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PANORMUS - Profilo storico del '700


Il quartiere Capo, dove si ambienta il romanzo del Natoli

di Carlo Di Franco

La Palermo che si presenta al lettore, affascinato dalle vicende romanzesche in cui sono ambientate le gesta dei Beati Paoli è quel periodo storico che va dalla fine del XVII secolo (1698) e i primi decenni del XVIII secolo (1719).

Strade, piazze, vicoli e cortili, palazzi nobiliari, conventi e monasteri, quest’ultimi con le loro logge sul Cassaro (1), avevano in questo periodo già delineato quella parte della città che era il quartiere del Seralcadio, compreso le misere abitazioni del popolo (catoi) e la vita dei suoi abitanti era scandita da usi e costumi oggi in gran parte del tutto scomparsi.

Il mandamento dove avvenivano tali fatti oggetto del romanzo è il “Monte di Pietà” compreso tuttora nella zona che va dal vecchio Cassaro verso l’interno della cortina muraria cinquecentesca.

Assieme agli altri tre mandamenti, Palazzo Reale, Tribunali e Castellammare, (ogni mandamento rispecchiava il nome dalla presenza di un’insigne edificio) la città vecchia fu così suddivisa grazie all’interramento dei due fiumi (il Kemonia e il Papireto) dove i profondi avvallamenti che costituivano l’alveolo divennero le strade di antica delimitazione tuttora percorribili.

La “Cala” che costituiva l’antico porto, a causa dei detriti riversati dai due fiumi, si era notevolmente ridotta e la sua linea di demarcazione che in precedenza aveva invaso i territori limitrofi, cominciava a delineare i contorni del nuovo porto che lambiva la parte settentrionale della costa palermitana.

Le due strade principali erano il Cassaro e la via Maqueda, quest’ultima venne aperta nel 1600 e si chiamò “Strada Nuova” in seguito fu intitolata al vicerè Maqueda, essa apportò la nuova suddivisione nei quattro mandamenti, con l’incrocio delle due strade si venne a creare la piazza “Vigliena” detta anche piazza del “Sole”. (2)

Sontuosi e imponenti palazzi nobiliari facevano da quinta nelle due strade principali, e i nobili potenti ambivano ad avere il loro palazzo sul Cassaro e su via Maqueda, chiamata la strada Nuova, per ostentare la loro autorevolezza (palazzo Gravina, Rudinì, Filangeri, La Grua, Belmonte, Natoli, Cutò, Isnello, Celesti...).

Come loro anche grandiosi complessi conventuali e monacali aspiravano a questa magnificenza (Collegio Massimo dei PP.Gesuiti, Collegio dei PP.Scolopi, dei Padri Teatini, dei Crociferi, le Carmelitane Scalze, i Padri Riformati di S.Agostino, le basiliane del SS.Salvatore, le Domenicane di S.Caterina, ecc...).

Occupavano buona parte dell’area urbana poveri, artigiani, piccoli borghesi e qualche signorotto che si voleva distaccare dalla calca nobiliare, conventi e monasteri erano presenti ed occupavano aree che di solito erano destinate a giardini reconditi, globalmente vivevano con la tipica rassegnazione dell’anima siciliana, si annidavano nei catoi, la tipica abitazione dell’intrico dei vicoli maleodoranti dei quartieri (l’albergheria, la kalsa, il capo e la loggia).

Il catoio era formato due parti, la stanza principale al piano terreno che serve per gli usi di tutta la famiglia e, dal soppalco in legno che occupava mezza area in elevazione.

Nel centro del solaio troneggia il letto a due piazze, col materasso poggiato su tavole di legno rette da cavalletti in ferro, per i più ricchi, o di legno (trispiti).

Il resto dell’arredamento è composto da un tavolo con tre o quattro sedie impagliate e qualche sgabello, una cassa di legno, qualche stampa devota o l’altarino dove non doveva mancare la presenza dell’immagine di Santa Rosalia da poco nuova patrona della città.

A volte un’insieme di “catoi” era raccolto all’interno di un vicolo chiuso che di conseguenza diveniva il prolungamento dello spazio abitativo.

Nelle abitazioni più povere, formata senza eccezione da un solo ambiente, la situazione era ancora più fatiscente, gli artigiani di solito occupavano l'abitazione in una palazzina, al piano rialzato o al primo piano e bottega al piano terra, mentre locavano i piani successivi. Questi "imprenditori" d'epoca, riuniti in maestranze ed in congregazioni, innalzavano altre chiese ai loro Santi protettori.

L’amministrazione civica della città era il Senato ed era affidata al Pretore (3) che aveva sede nel palazzo di città, detto comunemente palazzo Pretorio, oggi Palazzo delle Aquile; mentre il Vicerè occupava la parte più alta del Cassaro nell’antica sede normanna; limitrofo al palazzo detto Reale vi era il quartiere militare.

Questo periodo in cui la Sicilia attraversava un momento di lotte intestine tra lo stato, che era rappresentato da due poteri forti: la figura scelta dal potere politico dominante in questo caso il Vicerè che sostituiva la presenza del regnante, e la chiesa. Questo humus ha dato l'opportunità di far nascere e sviluppare questa “setta”, per ostentare i soprusi dei nobili che in regime del loro potere governavano in virtù del "mero e misto imperio" che poi in Sicilia decadde nel 1812.

Dal 1696 al 1701 fu Viceré della Sicilia Pietro Colan di Veraguas discendente del grande navigatore genovese Cristoforo Colombo.

Nel 1713 la Sicilia fu ceduta dopo continue guerre tra la Spagna e la Francia, a Vittorio Amedeo di Savoia che venne a farsi incontrare a Palermo il 24 ottobre di quell’anno nella sontuosa Cattedrale.

La sua presenza momentanea determinò la reggenza del Viceré Maffei che dopo un breve periodo di amministrazione fu costretto a lasciare la città per dar continuo prosieguo alla dominazione spagnola dopo l’avvicendamento di tre monarchie.

Il potere religioso in questa porzione urbana chiamata “Galca”, nella parte opposta di quella Vicereale delimitata da una grande piazza d’armi, la occupava con la sede Arcivescovile con annesso seminario, al limite aveva ed ha tutto ora il suo piano, che guarda il Cassaro, ne vari secoli venne utilizzato ora come cimitero recintato da un muro, ora come fiera, il periodo che andò dal 1517 fino ai primi dell’ottocento si svolgeva la fiera di Santa Cristina, (4) a luogo di festa o come tribunale pubblico (5) o anche come luogo d’incontro della nobiltà definito tale nel XV secolo come “Piano dei cavalieri”.

Antistante alla spianata si delinea la basilica maggiore che rappresenta il compendio della cultura artistica palermitana, frutto della presenza dei vari dominatori “a’ cattidrali”.

Essa rimane per gli abitanti “a chiesa granni”, l’edificio religioso per eccellenza, collegiale a tutti i mandamenti della città, per quello del “seralcadi” rappresenta il loro “castello”.

Anche se la città era divisa nei nuovi mandamenti, il popolo continuava a nominare le varie zone urbane con le antiche denominazioni, gli abitanti si vantavano di appartenere alla “Cunzaria”, a’ “Briaria”, “Ausa”, a’ “San Pietru”, o’ “Cassaru”, o’ “Capu” (6), dove diversi erano le consuetudini e perfino il dialetto.

Ogni mandamento era riconosciuto con uno stemma: l’Albergheria si fregiava di un serpente verde in campo d’oro, la Loggia con l’arme di casa d’Austria, la Kalsa da una rosa rossa e il Seralcadi dall’effige di Ercole che sbrana un leone, queste di solito si mostravano durante le feste pubbliche: reali e vicereali e durante la processione del festino.

Il mandamento era protetto da una Santa patrona le cui effige furono poste ai quattro cantoni di piazza Vigliena: l’Albergheria aveva Santa Cristina, la Loggia Santa Ninfa, la Kalsa Sant’Agata, il Seralcadio con Sant’Oliva, su tutti i mandamenti troneggia Santa Rosalia in particolare viene venerata nel rione del “Capo” per via della presenza della casa del famoso saponaio che ne svelò dove si trovavano i resti della Santa.

Il “Capo”, dove maggiormente la famigerata setta agiva e si muoveva indisturbata, rappresenta la parte più alta del mandamento “Monte di Pietà” nella vasta zona trans-papireto localizzata nel “Seralcadio” (7), configurato da diversificati rioni come “La Guilla, il Papireto e il Noviziato”, gli abitanti di ogni singolo rione sono fieri di appartenere a questa o a quella contrada con la personale identificazione.

Era ed è occupata in massima parte da una edilizia popolare dove emergono strutture e complessi monastici autorevoli come quello degli “Agostiniani” e degli “Agostiniani scalzi”, dal convento dei “Mercedari”, dei Benedettini e dai Gesuiti, dal monastero francescano di S.Maria di Monte Oliveto, quello di Montevergini e delle suore cappuccine, dal conservatorio di S.Agata alla Guilla, dal collegio del “Giusino” e quello di Maria al Capo, dal vasto monastero di S.Vito, da quello benedettino della “Concezione”.

Le chiese parrocchiali erano due: la chiesa di Santa Croce, oggi distrutta e, da sempre è stata quella dedicata a San Ippolito, anticamente dava il nome alla contrada, risalente al XIV secolo, di questo periodo conserva soltanto un piccolo affresco bizantineggiante che raffigura la Madonna con il Bambino, ristrutturata nel 1728; l’interno è costituito da tre navate e, nell’altare maggiore è esposta la tela raffigurante "Il Martirio di Sant'Ippolito" del 1728, opera di Filippo Randazzo.

Nel territorio sono distribuite altre chiese che appartengono alla pia devozione delle numerose confraternite, che sono presenti nel quartiere sin dalle loro origini, altre qui trasferitesi da altre parti della città per necessità di locazione.

Antiche e moderne, tuttora sono strumenti di  sostentamento e solidarietà, hanno rappresentato un punto di riferimento per i diversi rioni, non solo per i componenti del misterioso sodalizio, ma sopratutto per la gente che l’abitava.

La maestranza dei muratori e manovali del 1674 successivamente cambiò il nome in quello di Santa Rosalia e acquisì il privilegio del porto e riporto dell’urna della Santa, la loro chiesa è intitolata a Santa Rosalia ai quattro SS. Coronati.

La confraternita di Maria SS. Delle Grazie ai “Pirriaturi” è la più antica presente nel mandamento, essa risale al XVI secolo (1557) ed è costituita dalle maestranza dei cavatori di cave, volgarmente detti pirriaturi da “pierre” pietra.

Nel 1590 i padri Mercedari spinsero alcuni laici a fondare la confraternita della Madonna della Mercede, comunemente detta “a’ Miccè”, i locali da loro occupati sono quelli presenti all’interno della vetusta chiesa, il vecchio convento da tempo è stato distrutto ed era ubicato nella spianata della piazza “Capo”, denominazione che riguardava la parte superiore di questo mandamento, ma per comodità, tutti i palermitani si riferiscono all’intera area abbreviandola con la semplice frase “ ù Capu”.

La compagnia di Sant’Onofrio fondata nel 1568 da alcuni fedeli a questo Santo Asceta, il loro patrono nel 1620 è stato eletto patrono della città di Palermo, la loro chiesa si trova nell’omonima piazza, una volta limitrofa al macello comunale.

Nel 1736 un gruppo di operai di diverse arti e mestieri fonda la congregazione dedicata a Maria SS.del Lume, questa definizione era sta attribuita per la presenza della loro chiesa in via Lume, adiacente al Noviziato dei Gesuiti, distrutto il tempio, i confrati si stabilirono sin dal lontano XVIII secolo nei locali della chiesa di San. Sanislao.

La chiesa di S.Maria di Gesù detta anche “S.Maruzza” dei “Canceddi” ubicata nella piazza Beati Paoli apparteneva ai lavoranti conduttori di muli da basto che trasportavano le mercanzie con grandi ceste di vimini chiamate “canceddi”.

La maestranza che la possedeva fu fondata nel 1509, successivamente dopo che si sciolse la concesse all’opera dei fanciulli orfani che la lasciarono per trasferii nel 1577 nella chiesa di S.Rocco ubicata nella stessa piazza; la confraternita possedeva una bella statua della Vergine che portava in processione, attualmente custodita nella chiesa dei Pisani.

La chiesa di San Rocco fu edificata nel 1575 in onore al Santo taumaturgo per la guarigione della Peste, nel 1604 scioltasi la congrega, fu assegnata a quella dei SS. Cosma e Damiano che la tennero fino al 1970, l’edificio quindi fu chiuso al culto e la confraternita estinta, le statue dei Santi Martiri trasferiti nella chiesa parrocchiale di S.Ippolito.

I carrettieri posseggono la loro chiesa nell’omonima strada nella contrada Papireto, dedicata all’Angelo Custode, e la confraternita fu fondata nel 1699 quando comprò alcune case del rione per fabbricare il tempio che fu edificato nel 1701.

La chiesa a cui si accede da uno scenografico scalone tipicamente barocco è decorata all’interno da stucchi e festeggia il suo Santo protettore il 2 ottobre portandolo in processione per le vie del quartiere.

Nel rione papireto, i calzolai avevano la loro chiesa in via Gesù e Maria di cui presero il nome della confraternita fondata nel 1716 di cui era la sesta congregazione dedicata a Gesù e Maria.

La Nazione Pisana aveva la sua chiesa ubicata nel rione “guilla” nella piazza dei SS.Quaranta Martiri di cui prese il nome, edificata nel 1605 nel frontespizio della facciata spicca lo stemma della città di Pisa, l’attuale confraternita dei pisani che la gestisce dal 1958 è dedicata a Maria dei Sette Dolori, la sua festa con un bellissimo fercolo con la statua in legno dell’addolorata trafitta nel cuore da sette pugnali in argento si svolge verso la fine del mese di settembre.

Un’altra Nazione, quella Veneziana aveva la sua chiesa dedicata a San Marco nell’omonima piazza, da tempo scomparsa, le strutture oggi ospitano una casa di riposo.

La chiesa dei Lucchesi in via S.Agostino, dedicata al SS.Crocifisso, oggi è un magazzino, il Crocifisso venerato dal consolato della seta si trova alla Galleria Regionale Siciliana.

La Commenda dell’Ordine Cavalleresco dei gerosolimitani aveva l’ospedale e la chiesa ubicati, nell’odierna via Beati Paoli, delimitati da un retrostante giardino dove anticamente si trovava la copiosa fonte, che diede il nome alla zona, oggi deturpata, apparteneva al palazzo dei principi di S.Isidoro; in questo luogo vi era una taverna detta in gergo della “Cuncuma”.(8)

Nella chiesa, costruita nel 1165 e rifatta con nuove fattezze nel 1669, dal 1947 vi è ospitata la confraternita di Maria SS.Addolorata del Venerdì Santo che in quel giorno porta in processione i simulacri della Vergine e del Cristo morto.

Altre confraternite esistenti nella zona sono ospitate in strutture religiose come quella di Maria SS. della Concezione nella omonima chiesa o come quella di Maria SS. del Paradiso all’interno della chiesa di S.Gregorio Magno o i Terziari di Santa Rita all’interno del complesso Agostiniano.

Esistono anche degli importanti Oratori come quello dei SS.Pietro e Paolo, dei Pellegrini, dell’Ecce Homo, quello di S.Stefano, di S.Agata Li Scorruggi, di S.Vito detto di “San Vituzzu”, oggi trasformati a nuova destinazione.

Territorio poco appetibile per l’edificazioni delle dimore nobiliari, per via che nella zona interna persistevano le paludi del “papireto”, si cominciò a fare la bonifica dopo l’interramento del fiume (1591); quindi, nel XVIII secolo, i principi di Buonriposo fecero nascere una nuova entità costruttiva e creare un rigoglioso rione detto del papireto.

I pochi palazzi nobiliari, presenti si debbono a famiglie che di antica data erano proprietari dei terreni che facevano coltivare ad ortaggi e legumi, o piccoli imprenditori che abbellivano la loro dimora come segno d’influenza economica.

Palazzo del Castello principi di S.Isidoro della fine del XVI secolo con un bellissimo portale d’ingresso tutto “bugnato” che si apre su via S.Agata alla “guilla”, ancora presente è il passaggio sospeso che univa il palazzo con il magnifico giardino, trasformato in tempi recenti in arena per cinematografo.

Palazzo Guccia costruito sul “bastione della balata” al papireto della metà del sedicesimo secolo, Palazzo Fernandez fabbricato come infermeria del Ritiro delle figlie della Carità per l’adiacente conservatorio del “Filippone”.

Palazzo Molinelli di S.Rosalia edificato verso la fine del XVI secolo dallo spagnolo Bernardo de Ljermo, passato nel XVIII secolo alla famiglia Molinelli, palazzo Artale di Collalta costruito nel XVII secolo, ha il prospetto contiguo alla chiesa della Badia Nuova, il suo fronte è esteso lungo la via Artale di cui prende il nome, palazzo Leone-Cupani di origine seicentesca fu costruito per volontà dei Branciforte, principi di Butera, passato in seguito ai principi del Castillo di S.Isidoro.

Il Monte di Pietà (9), nella omonima piazza, è l’unico vasto edificio che nasce come opificio per la fabbrica dei panni, visto che nelle vicinanze passava il fiume papireto di cui sfruttava le acque.

L’edificio più rappresentativo del quartiere, tanto da dare il nome al mandamento e alla contrada, preso come simbolo della miseria dei suoi abitanti, innalzato nel XVII secolo, dopo l’interramento del fiume, verso l’inizio del seicento divenne opera “pia” come Monte per i pegni, il palazzo che si presenta con uno sviluppo lineare, ha all’ultimo piano un ampio loggiato, a suo tempo utilizzato per la stesura dei panni per la asciugatura.

Palazzo Trucco, edificato per conto del barone Naso nel XVII secolo, si mostra oggi nella seconda veste conferitagli nel settecento dai nuovi proprietari i marchesi Celeste di S.Croce, successivamente passò a Gianbattista Trucco ricco commerciante che lo rivendette nel XX secolo ai La Motta, baroni di S.Silvestro, alla sua destra rimane un altro palazzotto riferibile al XVIII secolo, nel prospetto mostra un’insegna dove campeggia un leone rampante contro un sole splendente, l’indicazione lo fa risalire alla famiglia dei baroni Naso.

Palazzo Barlotta principi di S.Giuseppe in via S.Agostino risalente al XIV secolo, rimaneggiato nel seicento dalla famiglia Bologna, l’edifico si presenta con tre elevazioni con il frontespizio abbastanza ampio, il suo interno è articolato attorno a due cortili.

Palazzo di Grazia di origine seicentesca dove funzionò per tutto il seicento l’officina della zecca, la attigua stradina porta il toponimo della antica zecca detta “siccheria”.

Nella via Judica si affaccia il vasto edificio settecentesco appartenuto alla famiglia Judica procuratore del tribunale governativo.

Altri palazzotti barocchi sono disseminate nella zona, dove fanno bella eleganza le inferriate dei balconi o delle belle stuccature in gesso, antico retaggio artistico dei nostri artigiani.

Un esempio è il palazzo Serenari, seicentesco appartenuto alla famiglia del pittore Gaspare Serenario dove ebbe i natali e dove visse, sue opere si trovano in diverse chiese di cui quella di San Francesco da Paola. I balconi conservano ancora le inferriate con il tipico andamento a petto d’oca, la costruzione possedeva un loggiato ancora esistente, il Di Giovanni la identificò come torre Montalbano; tutti i residenti, conoscono questo palazzo come quello del La Motta.

Una delle strade principali che taglia in senso trasversalmente il mandamento nella parte più alta del “Seralcadio” è quella che ospita il più antico mercato detto del “capo”, nel periodo in cui era attraversata dal fiume “papireto” questa zona era molto paludosa e malsana: via di Porta Carini.

Il mandamento nel contesto delle mura aveva due Porte tangibili per avvicendarsi in campagna: D’Ossuna e quella di Carini, una terza porta è in comune con il mandamento dell’Albergheria cioè Porta Nuova, la quarta porta Maqueda con il mandamento Loggia.

Oltre alle porte citate esso aveva tre Baluardi costruiti nel XVII secolo a difesa delle mura: quello del papireto o della “balata” e il Baluardo Gonzaga ancora oggi esistenti, quest’ultimo nel 1781 vi fu sistemato un giardino pensile, il bastione Aragona o del Noviziato trasformato e ampliato nel 1781 vi fu impiantato il primo Orto Botanico di Palermo, concesso nel 1866 alle suore del monastero della Concezione vi costruirono dei padiglioni ospedalieri che si mantennero fino all’ultima guerra, distrutto nel 1932 per far posto al nuovo palazzo di Giustizia.

Dalla Porta Carini (10), più volte ricostruita, oggi vediamo quella realizzata nel 1782 dalle monache del monastero di San Vito per realizzare la loro loggia, si entra nella strada-mercato che attraverso la via Carini, via e piazza Beati Paoli, via S.Agata alla Guilla raggiunge, costeggiando il piano della cattedrale e, quindi il Cassaro.

Dalla piazzetta D’Ossuna (11), dove anticamente esisteva una Porta che dava accesso in città dalla campagna, si perviene in via Cappuccinelle, chiamata così per via della presenza del monastero cappuccino, scende verso la piazza “Capo” e incrociando la strada di Carini forma un piccolo crocicchio, da qui ha inizio la via Sant’Agostino (12) che si prolunga per giungere in via Maqueda.

Anticamente era questa la strada principale del mandamento che lo taglia in senso perpendicolare, si dipartiva dalla Porta D’Ossuna, per arrivare, attraversando la via “Nuova”, fino al mare.

La via Matteo Bonello (13) era anticamente l’arteria principale della parte alta del Capo, questa dipartendosi dal Cassaro, al confine con la “Galca”, longitudinalmente raggiungeva la contrada del Noviziato, oggi troncata per via della costruzione dell’area dell’autorità giudiziaria, si limita all’angolo con la via Cappuccinelle.

La via Panneria che fiancheggiava il corso del papireto prima che fosse interrato, si dipartiva dalla palude, oggi piazza Peranni(14), via Gioiamia, si spingeva per piazza Monte di Pietà, via Iudica, via Pannieri, era questa una strada dove abitavano coloro i quali vendevano o lavoravano i panni, si giungeva in piazza S.Onofrio (15) e quindi vicolo dei Giovenchi in via Maqueda.

Lungo la via Panneria limitrofa alla chiesa dei Santi Medici (SS.Cosmo e Damiano) si trovava un macello, mutato in tempi moderni in luogo di vendita, esso ricadeva tra la piazza S.Cosmo e la chiesa della Commenda di San Giovanni ed era ubicato nella via detta dell’Ucciditore ormai scomparsa; un altro pubblico mattatoio era sistemato in una piazzetta detta dei “caldumai” e si denominava “la Bocceria Nuova” (16), che fin dal XV secolo si estendeva fra la Discesa dei Giovenchi fino a via dei Candelai e il suo centro era la piazza dei Caldumai dove prospettava la chiesetta della “Madonna della Grazia” appartenente alla maestranza dei “Caldumai” che l’aveva costruita intorno al 1589, distrutta dai bombardamenti dell’ultima guerra.

Varie vie esistenti portano ancora i toponimi connessi a questo tipo di attività, cioè la macellazione, che comportava la presenza di lavoranti come la via sanguinazzai (17) discesa delle capre (18) e dei giovenchi (19), vicolo chianche (20), vicolo Pieduzzi (21).

In via Candelai, che è la continuazione di via S.Isidoro che fiancheggia l’omonimo palazzo ed ha inizio dalla piazzetta di Sant’Agata alla Guilla, esistevano fino a qualche secolo fa, i rivenditori di candele che producevano nelle loro botteghe utilizzando il sego, estratto dal grasso di equini, ovini e in specialmodo dai bovini.

L’attuale via “Celso”, che prende il nome dalla presenza vegetativa di un albero di gelso, dal latino “celsa” (morus) moro alto, questa antica strada detta del “cancelliere” aveva inizio all’interno del quartiere militare che da sempre è stato racchiuso da mura protettive ed invalicabili.

La sua successione stradale di conseguenza fu frazionata assumendo diverse denominazioni: via dei Pellegrini, questa attraversava i giardini dell’arcivescovato, discendendo intersecava la via Matteo Bonello passando accanto alla chiesa di S.Cristina La Vetere, oltrepassava una zona ristretta, oggi vicolo De Franco per giungere nella piazzetta Sant’Agata alla Guilla dove è presente l’omonima chiesa e iniziava la via del “Celso”, questa lunga strada portava al monastero del “Gran Cancelliere”, distrutto durante i bombardamenti dell’ultima guerra per raggiungere la via Maqueda.

Ancora strade di mestieri portano il nome degli antichi lavoranti, e davano la possibilità di essere in quel posto recapitati: via Carrettieri (22), via delle Sedie Volanti (23), via Pirriaturi (24), via Crocifissari(25), vicolo Seggettieri(26), vicolo Busari(27), vicolo Festuca(28), vicolo Travicelli(29).

Spazi come strade, vicoli e piazze ricordano particolari condizioni: via Trappetaro (30), via San Gregorio (31), via della Giara (32), via della Sfera (33), via San Giuseppe (34), piazza degli Aragonesi. Questa zona verso il 1200 era abitata da cittadini aragonesi, successivamente in questo luogo esisteva un ampio cortile (35) abitato di gente di bassa estrazione sociale, reso celebre per le continue e movimentate risse, il Cortile degli Aragonesi divenne anche il titolo delle più celebri vastasate, forse il filone più importante del teatro popolare palermitano del settecento (36), questo cortile faceva parte di una contrada, ormai scomparsa, detta appunto degli aragonesi.

La strada di San Giuliano, che conduceva all’omonima chiesa costruita dalla confraternita nel 1346 in onore di questo Santo patrono, successivamente abbattuta per far posto ad un monastero di suore Teatine, rappresentava la via fondamentale di questo rione detto di San Giuliano ad occidente di piazza degli aragonesi, distrutto e trasformato per dare posto alla costruzione del Teatro Massimo.

Essa iniziava presso la via porta Carini fiancheggiando a sinistra la chiesa e il convento di San Gregorio e scendeva per la strada di San Vito all’interno delle vecchie mura, oltrepassava il seicentesco oratorio di San Vito appartenuto all’omonima confraternita e superato il baluardo delle monache, divenuto giardino pensile, si incontrava la chiesa di Sant’Agata “Li scorruggi” (37), oggi questa via è denominata delle Mura di San Vito e si completa davanti alla Caserma “Carini” immettendosi nella piazza Giuseppe Verdi, questa strada anticamente costituiva il camminamento parallelo delle mura cinquecentesche.

A pochi metri s’incontrava la chiesa di San Giuliano con l’annesso monastero e scendendo ancora il monastero di San Francesco delle Stimmate detto la badia delle Nobili o delle Dame, il prospetto della chiesa mostrava la sua bella facciata in pietra da taglio nella via Maqueda, anche questo monastero venne demolito e la sua area venne in parte occupata dal teatro, dove una leggenda popolare racconta di un’apparizione di una parvenza.

Di questo quartiere oggi resta soltanto un toponimo che si riferisce ad un cortile di San Giuliano che è ubicato nella odierna via Scarlatti, il nuovo assetto urbanistico cambio anche i nomi alle vie prediligendo quelli di musicisti per via del vicino teatro.

I luoghi e le consuetudini dei suoi abitanti poco sono cambiati rispetto al periodo in cui si sono trattati, in tempi recenti, le circostanze che hanno mutato la topografia di questo mandamento, sono da riscontrare nei tre pseudo risanamenti effettuati con la demolizione del rione degli aragonesi per creare il nuovo mercato recintato, quello del rione “Concezione” per dare luogo alla costruzione del palazzo di Giustizia e quello del rione “San Giuliano” per attuare il progetto che permise la costruzione del Teatro “Massimo”, oggi si assiste ad un nuovo rinnovamento urbanistico che sta riportando gli attempati splendori architettonici.

La maggior parte degli abitanti ha abbandonato questi rioni, ben volentieri ritorna sui luoghi in cui è nata per ritrovare le vecchie consuetudini, i pochi artigiani presenti continuano alcuni mestieri ormai scomparsi del tutto, il mercato continua la sua millenaria attività che lega il presente con il passato.


NOTE

1 - Il Cassaro rappresenta l’odierno corso Vittorio Emanuele, per quanto riguarda le “logge” vedi articolo su Panormus 

2 - Questo incrocio che venne abbellito nei quattro cantoni, unico in tutto il mondo, detta
abitualmente piazza del “sole” perché durante il giorno viene illuminato dai suoi raggi.

3 - Il Pretore rappresentava l’odierno Sindaco, la sua giunta rappresentata da sei senatori.

4 - In quella occasione si facevano giostre, pali della cuccagna e macchine per i*giochi d’artificio,
durante la festa era solito organizzare la “beneficiata”, una specie di lotteria.

5 - Si utilizzava per le celebrazioni dei processi del S.Uffizio, chiamati “atti di fede”, in questo
luogo se ne svolsero cinque dal 1607 fino al 1724.
Il loro palazzo era ubicato nella piazza Marina “lo Steri” e comunemente le sentenze si
svolgevano in questa piazza con l’istallazione di roghi.

6-7- Il Seralcadio, già citato in un documento del 1366 è definita la parte superiore “capite
superiore”, successivamente chiamata “Caput Seralcadi”, da cui è rimasto il solo nome di
“Capo”.*

8 - Questo giardino chiamato “Cuncuma” era molto rinomato per la bontà dei suoi frutti, ivi
Era un’osteria dove, come è attestato da un manoscritto del XVII secolo si riunivano li
“guappi e taglia cantuni di Palermo”, da cui sarebbe derivato il detto “essiri di la cuncuma”.

9 - Detto anche della “Pannaria”, venne fabbricato nel 1550, in seguito a monte dei pegni nel
1591, l’orologio che ancora si vede nel 1684.

10 – Questa porta, che da il nome anche alla via, fu voluta dal principe di Carini La Grua, da
essa, si poteva attraverso la campagna raggiungere Carini, dalla strada per il Cassaro il
palazzo dei La Grua.

11- La porta intitolata al vicerè Pietro Giron, duca di Ossuna fu aperta nel 1615, faceva parte
delle mura cinquecentesche e, consentì agli abitanti del luogo di collegare la campagna
verso il convento della Nunziata alla “Zisa”.

12 – La strada è quella principale che attraversava tutto il mandamento dalla montagna al mare,
definita tale per la presenza del convento degli Agostiniani giunti a Palermo nel 1275.

13 – L’odierna via Matteo Bonello era anticamente chiamata via dell’Angelo Custode, in questa
strada ancora oggi sorge la chiesa appartenente al “ceto” degli “Staffieri”, era anche detta
“discesa della Cattedrale”.

14 – Dedicata al Sindaco di Palermo che la governo dal 1868 al 1873, la zona prima che il fiume
Papireto fosse interrato era paludosa, da moltissimi anni vi ha sede il popolare “mercato delle
pulci”.

15 - Questa piazza deve il suo nome alla presenza della chiesa a questo Santo eremita a cui è
dedicata, detto “ù pilusu” è protettore dei parrucchieri e dei tessitori.

16 - La Bocceria della carne o Bocceria nuova fu chiamato così per distinguerlo dal più antico
Mercato della Bocceria della foglia, l’attuale Vucciria.

17 – In questa via abitavano coloro i quali confezionavano i sanguinacci.

18 – Era la strada da dove obbligatamente far passare le capre dirette al macello.

19 – Da questa discesa venivano spinte le bestie per la macellazione.

20 – In questo vicolo si apprestavano i grossi ceppi dove veniva appoggiata la carne per essere
macellata.

21 – Il vicolo ricorda i piedi dell’agnello o del capretto, che una volta spelati e bolliti venivano
venduti.

22 – Vi abitavano ed avevano bottega i fabbricanti di carri.

23 – Qui avevano le officine i costruttori di portantine che portate a spalla, erano dette “volanti”,
perché stavano sollevate e, quindi in alto.

24 – I Pirriaturi erano i tagliapietre che cavavano la pietra dalle “pirrere”.

25 – Erano questi artigiani specializzati nella fabbricazione di crocifissi in osso.

26 – Era questo il vicolo in cui abitavano i portatori di sedie e lettighe.

27 – In questo vicolo c’erano donne che lavoravano calzette con dei ferri chiamati busari.

28 – Qui i lavoranti del pistacchio “fastucara” spaccavano il nocciolo di questo frutto.

29 – I carpentieri, in questo luogo preparavano le travi per puntellare le fabbriche murarie.

30 – Vi era presente un frantoio per la macina delle olive per ricavarne olio.

31 – Questa via è dedicata a San Gregorio Magno a cui è intitolata la limitrofa chiesa appartenente
agli Agostiniani Scalzi.

32 – La presenza di un serbatoio dell’acqua la indicava.

33 – Nelle frequenti processioni che si svolgevano in questa contrada, si era soliti erigere degli
altarini dove si poneva l’ostensorio, detto in siciliano “sfera”.

34 – Questo nome si riferisce alla presenza del palazzo della famiglia Barlotta, principi di San
Giuseppe.

35 - Questo esisteva fino alla metà del XX secolo, al suo posto si costruì l’odierna piazza nel
cui centro si eresse un mercato coperto, successivamente trasformato in uffici della polizia
comunale e quello d’igiene.

36 - E a causa di questa celebre farsa che quando il palermitano vuole offendere una donna
pettegola e schiamazzante la chiama “curtigghiara” cioè donna di cortile.

37 - Corruzione della parola “scorruje” che vuole dire scodella, che veniva usata per bere una
acqua miracolosa di un pozzo che si trovava nell’interno della chiesa.


BIBLIOGRAFIA

- M. Di Liberto - Nuovissimo stradario storico della città di Palermo Ed. Grifo 1995.
- M. Mimmo Gambino – Dietro le quinte del Teatro del Sole – Ed. Brotto 1988.
- R. La Duca - I mercati di Palermo – Ed. Sellerio 1994.
- A. Chirco - Palermo, la città ritrovata – Ed. Epos 1997.
- V. Di Giovanni - Palermo restaurato – rist. an. – Ed. Sellerio 1989.
- C. Piola - Una corsa per Palermo – rist. an. – Ed. Il Vespro 1977.
- C. Di Franco - I quattro mandamenti di Palermo rivisitati – Ed. E.D.R.I.S.I. 1992.
- G. Mantovani
- F. Montemaggiore
- C. Ferrara - Arte e Folklore nei mercati di Palermo – Ed. E.L.S. 1993.
- Panormus – usi e costumi della città di Palermo e dintorni.


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