All'interno
della chiesa di San'Agata la Pedata si
conserva, dentro una teca, una modesta pietra di calcare, ivi
custodita perché la gente riferisce che, secoli fa, la Santa martire,
lasciando Palermo, vi si poggio il piede per allacciarsi il sandalo e di
conseguenza lasciò impressa sulla pietra stessa miracolosamente ammorbidita,
l’orma del sandalo.
La leggenda che l’appella come cittadina
palermitana è da sradicare come pure il concetto della traccia dell’orma
in quanto restano solo fatti orali che la gente incredula ha tramandato.
Torturata a Catania più volte, Sant'Agata vi morì
martirizzata il 5 febbraio del 253, il suo culto si diffuse per tutto il
mondo cristiano.
A Palermo il pontefice Gregorio Magno, palermitano, fece
erigere nel VI secolo un monastero. Il corpo della vergine, conservato a
Catania, di cui è la patrona, prima di stabilirsi in questa città ebbe una
singolare vicenda: fa da lì sottratto e trasferito a Costantinopoli,
quindi trafugato nel 1126, peregrinò in diverse città estere e italiane, e ritornò a
Catania, non integro. Giunsero a Palermo un braccio, che si conserva nella
Cappella Palatina, un avambraccio nella Cattedrale e, l’intrecciatoio dei
suoi capelli nella chiesa di Sant’Agata alla Guilla, (quest’ultima in
resaturo).
Le altre due chiese a Lei dedicate che furono andate
distrutte erano: Sant’Agatuzza dei Carèri
(tessitori di tela) e Sant’Agata li Scorrugi, che prese il nome dagli ex voto a forma di
mammella in argento consimili a certe scodelle chiamate in dialetto
“scurruie” che poi attaccavano al suo simulacro.
Compatrona della città di Palermo, a lei
gli fu dedicato il Mandamento Tribunale; la sua effige di marmo è esposta
nel terzo ordine dell’ottangolo dei quattro cantoni di città, statua
eseguita da Nunzio La Mattina tra il 1620 e il 24.
Nell’iconografia popolare è rappresentata
legata ad un tronco d’albero ed in mezzo a due torturatori con il torace
scoperto, che gli recidono con due grosse tenaglie le mammelle, al di sopra
un angelo gli porge la palma del martirio e la corona, di conseguenza fu
ritenuta protettrice delle donne affette da male ai seni, ricorrendo a lei
per una risoluta guarigione.
Sant’Agata la Pedata detta in passato “de petra” o “de porta” per essere
situata in prossimità dell’omonima porta, venne costruita intorno all’anno
300, espressamente per accogliere il masso prodigioso, divenuto nel
contempo oggetto di venerazione.
In un piccolo altare in fondo alla navata
di sinistra è collocato al di sotto questo masso recante l’impronta che
col tempo è diventato lustrato e lisciato per i frequenti strofinamenti
che i devoti hanno esercitato con le mani ed i ripetuti baci.
Questa sistemazione è dovuta a tempi più moderni, poiché il suo restauro è
fatto risalire intorno al 1518 dove ancora si potevano scorgere le tracce
di elementi architettonici originali: questi oggi si sono persi
completamente lasciando alla chiesa uno stile indefinibile.
In primo tempo il masso ricevette una diversa collocazione, in un muro
alla parte destra della porta maggiore in una posizione privilegiata affinché i fedeli potessero arrivare a baciarlo e strofinarlo
e deponendogli ex voto e corone di fiori.
In un secondo tempo venne traslocato in una nicchia presso la porta
secondaria della chiesa; ancora una volta fu spostata in una minuscola
cappella con un proprio altare, esclusivamente realizzato a destra
dell’ingresso per potere comodamente celebrare messa-
Nell’arco della
cappella gli venne applicata una lapide datata 1642 che ricordava il
miracoloso fenomeno, oggi questa lapide è scomparsa del tutto.
Nel settecento il sacerdote Antonino
Mongitore nel descrivere la chiesa nella sua opera “istoria sagra di tutte
le chiese, conventi, monasteri, spedali et altri luoghi pii della città di
Palermo”, riferisce che rilevò scrupolosamente l’impronta dal masso, un macigno di
tre palmi per due, conservato in questa chiesa e la tramanderà, arricchita
di ghirigori e fantasie decorative come si conviene al gusto di quel
tempo.
Prima ancora di lui altri due eruditi si
erano presi la briga di analizzate l’orma e di confrontarla con altre due
esistenti a Catania, sia l’Inveges che il l’Auria confrontando una
pubblicazione catanese, di un certo Carrera, dove venivano descritte
queste impronte ritenute le uniche.
Il confronto evidenziava le concomitanze con quelle di entrambe le città,
cosicché la disputa che aveva impegnato diversi istruiti dei due
capoluoghi, rimase irrisolta. Per i palermitani rimase, nell’incertezza,
solo la fede alla Santa e alla sua sacra orma.
Rimasto il solo ed unico luogo dove ancora si venera Sant’Agata a Palermo,
la chiesa della “pedata” come abitualmente la interpellano i palermitani,
in essa si conserva una bellissima statua lignea della Santa, collocata al
di sopra dell’altare in cui viene esposto il sasso con l’orma.
La statua lignea di una altezza di 165 cm.,
raffigura la Santa giovane con il capo occupato da una corona dorata in
argento e i capelli corti secondo l’iconografia tradizionale, in abiti
regali con tunica e mantello che scendendo dalle spalle si dissipa per
tutto il corpo; collocato fra il braccio e la mano è posizionato il libro
del Vangelo, simbolo della parola di Dio, colorata con vari colori dal
dorato al chiaroscuro si presenta con un carattere del tutto devozionale.
Nella mano destra indicante e prospiciente, mostra i simboli del suo
martirio, un paio di tenaglie in argento, aggiunte in secondo tempo.
L’opera di discreta realizzazione di
qualche anonimo intagliatore siciliano risalente al seicento per le
fatture evidenziate da un recente restauro eseguito dalla sovrintendenza
ai beni culturali.
In tempi passati esistendo, sino al 1932, una confraternita a Lei
dedicata, portava questo simulacro in processione per le vie del
quartiere.
Essa era organizzata da un cospicuo numero
di confrati che si erano costituiti in congregazione nel 1842 ed aveva
avuto approvati i “Capitoli” dal marchese Spaccaforno che fu luogotenente
del regno nel 1865.
Scopo di questa era il sostenimento fisico e spirituale dei confrati
attraverso un’unione di mutuo soccorso, il loro abitino era di colore
azzurro e portava al petto una placca metallica recante l’effige di Sant’Agata.
In precedenza era la congregazione dei Maniscalchi che nel 1680 si
distacco da un gruppo di corporazioni formate da maestranze di fabbri,
schioppettieri, coltellieri e chiavettieri che presero in uso la chiesa di
Sant’Agata “la pedata” nel 1575 dove vi innalzarono una cappella
dedicandola al loro patrono Sant’Eligio.
Riunitosi in pia aggregazione, si riposero sotto la protezione della
venerata Sant’Agata; in suo onore fecero realizzare un fercolo
processionale e affidarono l’incarico all’architetto Paolo Amato.
Il fercolo processionale, la “vara”,
artisticamente è databile intorno al 1600 ed è costituita da un grosso
cubo dorato e possiede, nei quattro lati, delle raffigurazioni sulla vita
della Santa, in particolare ve ne è una dove è raffigurato il vecchio “Genio
di Palermo” che presenta la Santa neonata al cospetto di Dio con Angeli e
Cherubini per il battesimo.
Questa confraternita fu abolita sicuramente nel 1821 ma non si conoscono i
motivi, presumibilmente da attribuire alle oppressioni borboniche.
Ancora oggi il suo culto è molto sentito,
preghiere e devozioni popolari (orazioni, litanie e coroncine) si recitano
in suo onore molti sono i palermitani che portano il suo nome.
Ogni anno, per la sua festa, a Palermo si organizza una processione con
tanto di fercolo. Viene utilizzata una statua della Santa un po’ più piccola
ma uguale a
quella artistica, ma con il fervore e i sentimenti tramandati dalla figura
celestiale di Sant’Agata.