Giace sui fondali a 100 metri dallo
stabilimento di Mondello e a dodici metri di profondità
di Sebastiano Tusa
(Palermo, 2 agosto 1952 – Bishoftu, 10 marzo 2019)
Il mare della costa occidentale del golfo di Palermo
(compreso tra l'Arenella e Capo Gallo) ha offerto negli anni innumerevoli
elementi utili per approfondirne la storia e ampliare lo spettro delle
conoscenze sulla città ed il suo territorio. Del resto non fu soltanto
l'area dell'odierno porto ad essere interessata all'attracco, ma anche le
zone dell'Acquasanta, Arenella e la baia di Mondello.
Ci limiteremo, per
esigenze di spazio, a ricordare qualcosa che più da vicino riguarda
Mondello ed i suoi fondali limitrofi.
Numerosi furono tra gli anni '50 e '80 del secolo appena
finito i recuperi di oggetti archeologici (anfore ed ancore in piombo)
effettuati nelle acque di Mondello. Purtroppo di questi recuperi nulla o
quasi è rimasto nelle cronache archeologiche ufficiali trattandosi di
"imprese" di dilettanti o "predoni del mare".
Qualche oggetto fu donato al
Museo Archeologico "A. Salinas" di Palermo, ma fu poca cosa rispetto a
quello che questo mare doveva custodire. Da quando le istituzioni preposte
alla tutela si sono proposte di avere verso l'archeologia subacquea isolana
un'attenzione adeguata abbiamo raccolto le testimonianze esistenti e,
soprattutto, abbiamo effettuato attente ricognizioni dei fondali cercando
di reperire quel che è rimasto dopo decenni di depredazioni con l'obiettivo
di trame utili elementi di giudizio sul piano cronologico, storico e
culturale. Il bilancio di questo approccio è oltremodo positivo poiché sono
stati recuperati alla memoria utilissimi dati che ci consentono di
iniziare a delineare un quadro ricostruttivo della frequentazione di queste
coste nell'antichità.
Partendo da Sud già presso la Punta Priola abbiamo
trovato tracce di frequentazione di epoca ellenistica individuando sui
fondali frammenti di anfore greco-italiche. Si tratta con tutta probabilità
di tracce di un luogo di ancoraggio piuttosto che di indizi di relitti.
Diversa è la situazione a proposito del relitto segnalato
da Alberto Palmese di fronte al cantiere Motomar in zona Capo Gallo.
Si
tratta di un relitto di cui rimangono alcune anfore inquadrabili tipologicamente nella produzione di ambiente punico locale, probabilmente
lilibetano, attribuibile cronologicamente al III secolo a.C. Nelle anfore,
chiuse da coperchio in terracotta, vi era del grano. Non è improbabile che
tale imbarcazione, certamente punica, sia naufragata, forse per mano nemica
(romana), durante i tragici giorni della spedizione di Amilcare Barca del
248 a.C, quando il monte Heirkte (da identificare con il Pellegrino),
fortificato dalle truppe cartaginesi, era assediato dai Romani. In quel
periodo è probabile che fosse la baia di Mondello a fungere da approdo
della flotta cartaginese e di ogni vascello che portasse aiuto, viveri e
truppe in soccorso dell'esercito.
Ma è la baia vera e propria di Mondello ad avere offerto
finora i dati più corposi per delineare storie e vicende di mare.
Alcuni
anni fa (1995) la Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di
Palermo in collaborazione con l'Arma dei Carabinieri (Gruppo Subacqueo
Carabinieri di Messina e Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Palermo)
effettuò un'attenta perlustrazione delle acque della baia di Mondello
antistanti il piccolo borgo di pescatori e lo "Stabilimento balneare".
Tale
ricognizione scaturì da alcune segnalazioni di appassionati e da alcune
perlustrazioni e limitati sondaggi effettuati nell'ambito di un corso di
formazione professionale per addetti archeologi subacquei organizzato da
Marcello Rocca con la collaborazione di Paola Caltabiano e Bruno Ampola
(1994).
Quelle preliminari indagini ci fornirono elementi sufficienti per
comprendere che in quelle acque si celava qualcosa di interessante. Ma ci
allarmarono non poco perché ci confermarono che le depredazioni erano state
nel passato notevoli e continuavano ad esserlo anche nel presente.
Il sito
si trova localizzato nel golfo di Mondello a circa cento metri al largo del
suddetto "stabilimento" in direzione Nord-Est.
L'area di dispersione del
materiale archeologico è di circa 200 mq e si colloca ad una profondità
compresa tra i m 5 e 12. Il fondale sabbioso è frequentemente interrotto da
rilievi rocciosi ed avvallamenti, talvolta ricoperti da sabbia e detriti,
al cui interno sono stati rinvenuti i principali accumuli di materiale.
Tali depressioni risultano meglio visibili dopo le mareggiate dovute al
maestrale. La conformazione del golfo, le correnti che l'attraversano e le
mareggiate primaverili determinano consistenti spostamenti di masse
sabbiose che spesso provocano il disseppellimento di reperti archeologici.
I reperti rinvenuti, notevolmente disomogenei tra loro a causa delle
stratificazioni verificatesi nel corso dei secoli, non sono riconducibili
ad un'unica dimensione cronologica. Coesistono infatti materiali di diverse
epoche, sebbene vi sia una netta prevalenza di manufatti di epoca
medievale.
Ulteriori ricerche, condotte sempre dalla Soprintendenza
in collaborazione con l'Arma dei Carabinieri tra il 4 ed il 7 maggio del
1998, erano mirate al reperimento di ulteriori elementi diagnostici per la
comprensione delle caratteristiche cronologiche e culturali delle presenze
archeologiche dell'area in questione e ad eliminare dal fondo del mare quei
reperti particolarmente appariscenti che potevano diventare preda dei tanti
subacquei che, soprattutto nei mesi estivi ma non solo), attraversano
questo spazio di mare densamente popolato.
L'anno successivo, precisamente
il 5 giugno 1999, Antonio Richichi, noto subacqueo della zona, segnalava la
presenza di due consistenti elementi lignei (uno lungo ca. m. 2,20, l'altro
lungo ca. m. 0,80) che furono recuperati e sono attualmente in corso di
restauro da parte di Cosimo Di Stefano del Centro Regionale Progettazione e
Restauro. Si tratta di parti dello scafo di un'imbarcazione antica (di
epoca medievale) relative alla chiglia con gli agganci dei madieri e del
fasciame e ad un'ordinata. I legni sono stati identificati da Francesca
Terranova del Centro Regionale Progettazione e Restauro come pertinenti a
Quercus Sez. Cerris.
Malgrado si sia trattato di interventi non prolungati e
non programmati nell'ambito di una logica di sistematica indagine dei
fondali, tuttavia i risultati raggiunti sono stati soddisfacenti poiché ci
hanno permesso di avere un quadro esaustivo delle presenze archeologiche in
questa parte del golfo di Mondello tale da permettere alcune ipotesi sulle
antiche frequentazioni di questo spazio di mare.
Oltre alle consistenti
porzioni di scafo si raccolsero ceramiche pertinenti. In particolare si verificò la presenza di frammenti
ceramici, soprattutto di anfore, pertinenti i periodi compresi tra il II e
I sec. a. C, tra il I e II sec. d. C, tra il VI e VIII sec. d. C. ed il XII
- XIII secolo. A quest'ultimo periodo appartiene il maggior numero di
reperti. Ad essi sarebbero da attribuire i resti lignei descritti
dimostrando l'esistenza accertata di un relitto, del resto evidenziata
anche dal rinvenimento di numerosi chiodi in ferro. Al primo periodo di
frequentazione del golfo (II -I sec. a. C.) attestato dai rinvenimenti
archeologici subacquei si riferiscono pochi frammenti di anfore del tipo
Dressel 1 A. Più consistenti sono le tracce di frequentazione databili tra
il VI ed il VII secolo d.C. Si tratta di frammenti di anfore del tipo "late
roman 1", "late roman 2", "late roman 7" e "Agora M 302/Keay LII". Ancora
più abbondanti sono i resti del relitto di epoca medievale (XII-XIII
secolo).
Tra i reperti ceramici si segnalano anfore del tipo cosiddetto
arabo-normanno piccole e medie, particolarmente diffuse nei ben noti
monumenti palermitani di quest'epoca (La Zisa, Martorana etc.) dove erano
utilizzate come riempitivo nella costruzione delle volte.
Più piccole sono
le anfore che figurano anche in altri relitti coevi (San Vito lo Capo e
Lido Signorino presso Petrosino), di forma più squadrata (altezza massima
era 43, capacità circa 3,5 litri), d'impasto grigiastro/bruno grezzo, con
la superficie interamente corrugata, l'orlo ispessito a mandorla ed il
fondo concavo umbonato. Si tratta di contenitori tipici da trasporto che
venivano probabilmente usati per il commercio del vino e dell'olio. Si
segnala anche il rinvenimento di parte di un'anfora con un nome graffito in
caratteri arabi. Interessanti per i confronti e per avere ulteriori spunti
di riflessione per comprendere la possibile origine dell'ultimo viaggio
della sfortunata imbarcazione naufragata a Mondello sono una piccola anforetta di buona fattura e numerosi frammenti di tipiche anfore dal collo
con filtro. Forma ed impasto biancastro discretamente depurato con inclusi
micacei di questi vasi li inquadrano in quella categoria di prodotti
magrebini che, in quel periodo, erano particolarmente frequenti in Sicilia
come effetto degli intensi traffici commerciali tra le due sponde del
Canale di Sicilia.
I connotati del relitto ci portano, pertanto, a
concludere che l'imbarcazione fosse partita forse da un porto
nord-africano. Al di là delle caratteristiche tipologiche delle ceramiche
la presenza dell'anfora con graffito in caratteri arabi è un elemento
fortemente probante per individuare un'attribuzione culturale nord-africana
o, comunque, siculo-araba dell'armatore o del committente del carico di
questa nave. Tuttavia, dopo aver caricato derrate e merci in qualche porto
della Sicilia meridionale, sulla sua rotta verso Palermo una triste sorte
la fece naufragare sulle spiagge del golfo di Mondello. Non sapremo mai se
la destinazione finale era proprio questo luogo o se tentò un impossibile
ricovero di emergenza in questa baia che comunque doveva avere (che si
voglia o meno identificare con il "Portus Gallus/Gallicus" se si segue
l'ipotesi tradizionale recentemente confutata dalla Mercadante che lo
identifica con il vicino golfo di Sferracavallo) anche un suo ruolo di
approdo funzionale ai numerosi insediamenti indiziati nelle vicinanze (da
Partanna e dalle pendici meridionali del Monte Gallo alle pendici
settentrionali del Monte Pellegrino).
Con un po' di fantasia (estremamente necessaria, quanto
pericolosa nel lavoro dell'archeologo!) ci viene spontaneo pensare e vedere
l'inizio del viaggio della nostra sfortunata nave su una spiaggia lontana,
forse del Nord-Africa.
L'imbarcazione venne ulteriormente caricata in
qualche porto della Sicilia occidentale (Mazara o Marsala) con mercanzie di
vario genere, ma soprattutto con piccole anfore contenenti prodotti della
terra. Le piccole anfore da 3,5 litri di capacità presenti nel relitto
erano, infatti, prodotte in uno di quei centri artigianali attivi fin
dall'antichità tra Agrigento, Sciacca e Mazara del Vallo.
In quel periodo
l'isola era appena uscita dalla dominazione araba, essendo stata invasa dai
Normanni e viveva quel felicissimo periodo, detto appunto arabo-normanno,
fortemente intriso di cultura araba nei campi più svariati delle arti e dei
mestieri, vivamente coltivata presso le corti normanne di Sicilia.
La
nostra imbarcazione partì per un viaggio a carattere commerciale che doveva
avere i suoi indubbi vantaggi economici, ma purtroppo il destino le fu
totalmente avverso. L'imbarcazione non arrivò mai a destinazione poiché un
fortunale e l'incapacità a governarne la rotta la fecero naufragare presso
la spiaggia di Mondello. Non sappiamo se fosse all'ancora o in
avvicinamento presso l'approdo sabbioso costituito dal magnifico arenile
che costituisce oggi meta estiva ambita per i Palermitani. Si stava
avvicinando per approvvigionarsi di acqua o, più semplicemente cercava
rifugio? Forse un forte vento di ponente improvvisamente sollevatosi la
sospinse sulla spiaggia senza dare il tempo e la possibilità agli
sfortunati marinai di evitare l'irreparabile perdita di imbarcazione e
carico e forse anche della vita.
Questo rinvenimento, insieme ad altri di
epoche diverse, sia anteriori che posteriori, testimonia l'intensa
frequentazione di quest'area. Del resto ciò è comprensibile sulla base
della presenza dell'approdo costituito dalla baia e dalla sua spiaggia,
ottimo punto per tirare in secco le imbarcazioni ed effettuarvi
riparazioni.
Inoltre la zona era ricca di acqua dolce e di selvaggina
data la presenza dei pantani attivi fino agli inizi del secolo appena
finito. La magia di questo territorio risiede certamente nel connubio tra
storia ed ambiente che lo ha caratterizzato per millenni fino al passato
più prossimo.
Ne sono testimonianza le grotte del Monte Gallo e del Monte
Pellegrino, i numerosi insediamenti dell'età del rame sparsi in luoghi che
dovevano essere ai margini delle aree umide lacustri oggi scomparse (da
Valdesi a Partanna), la tonnara di Mondello, le torri di avvistamento e
collegamento che scandiscono con precisione ottica i punti emergenti delle
sue coste, dimostrando l'esistenza di un sempre precario equilibrio tra
guerra e pace, tra sviluppo e tragedia, tra allegria e morte che ha sempre
caratterizzato con millimetrica puntualità la storia della Sicilia.
Già da
tempo il turismo ha cancellato quelle atmosfere dando alla zona l'aspetto
di una ridente località di villeggiatura e di soggiorno estivo rompendo
l'isolamento degli ultimi secoli di un territorio marginale rispetto alla
vicina metropoli.