di Carlo Di Franco
Di misteri Palermo ne nasconde parecchi, ma c’è ne uno che dura
cinque secoli, il segreto di una setta che ha attraversato vicoli e
sotterranei del centro storico, osannati o maledetti: erano i
Beati Paoli.
Chi erano veramente questi “scellerati”, come li definì il Marchese
di Villabianca che ne parlò in uno dei suoi diari palermitani, uno degli ultimi “Opuscoli” scritti nel 1790
?
La loro vicenda, inquadrata in un contesto settecentesco, si
snoda lontano dal mare, dai colori e dalla luce dell’abbagliante
sole palermitano, si dipana nel cuore segreto di Palermo, tra gli
antri oscuri e le gallerie sotterranei di uno dei quartieri più
popolare,
“il Capo”.
Ancora oggi, in questi luoghi, quando si accenna alla loro
esistenza, l’uomo di strada si cela dietro un alone di omertà,
infatti, sembra impossibile pensare, a distanza di tanti secoli dal loro
presumibile scioglimento, che sono protetti dal popolo incredulo, ogni
qualvolta a Palermo si scopre una cavità sotterranea tutti ricorrono
mentalmente alla famosa setta d’incappucciati.
Misteriosa e temuta, questa setta operò tra la fine del XV e la
prima metà del XVI secolo, nata dallo strapotere e dai soprusi dei
nobili, che amministravano direttamente la giustizia, agiva
nell’ombra e nella massima segretezza per proteggere i deboli e gli
oppressi.
Di questa setta l’origine è oscura non esistendo fonti storiche e
tanto meno documenti che possano attestare la loro esistenza, la sua
storia fu tramandata esclusivamente dalla tradizione orale e tutti i
letterati attingono nel famigerato “Opuscolo” dell’erudito
palermitano che ne descrisse i luoghi e il suo famigerato tribunale,
anche gli autori come il Linares ed il Natoli in seguito hanno
attinto da esso, fino a quest’ultimo quando all’inizio del novecento
pubblicò il romanzo “I Beati Paoli”: lo scrisse tra il 1909 e il
1910 come
romanzo d’appendice che veniva regalato dal Giornale di Sicilia ai
propri lettori, ebbe un successo enorme, è compi un miracolo
retroattivo, diede concretezza ad una favola, quello che era stato
un racconto un po’ confuso e con mille particolari diversi secondo
il narratore, acquistò dignità, diventò realtà accettata da tutti,
forse grazie alle diverse descrizioni di angoli della città, in cui
si svolgevano gli avvenimenti, realmente esistenti ed
all’inserimento di personaggi operanti nella vita quotidiana
palermitana di quel periodo settecentesco, dame incipriate ed
intricate, cavalieri ardimentosi che si battevano per difendere
l’onore di queste donne insidiate, avvelenatrici che spacciavano
veleno in una società sfarzosa, dove sbocciavano amori purissimi e
passioni insane, circolavano “sbirri” che indagavano per loschi
interessi, inseriti per impressionare la fantasia popolare.
Il Villabianca nel suo “opuscolo” (tomo XVI) fa capire, con
qualche rivelazione incerta, l’esistenza della setta dei Beati Paoli
che viene fatta risalire alla fine del XII secolo e noti con
l’antica denominazione di “Vendicasi” e, allegando nientemeno che
dei nomi di alcuni dei suoi adepti: il “razionale” Girolamo Ammirata
impiccato al piano del Carmine nel 1723, il maestro scoppettiere
Giuseppe Amatore passato per la forca nel 1704 nel piano della
Cattedrale, ed il consapevole amico del Marchese e famoso cocchiere
Vito Vituzza.
Nel romanzo natolitano, i Beati Paoli, si comportano a fin di
bene, tolgono ai ricchi e danno ai poveri, le gesta di questi uomini
che all’occasione risultavano essere incappucciati e, vestiti di un
saio nero dei frati minimi di San Francesco di Paola, punivano i
potenti responsabili di soprusi sfuggendo alla legge costituita.
Palazzi e chiese erano collegati da una fitta ragnatela di
cunicoli che permettevano agli appartenenti alla setta di agire
indisturbati e di trovarsi là dove nessuno se lo aspettava, infondo
così racconta la leggenda.
Come è legato San Francesco di Paola ai Beati Paoli ? Solo ed
esclusivamente all’abito che indossavano e, per la vicinanza del
convento al quartiere in cui essa agiva e alcuni narratori vogliono
dire alla presenza di un pozzo che comunicasse con la fitta rete
sotterranea del “Capo”.
Gli adepti venivano prelevati di notte e condotti nel covo
segreto della setta per essere affiliati con il rituale clandestino,
la stessa procedura di prelevamento seguivano gli imputati e davanti
ad un tribunale venivano interrogati e a volte sentenziati a morte.
Processavano chi abusava del proprio potere e della particolare
posizione sociale, per commettere soprusi ai danni dei più deboli ed
indifesi.
Chiunque avesse subito un’ingiustizia poteva contare su
l’intervento di questa società segreta, che emetteva verdetti
inappellabili e spietati, chi veniva condannato a morte, senza
scampo, la sentenza veniva eseguita a colpi di pugnale.
“Era una specie di grotta, scavata nel tufo di forma circolare a
cupola, in mezzo al locale vi era posizionata una tavola di pietra,
l’uomo che aveva dato l’ordine stava seduto dietro quella tavola, il
suo cappuccio nero era ampio e tutto chiuso come i confrati
incappucciati e gli scendeva in mezzo al petto” così lo descriveva
nel suo romanzo il Natoli il loro tribunale con il “Capo” che
sentenziava.
Il misterioso antro, visitato nella seconda metà del settecento
dal Marchese di Villabianca di cui lasciò un’ampia descrizione di
quello che aveva visto nei suoi “opuscoli palermitani”...
E’ proprio li, immersa nel trambusto di uno dei più vivaci mercati
popolari di Palermo, quello del “Capo”, una targa marmorea, ben
visibile sulla facciata di un vecchio palazzo, che non lascerebbe
dubbi, nella quale sono incise queste parole: “Antica sede dei Beati Paoli”, voluta espressamente nei secoli passati da un altro versato
che la visitò: Vincenzo Di Giovanni e, che da diversi anni rimane
nell’oblio per intrecciare ancora una volta la realtà con la
leggenda.
“La casa dell’avvocato Giovambattista Baldi si trova a San Cosimo
nella vanella di Santa Maruzza, nel quartiere Capo.
Dal primo piano dell’ingresso di questa casa, passando per una
porticina, si arriva in un piccolo baglio scoperto, in cui sorge un
basso albero boschigno, e il piano su cui si cammina non è altro che
lo strato di una volta ben larga, che copre la grotta sottostante.
Nel centro della volta vi è un occhio con grata di ferro che
serve da spiraglio e lume alla sotterranea caverna.
In questa scendersi per cinque scoglioni di pietra rustica che in
faccio presentarvi in una piccola oscura stanza con in mezzo un
tavolo, da qui si entrava nella principale grotta ove trovasi una
ben larga camera con sedili tutto all’intorno e col comodo di cava o
sia nicchie e scansie nelle quali si posavan l’armi si di fuoco che
di ferro”...
"…or qui adunavansi questi sectarij e vi tenevano le loro
congreghe in luoghi oscuri e dopo il tocco della mezzanotte vi
capitavano onde e tutte facevansi a lume di candela”.
Aggiunge il Villabianca che, oltre l’ingresso di casa Baldi, in
vicolo degli Orfani esisteva un altro accesso alla grotta.
Oggi, dopo un accurato restauro della zona, la grotta con gli
annessi ha riaperto una nuova ipotesi su quella che di tanto mistero
avvolse la fatidica setta.
Essa, fa parte di un complesso di cavità di quello che era il
letto naturale del fiume Papireto, ricavata nella sua sponda di
sinistra in un grosso blocco di calcarenite.
Nei secoli, venne interessata, ora come luogo di riunione
segrete (secondo quanto tramandatoci dalle tradizioni), ora come
butto, cioè come immondezzaio privato, sfruttando la preesistenza
dell’ipogeo, ora come rifugio durante le incursioni aeree della
seconda guerra mondiale.
Ma la vera funzione per cui fu utilizzata sin dal XVIII secolo, per
le sue caratteristiche si richiama a quelle che erano le “camere
dello scirocco”.
Il baglio scoperto esiste ancora, sul retro della chiesa di Santa
Maruzza di cui ne è la quinta, era fino a poco tempo fa un piccolo
giardino, ma l’albero boschigno che copriva l’accesso alla grotta è
stato tagliato tanto tempo fa, dopo il restauro del baglio si è
ricavato un cortile lastricato che serve come accesso.
All’antro, accessibile da nove gradini, si perviene attraverso un
piccolo ingresso che dà sul vicolo degli Orfani dove è presente una
vasca seicentesca con un ninfeo in pietra lavica, alimentata da una
vecchia torre d’acqua.
Al centro di essa si vede ancora il buco o lucernaio, ostruito
dal recente rinnovamento della palazzina soprastante (ex palazzo
Baldi).
La cavità in un angolo, nella parete di sinistra, contiene un
profondo pozzo seriale con piccoli incavi dette “pedarole” per
raggiungere la sorgente alimentata da acqua limpidissima.
E’ attorniata da un sedile in pietra ricavato nella stessa
roccia, nella parete di destra è ricavata una nicchia aperta che fa
pensare ad un passaggio.
Accanto ad essa, alla profondità di tre metri e mezzo, c’è un
cunicolo che porta ad altre grotte, che sicuramente custodiscono
nuovi misteri.
Cunicoli che affondano la sua distesa rete in una presenza presso
il più vasto dei complessi cimiteriali ipogei conosciuti a Palermo,
le Catacombe paleocristiane dell’IV-V secolo d.c., e si dipartono
oltre le antiche mura di Porta d’Ossuna, nella depressione naturale
del trans-papireto che si distribuiscono all’interno del quartiere,
il “Capo”, segreto di quell'imprendibilità che contribuì ad
alimentare il loro mito e l’alone di mistero che li circondava.
I giustizieri erano in grado di apparire misteriosamente al
cospetto della vittima designata, colpire e sparire rapidamente.
L’esistenza di altri ipogei nel sottosuolo palermitano come:
cripte al di sotto delle chiese o quella della canalizzazione delle
acque “qanat” o passaggi scavati sotto terra creati di proposito
come quello delle monache di Santa Caterina per raggiungere un
loggiato sul Cassaro ed assistere alle varie manifestazioni che vi
si svolgevano senza essere viste.
O semplicemente per creare un accesso per scendere nella
sepoltura sottostante come il curioso scanno di un mobile di
sagrestia in legno intagliato che si trova all’interno della
seicentesca chiesa di San Matteo.
Grazie a questo reticolo di cunicoli estremamente esteso che,
l’autore del romanzo mette in evidenza, che attraversava tutta
Palermo ed arrivava fino in aperta campagna permettendo ai
fuggiaschi di scomparire.
Esplorati in tempi recenti, sia questi descritti, sia gli altri
ipogei poco conosciuti non rivelano i loro segreti, conservano
ancora i loro misteri.
Realtà o leggenda, a noi piace credere che i Beati Paoli
siano realmente esistiti e perché no, un giorno forse ritorneranno
all’azione, per adesso la loro storia rimane nascosta tra i mercati,
le mura e le chiese di una delle più affascinanti città... Palermo.
Bibliografia
Carlo Di Franco – Il misterioso Antro- riv.
Sikania – n° 3 marzo 1999.
Luigi Natoli – I Beati Paoli – Flaccovio editore.
Pietro Todaro – Guida di Palermo sotterranea – ed. Epos.
F.Paolo Castiglione – Indagine sui Beati Paoli – ed. Sellerio.
Il presente testo a dato la possibilità di creare
un cortometraggio trasmesso successivamente su canale 412 "la
macchina del tempo" palinsesto SKY nella rubrica “l' Italia dei
misteri” trasmessa nel mese di febbraio 2005 .