La storia
gastronomica dei popoli
mediterranei è ricca di
pietanze, inventate o importate
dai popoli occupanti, e poi
radicate sui territori. Tra i
consumi alimentari primordiali,
la leguminosa pianta erbacea del
cece, originaria
dell’oriente, che cresce
spontanea in tutto il bacino del
Mediterraneo, occupa un posto di
rilievo. Basti pensare che i
suoi semi sono presenti nelle
mense più povere di latini e
arabi, popoli distanti fra loro
parecchi secoli.
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Storica friggitoria
palermitana
sita a Ballarò in
Via Porta di Castro
(ora non più esistente n.d.r. 03/2007)
Gli arabi, dominatori della Sicilia a cavallo tra il 9° e l’11° secolo,
avvezzi alla sperimentazione gastronomica, ne macinarono i semi, ricavandone
una farina che mescolata all’acqua e cotta sul fuoco dava una sorta di
impasto crudo, dal sapore non eccezionale.
Ma una sfoglia sottile di questa
pasta, cotta a sua volta in una sostanza oleosa, diede vita alla prima “panella”:
una sorta di “schiacciata” di piccole dimensioni, di un bel colore dorato.
Il detto: “pari ‘na paniella” (sembra una panella) è appunto riferito ad
oggetti che hanno avuto la malasorte di trovarsi schiacciati sotto pesi
eccessivi.
Prerogativa del territorio, le “panelle” si possono gustare solo a Palermo e
dintorni, associate al pane, e rappresentano il caratteristico spuntino del
palermitano. Si dice che non esista cittadino palermitano, di vecchia o di
nuova generazione, che non le abbia gustate almeno una volta. Studenti
e scolari nell’ora di ricreazione, negozianti, impiegati, manovali,
artigiani, nelle pause di lavoro. Le deliziose frittelle di ceci,
travalicano, con il loro superbo gusto, ogni differenza di censo e di
cultura.
Si possono acquistare in una serie infinita di “friggitorie", di tipo
fisso od ambulante, sulle strade di grande traffico, nei quartieri popolari
o residenziali, nei quartieri nuovi, nel centro storico.
I luoghi di stazionamento delle friggitorie ambulanti sono, da sempre e
puntualmente, i
luoghi ove a certe ore si verifica un notevole movimento di persone: quindi
scuole, uffici, grandi magazzini, chiese, cimiteri e finanche i campi
sportivi nei giorni in cui si svolgono gli incontri. In passato il panellaro
si presentava con la carretta
sulla quale era montata una baracca di legno chiusa da tre lati.
Al suo
interno erano posizionati: un fornello in pietra lavica sul quale una grande
casseruola veniva utilizzata per la frittura, un ampio ripiano in cui si
mostravano le panelle già fritte contenute in piatti di alluminio, un
contenitore di latta (barattolo di conserva) con il coperchio bucherellato
per il sale, usato in funzione della richiesta del cliente. In un’angolo
emergeva una piccola collinetta di “mafalde”, una classica forma di pane con la “giggiulena”
e, appesi ad un gancio, i rettangoli di carta già tagliati a mo’ di
tovagliolo.
In tempi più recenti hanno fatto la loro apparizione le “motolape” e i
furgoncini che, attrezzati di tutto punto, portano in giro il prodotto già
pronto per essere cucinato a richiesta, perché, per gustarle a dovere, le
panelle devono essere molto calde. Una volta raffreddate, anche se
insaporite con qualche goccia di limone, perdono il gusto
originale. Se si prova poi a riscaldarle il risultato non è dei migliori.
Vanno gustate calde, e basta.
Il destino delle panelle è condiviso con le
crocchè, o “cazzilli” come li
chiamano comunemente i palermitani richiamandosi alla loro forma fallica. Panelle
e crocchè sono inseparabili, stanno sempre accanto e talvolta vengono
mangiate insieme, nello stesso panino.
La contraddizione tra i due cibi è dovuta alla materia prima di cui sono
composti. Le crocchè, ritenute meno classiche, sono realizzate con la
patata, umile tubero importato dal nuovo mondo cinque secoli fa. Un
connubio, questo, di prodotti vegetali diversi e di culture diverse.
Entrambi erano riposti dentro “u cannistru” (il canestro) e coperti da una
“mappina” (salvietta a quadri), pronti per essere fritti.
Corre voce che,fino a qualche anno fa’, per verificare la temperatura
dell’olio, il panellaio di tanto in tanto adottasse un sistema… che
preferiamo non riferirvi (comunque approvato dai clienti) ma che gli
segnalava la condizione termica ideale. Quindi, armeggiando con alcune
schiumarole (manico lungo, manico corto, veri attrezzi del mestiere)
immergeva le panelle e, rimestando, in pochi minuti serviva gli attenti
clienti che là davanti seguivano con attenzione il processo di cottura.
Altro prodotto da “friggitoria” era la melanzana, da sempre accreditata
come la “carne dei poveri”: tagliata a “fieddi” (fette) , poi fritte, da
mettere in mezzo al pane o “a quaglia” (nulla a che vedere con l’omonimo
volatile) cioè incisa lungo i lati, lasciando la parte superiore integra,
poi fritta intera, ideale nella stagione estiva per una colazione in riva al
mare.
L’evoluzione ha portato alla nascita di diverse
friggitorie, ovviamente
più evolute dal punto di vista della scelta gastronomica, che si sono localizzate in più
parti della città, divenendo un punto di riferimento per i clienti del
“fast-food” alla palermitana.
Questo tipo di locale richiama alcuni locali dei mercati arabi, ma anche
alcuni delle città spagnole: ambedue friggono ogni sorta di vivanda, poi
consumata per strada.
Il panellaro inizia la sua attività la mattina presto, in modo da
fornire alle maestranze edili, già nella prima mattina, la possibilità di
consumare una prima colazione a base di pane e panelle, con o senza
l’aggiunta delle crocchè.
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Note:
Il Cece Il cece è una leguminosa di elevato valore nutritivo originaria dell'oriente
che in passato veniva diffusamente coltivato anche nel nostro paese,
fornendo comunque una modesta produzione. Attualmente la coltivazione del cece resiste in alcune regioni del
mezzogiorno d'Italia (Sicilia) ma la coltura è stata da tempo sostituita da
piselli e fagioli. A prova della grande diffusione dei ceci nel passato rimangono, in Piemonte,
le "cisrà" zuppe di ceci realizzate a scopo benefico dalle
confraternite.
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