Il suo nome comune è zafferano di cui si
ricava una droga dai suoi stimmi polverizzati di colore giallo-rossa che
noi palermitani denominiamo “à zafarana”.
Questa spezia originaria della zona del
Mediterraneo orientale, chiamata un tempo “polvere dorata”, fu utilizzata
nell’antichità come elemento terapeutico in farmacia per le sue proprietà
medicinali, nella liquiristica per preparare alcuni infusi liquorosi,
successivamente in una data non precisata passò in cucina per aromatizzare
e colorare le pietanze, è certo che attraverso i secoli, nelle cucine dei
ricchi del mondo, non doveva mancare è diventò quasi indispensabile e
acquisendo un certo valore commerciale per chi la comprava, coltivata da
tempo immemorabile, fu adoperata anche come tintura, il suo colore
giallo-oro tinteggiò le tuniche di re e delle classi privilegiate, alcuni
lo utilizzarono per colorare le vetrate delle chiese.
Questa polvere prodigiosa che ha le proprietà
di contrastare l’invecchiamento, stimola il metabolismo e favorisce le
funzioni digestive, fu fatta conoscere dai Fenici che a Palermo avevano il
loro emporio, che a sua volta dall’oriente la portarono in Spagna, c’è lo
riportavano i Veneziani che acquistavano grandi quantità di zafferano per
commerciarlo in tutto il mondo, a Palermo questa nazione aveva la sua
“loggia” per mercanteggiare.
Il suo nome deriva dal latino “safranum” che a
sua volta gli arabi determinarono il vocabolo “zaferan”, in un secondo
tempo si deve al paese di Saffron Walden nella contea di Essex in
Inghiterra, di cui prese il nominativo, dove intorno al 1327- 37, un
pellegrino che tornò dalla penisola iberica con un bulbo nascosto nella
manica che cadendo a terra diede inizio alla sua coltivazione.
Nel medioevo il zafferano si popolarizzò in
tutta l’Europa, lasciando tracce indelebili nella gastronomia, gli arabi
iberici lo utilizzavano nelle loro pietanze sia come aroma che come
colorante e condimento, a Palermo si vendeva ai “lattarini” l’antico
mercato delle spezie, con l’avvento del riso da parte magrebini si impiego
nell’arancina, ricca di zafferano e pezzetti di carne, nel risotto alla
milanese (un’arancina spaccata e distesa su di un piatto) nella pasta con
i broccoli in tegame, nella importante pasta con le sarde, per parlare
solo delle ricette più note.
E’ di riso la grossa arancina chiamata così
per la rassomiglianza ad una grande arancia di tipo “brasiliane”,
comunemente si mangia per strada acquistata dall’improvvisata rosticceria
ambulante o in friggitoria, le famigerate “tavole calde” che a Palermo
abbondano non si rifiutano a prepararle tutti i giorni della settimana.
Il giorno di Santa Lucia (dies natalis), i
devoti e non, la sostituiscono al pane, poiché questa classica
preparazione della cucina tipica palermitana, è essenzialmente fatta di
riso e di conseguenza non nuoce alla tradizione di astenersi per via di
una vecchia leggenda che racconta di una carestia, poiché la Santa è
padrona della vista e degli occhi.
L’alto prezzo dello zafferano, a causa del
paziente lavoro e faticoso necessario per ottenerlo è sempre stato il
motivo principale delle continue e diverse alterazioni.
A Palermo da sempre per ovvi motivi economici
si è prodotto in bustine un manufatto in polvere di colore giallo
utilizzato per colorare gli alimenti.
I palermitani lo chiamano “zafarana” o
zafferano dei poveri, ma di zafferano nemmeno l’ombra, la polvere è solo
farina di riso addizionata ai coloranti consentiti dalla legge (coloranti
naturali tratti da erbe) con scarsi valori nutrizionali, anche l’occhio
vuole la sua parte.
Si perché in Sicilia ed in spelcial modo a
Palermo difficilmente la gente compra lo zafferano originale per via del
suo alto costo, da un cinquantennio le casalinghe sono state abituate a
usare “à zafarana”.
Anticamente si produceva con un sistema
artigianale e qualcuno inventò la sua semplice ricetta (l’inventiva di
qualche palermitano con l’arte di arrangiarsi), i droghieri lo vendevano
“sfuso” e la gente lo conservava “nà Burnia” (recipiente di creta con
tappo di sughero).
In un secondo tempo l’idea del Signor Bellanca
di ricreare la ricetta popolare dello zafferano ed d’impiantare un piccolo
stabilimento dove imbustare il prodotto nella quantità minima (grammi 1)
bastevole per colorare la pietanza.
Una bustina di colore bianca con una
impostazione gialla per essere subito riconosciuta, al centro la figura di
un cuoco a mezzobusto indica una vivanda colorata.
Ancora oggi “à zafarana” assieme alla
“passolina e pinoli” viene venduta nei mercati storici dai venditori di
spezie o dai “salaturi”, questo prodotto povero resta sempre nella
tradizione palermitana anche se in Sicilia la pianta di zafferano cresce
allo stato selvatico senza essere sfruttata.