ghàlah, il Portus Gallum medievale,
che da Balarm - Palermo, conduceva a Qarìnis - Carini, il cui caposaldo di
riferimento topografico, nella direzione intrapresa, era rappresentato
dalla montagna più a Nord della Sicilia occidentale, il Capo Gallo. Il
toponimo del monte, per secoli, dacché Tommaso Fazello intraprese gli
studi sulle antichità di Sicilia, accese il dibattito sul significato
etimologico.
In verità l'unico che si avvicinò a questo, fu Giordano
Cascini, che nella sua Digressione del luogo ove morì e fu sepolta Santa
Rosalia, nel 1741, intuì la natura araba del toponimo determinando però Gal
con "monticello", "collinetta". Inducendo da questo momento in poi, gli
studiosi, all'errata convinzione della derivazione del nome Mondello. Oggi,
dopo accurate indagini, si è potuto determinare, con ottima fattibilità, il
nome con il quale nel periodo arabo, questi era riconosciuto, ovvero Gabal
al-Qalàl, anzi Qilàl, ossia il Monte delle Vette.
E' così che era appellato. E la condizione morfologica,
"la Vetta", non è mai variata nel tempo, basta osservare oggi Capo Gallo da
un qualsiasi punto lungo la costa in direzione Carini - Palermo, (la rotta
marina fenicio-punica Cartagine - Lilibeo - Panormos, ripresa dagli Arabi, che
dai porti Nord-Africani partivano per la Medina, la Capitale com'era
assentita Balarm, la Palermo dall'ora).
Capo Gallo appare al visitatore di mare e di terra quale
rocca tagliata a picco, (falesia) punta che si erge a barriera del
territorio di Palermo, un caposaldo fondamentale e riconoscibilissimo per
chi, forse con carte topografiche approssimative, si orientava tra stelle e
monti.
Non a caso la sua estremità a mare, che nella cartografia
odierna risulta ancora denominata Punta Tara, ai cartografi napoletani
incaricati da Ferdinando di Borbone a redigere la nuova cartografia
ufficiale nel 1849 -1852 risultava con il termine di Altare, ovvero al-Tàr,
ovvero "la rocca a picco, la punta, o la cima".
Così con spirito e dedizione tutta partenopea, continuò
nel tempo la sorte del toponimo, Sella lo appellarono, (in coppa a sella),
la punta più alta, oggi il noto Pizzo della Sella. Il toponimo del monte,
Gabal al-Qilàl fu in seguito latinizzato, così nel tempo divenne Calal -
Calel di riscontro fino al 1190.
Stabilito che Gabal al-Qilàl è il "Monte delle Vette",
s'intuisce subito che il nome dato oggi al monte, Capo Gallo non è di
riferimento al toponimo arabo.
Mondello vista da
Monte Gallo, di fronte il Pellegrino e a sinistra il Catalfano e Capo
Zafferano
Allora il nome Capo Gallo da cosa deriva? E
qui, ancora una volta, ci suppliscono i documenti più antichi che
riguardano l'immenso territorio (da Isola delle Femmine, a Mondello, all'Addaura)
di proprietà della Chiesa Madre di Palermo, territorio che all'alba della
conquista normanna veniva reclamato a partire da quel Casale di Gallo ivi
allocato: "... Io..., Ruggero Duca di Sicilia concedo il casale di Gallo
(...) con, novantaquattro rustici (...) appresso il (casale di) Meselimo...
".
L'inizio fu la concessione di un Casale (di Gallo, anno
1086) ma già cento anni dopo nei documenti si hanno notizie di un Pianura
Galli - Piano di Gallo e di un Portum Galli - Porto di Gallo, e se per il
Pianura Galli si ha notizia della sua ubicazione, approssimativamente tra
la torre Parisi (nei pressi della stazione ferroviaria di Tommaso Natale) e
la villa settecentesca Scalea (a Partanna), e per il Porto di Gallo,
indicativamente tra Punta della Catena e Punta Matese (tratto di costa tra
Sferracavallo e Isola delle Femmine) per la proprietà del Gabal al-Qilàl,
monte Capo Gallo abbiamo solo un'indiretta estrapolazione d'appartenenza
poiché il rilievo si trova di fatto inserito nel grande possedimento
ecclesiastico del Feudo di Gallo già a partire dal 1211. Quindi un nome,
non di diretto riferimento alle condizioni rinvenute in luogo, come d'uso
tra le culture nordafricane, ma una condizione d'appartenenza territoriale,
che si esplicò nei secoli a venire, nelle politiche applicate ai grandi
feudi siciliani. Sì ma, Gallo? Meselime? I nomi dei due casali nella
concessione di Re Ruggero, da non trascurare se d'unico riferimento al
territorio considerato.
I riferimenti bibliografici conducevano alle letture ed
alle ubicazioni che Michele Amari nel 1852 aveva dato, in quel fondamentale
saggio che è Biblioteca Arabo Sicula.
L'Amari identificò Gàlah con il monte Capo di Gallo,
indicandolo nella lettura quale "Monte delle Vette", mentre per il Mar-sà
at-tìn lesse "Porto del Fango" identificandolo con l'insenatura di Mondello.
In verità il Gabal al-Qilàl, ovvero il monte delle Vette
è cosa distinta da Ghalàh, infatti, dai recenti studi interdisciplinari, si
è potuto evincere che il toponimo Gàlah-Ghalàh è da identificare con un "Marsa
- Porto", approdo indicato da al-Idrìsì sulla costa tra Punta Matese e
Punta della Catena, proprio quell'approdo che ha il suo riferimento diretto
al sentiero che conduce tramite il vallone della Cala al sito "alto per
magnificenza", quale etimologia di Ghalàh, sull'odierno monte Billiemi,
ovvero il luogo ove è possibile ipotizzare i resti del Casale di Gallo,
mentre il Marsà at-tìn, nella revisione di lettura, è indicato quale "Porto
dell'Argilla" ed ubicato nella baia di Sferracavallo, riconosciuta da
sempre quale lo stazzone della creta o anche scaru a crita.
E il nome Mondello? Ai "puristi locali" qualcosa non
quadra più, coraggio anche Mondello ha una sua corrispondenza antica! Il modd-mudd
è una sorta di misura araba con cui si misuravano i campi, una moggiata
spazio di terra in cui si può seminare un moggio.
La prima notizia dell'etimo territoriale si ha con la
"... cabella mondellorum panormi ..." in Diritti dovuti all'arcivescovado
ed ai canonici della Chiesa dì Palermo del 1274/1321, terra
dell'Arcidiocesi palermitana che entro il grande Feudo di Gallo, fu data in cabella (affitto) in ragione di Mondelli, (un Mondello deriva da Carozzi
quattro). Forse, però, proprio un Mondello quale unità di misura, chissà,
ascrivibile ad un iniziale casale, tramutato poi (?) nella tonnara, fu il
territorio che la Chiesa Madre di Palermo non ebbe mai nel grande Feudo di
Gallo, giacché questo munneddu appartenne sempre alla Reggia Curia sino
alla sua vendita a don Alfonso Guglia nel 1636.
E così la storia nuova di
Mondello appare proprio in riferimento alla tonnara, che con i suoi tonnaroti e i rais a servizio del malfaraggio, originarono il nucleo
abitativo dell'odierno insediamento.
La torre che oggi s'intravede, superstite di fantasie
locali tra attacchi di "pirati e saraceni" negletta e abbandonata, unica
testimone di un tempo in cui i silenzi erano scanditi dai marosi che la
lambivano, probabilmente non sopravvivrà a se stessa, se ognuno,
viaggiatore occasionale o stabile residente non custodirà
gelosamente i frammenti di storia, la cultura nostra, sepolti nella
memoria del paesaggio che ci circonda.
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