Tradizionalmente la forma classica è quella rotonda e
di una certa ampiezza e soprattutto di vimini, perché a chi l’osserva
non deve apparire ridicolo, perché per i palermitani l’apparenza è un
fattore fondamentale.
Selezionata la dimensione del cesto, bisogna
riempirlo, la prima cosa che viene immessa al centro della sua capienza
è la “pupaccena” celebre figura antropomorfica, cioè a forma umana,
chiamata comunemente "i pupi ri zuccaru" o Pupaccena: una
statuetta cava fatta di zucchero indurita e dipinta con colori leggeri
con figure tradizionali (Paladini, ballerini ed altri personaggi del
mondo infantile).
Tuttavia da tempo a questa parte si rammentano nuove
forme come quelle di animale: cavalli, cagnolini, galli e tanti altri
che, spesso richiamano i momenti attuali come la statuetta a forma di
zucca che richiama la festa di "Halloween", tanto per stare al passo con
i tempi di altre culti.
La figura più popolare è un baldanzoso pupo di
zucchero che raffigura il classico paladino, a cavallo e non, figura
eroica dei mitici paladini del teatro popolare, che nella Sicilia
orientale è scomparso del tutto, nella sua particolare produzione di
questo manufatto di cui vanno fieri i dolcieri palermitani.
Al centro del cesto, adornato con carta colorata,
viene sistemata “pupaccena”, che sovrasta il tutto con la sua imponenza
silenziosa.
Attorniata ad essa viene disteso, come riempimento, un letto di “frutta
secca”, primizie di stagione come: noci, mandorle, nocciole, castagne,
fichi secchi e datteri, melograni, che capeggiano in bella vista.
Non deve assolutamente mancare “ù scacciù” un miscuglio di differente frutta secca composta da “calia”
o ceci tostati, "simienza" con le sue varianti: con sale e
senza, noccioline americane (arachidi), nocciole tostate ("nucciddi
atturrati"), pistacchi secchi e salati, castagne secche (cruzziteddi),
carrube secche, "favi atturrati" (fave tostate).
Ad adornare per continuità visiva, si ci mette
dentro, fra le tante cose, una piccola bacca di colore verde “a
murtidda”, nome dialettale riferita alla bacca del mirto nero (Myrtus
communis) e, uno dei sette componenti che debbono essere presenti “nò
cannistrù”.
Questa pianta nell’antichità era consacrata a Venere
per i Romani, ritenuta anche un anafrodisiaco, la presenza nel cesto
vuole rappresentare una carica in più e, amore spirituale verso i cari
estinti.
Sopra la frutta vanno posti i biscotti tipici che ci tramandarono le
monache dei monasteri: taralli, quaresimali, reginelle, amaretti e
quelli di “pasta di miele” ricoperti di glassa bianca
comunemente detti e conosciuti come “ossa ri muortu” o
italianizzato “morticini” perché per il loro aspetto vogliono
rappresentare le ossicina dei morti.
La tradizione vuole che la notte tra il primo e il
due novembre, si appoggino sul davanzale o sulla tavola o messi in
evidenza sopra “ù cannistrù” affinché i defunti passando se ne cibano.
Ma principalmente “ù mistu” (u ruci
mmistu): il dolce misto fatto da rimasugli di biscotti impastati una
seconda volta, bianco per la velatura di zucchero e marrone per la
presenza di cacao.
I Tetù o tatù sono dei biscotti tipici
palermitani, è un dolcetto speciale per alcune ricorrenze, è il tipico
biscotto che caratterizza il giorno dei defunti.
A Palermo, si chiamano “tetù e teio”,
che tradotto vuol dire “tieni tu e tini io” per esprimere la golosità di
questi biscotti immaginando dei bambini davanti ad un vassoio che si
dicono a vicenda: tieni mangiane uno tu ed uno io fino ad esaurimento.
Per renderlo ancora più scintillante è sufficiente
aggiungere dei cioccolatini e caramelle con carta stagnola di differente
colorazione, confetti e filamenti di carta di diversi colori (adoperati
dai fruttivendoli per valorizzare la frutta esposta), che debbono
mettere in risalto la “frutta di martorana”.
Imitazione della frutta realizzata con farina di
mandorle e zucchero, successivamente dipinta, sono spesso vere opere
d'arte per la straordinaria somiglianza a quella vera: nespole,
castagne, pesche, fichidindia, banane, albicocche, mele, fragole, caki,
ciliegie, arance e tanti altri che riempiono il cesto.
Originariamente questa “frutta” non era collegata
alla celebrazione dei defunti, nata a Palermo nel monastero della
Martorana, fantasiosa opera delle suore benedettine, che vollero
regalare qualcosa di particolare al vescovo che andò a visitare il loro
monastero in periodo invernale, sorprendendo l’ospite con dei frutti
fuori stagione.
Nel 1308 Papa Clemente V fu omaggiato con frutta di
martorana sopranominata “reale” perché giustamente considerata regina
della pasticceria isolana e palermitana.
Successivamente si è diffusa anche nel resto della
Sicilia, varcando lo stretto è esportata in tutto il resto del mondo
grazie agli emigranti siciliani.
Legata al simbolismo della trasgressione, gli
zuccheri aiutano a superare i momenti bui e rallegrano il cuore, ecco
perché si omaggiano il giorno dei trapassati.
Evidente che, nel tempo, a questa strenna in dolci si
sono andati via, via aggiungendo altri regali, trasformando un culto che
affondava le sue radici nel mondo pagano in una vera e propria festa,
che i palermitani insaziabili, gradiscono molto.