La seconda domenica del mese di giugno, all'Olivella,
si svolge la processione del SS Crocifisso detto comunemente dai
palermitani "U signuruzzu" per via, in senso affettuoso, il
piccolo e vicino crocifisso che, da sempre, per merito dell'antica
confraternita a lui dedicata, ha protetto gli abitanti di questo antico
quartiere del centro storico di Palermo. |
L’Olivella come dice la leggenda è riferita ad
“olim-villa” antica presenza di una villa di proprietà della famiglia Sinibaldi da cui ebbe i natali Santa Rosalia.
Contrada costituita dall’omonimo cortile e piazza
dove si congiungono le vie Monteleone, G. Pataria, Giacalone, Orologio,
Bara e Concettina Ramondetta Fileti che tutti quando citano queste vie
aggiungono il toponimo di Olivella come riferimento.
L’antico vicolo del Fico all’Olivella cambiò nome per
accettare la presenza della Congregazione della Scuola pratica della
Virtù cristiana sotto il titolo del SS. Salvatore che in questo vicolo,
dopo un lungo e incostante peregrinare trovò nei primi anni del
settecento la sua dimora definitiva, dove ancora risiede, e in questa
sede fu ufficializzato il culto al SS. Crocifisso.
Dal 1704 anno in cui fu possibile celebrare
definitivamente la prima messa all’interno del semplice e modesto oratorio
voluto insistentemente dai confrati che si adoperarono per costruirlo,
difatti la prima pietra si poté porre soltanto il 18 agosto del 1702
dopo la stipula del rogato di patrimonio.
Ma furono soprattutto i fedeli dell’Olivella che
chiamarono immantinente “ U Signuruzzu” in forma affettiva il simulacro
del SS. Crocifisso e con tale denominazione il vicolo per distinguerlo da
un altro esistente lungo il corso del fiume Kemonia, luogo di malaffare
in cui abitavano donne di maloceto.
Il simulacro del Venerato “Signuruzzu”
appartenente alla confraternita del SS.Crocifisso, è veramente
un’opera che chi lo ha scolpito sicuramente doveva essere una persona
fortemente religiosa che ispirato dal divino, ha accompagnato la sua
mano per l’eccezionale eccellenza sia dei lineamenti che della figura
iconografica.
La scultura lignea, un pezzo di fusto di un albero di
tiglio, si fa risalire al diciottesimo secolo, la sua identificazione è
legata alla clima intellettuale barocco che è magistrale di quel
periodo.
Il suo artefice risulta ignoto, lo rivelano i recenti restauri
effettuati dal noto restauratore Gaetano Correnti che anni fa ha
restaurato l’immagine sacra che il tempo e le diverse ridipinture lo
avevano reso sporco e corvino.
L’intervento è stato mirato soprattutto
all’assemblaggio delle braccia che i numerosi trasporti processionali
avevano sollecitato la loro rottura, staccandoli dalla sua sede
originaria e diverse volte attaccate con della colla animale da persone
inesperte.
La pulitura e la coloritura originaria ha fatto sì
che l’antico Crocifisso tornasse alle sue originarie fattezze
scoprendone tutto il suo prodigio artistico e sacrale.
La rappresentazione scaturisce il Cristo con tutte le
sue fattezze umane, l’icona lo presenta ancora in vita, con
l’espressione visiva presente, occhi aperti e palpebre abbassate, chioma
folta e lunga che cade sciolta sulle spalle, capo chinato, bocca aperta
con le labbra manifestate in cui si intravedono le dentature di un
bianco candore.
La corporatura è quella di un uomo un po’alto, rispetto al periodo della
sua esecuzione, scarno e muscoloso, con la struttura muscolare del corpo
si mostra clamorosamente in tensione per il momento più tragico del
trapasso, dove sono presenti la ferita del costato grondante di sangue
che fuoriesce anche dalle altre ferite disseminate lungo la sua fattezza
corporale secondo la sublimazione esasperata dell’immagine con cui viene
rappresentato il Cristo martirizzato.
Nel corpo ignudo lo ricopre un perizoma di stile
baroccheggiante in sintonia con lo spazio di tempo di realizzazione, è
risulta essere svolazzante e ondulato, nello stesso tempo strutturato in
quella striscia indicata da sempre.
La croce, dove comunemente staziona il Crocifisso è
di dimensioni un po’ più grandi, in quanto deve accogliere la scultura,
di legno comune e tinteggiata di colore mogano, anch’essa restaurata è
ritornata alla sua vecchia luminosità, un grande cartiglio con la
scritta I.N.R.I. posizionato sull’asse principale della croce e nella
parte più alta, riporta il medesimo colore del perizoma.
Molte le contraddizioni in merito all’artefice di
questa sacrale opera, alcuni confrati riferiscono che un’antica memoria
che il Crocifisso sia stato scolpito da uno scultore denominato il Cieco
di Palermo o che sia stato trovato nel vecchio magazzino prima che fosse
costruita la nuova chiesa.
Ma le due ipotesi inverosimili, non solo sono
suffragate da documenti, ma data in cui sono citati i fatti o le persone
sono ascrivibile ad altre date.
Una cosa certa potrebbe essere la committenza da
parte dei padri Gesuiti poiché non solo si interessarono della
contrazione che loro crearono, ma nella persona di un padre Gesuita,
Pietro Salerno che rivide i “nuovi capitoli” nel 1663 dell’allora
costituita confraternita laicale.
Oggetto di venerazione da parte dei confrati e di
tutti quei devoti, per la sua magnificenza, il simulacro del
“Signuruzzu” ha ricevuto parecchie attenzioni da parte di laici e
religiosi, in più durante alcune manifestazioni popolari e religiose
compreso la festa del “Cristo Re”, è stato presente nella mensa
Eucaristica in occasione della venuta del Santo Padre Karol Wojtyla in
Sicilia e organizzata ad Agrigento.
Esposto all’Albergo delle Povere in opportunità alla mostra sulle
Confraternite Palermitane dell’Arcidiocesi di Palermo nel 1993, in
quell’anno si organizzo a Palermo il IV Cammino delle Confraternite
d’Italia.
In una opportunità di alcune “Via Crucis” cittadine
organizzate dall’Arcidiocesi di Palermo, nel marzo del 1998 veniva
portato in processione e si incontrava in piazza San Domenico con
l’Addolorata della confraternita dei “Cassari” ed assieme raggiungevano
piazza Castelnuovo per la celebrazione Eucaristica.
Recentemente per il “Giubileo delle Confraternite”,
il fercolo del “Signuruzzu” conduceva il corteo delle centotrentuno
confraternite palermitane con gonfaloni e con la partecipazione degli
antichi fercoli processionali, dove a conclusione della manifestazione
sostava per una settimana all’interno della Cattedrale.
Ordinariamente “U’ Signuruzzu” staziona all’interno
del proprio oratorio, innalzato al di sopra del fercolo processionale,
che viene utilizzato come altare, che attualmente non più esistente, in
precedenza esisteva l’unico altare in marmi policromatici rimaneggiato
con elementi recuperati dalla vicina chiesa di Santa Croce distrutta dai
bombardamenti dell’ultima guerra mondiale.
L’oratorio, diverso dalla struttura abituale, è quasi
nascosto, ma chi lo vuole rintracciare è a due passi dalla famigerata
via Maqueda, a pochi passi dal Teatro Massimo, si presenta con una
facciata semplice e conveniente dove si aprono due aperture una piccola
per permettere di entrare e l’altra molto più grande per sopportare
l’uscita del simulacro con il fercolo processionale, vi si affaccia una
nicchia dove contiene un crocifisso ligneo utilizzato in precedenza per
la pratica dei novizi.
Anni fa, lo ricorda una targa lapidea datata 1978, la facciata è stata
ridipinta secondo l’originale colore.
Il disinvolto interno, oltre ad accogliere l’effigie
del Crocifisso, in due nicchie laterali dell’unica navata a destra e a
sinistra, custodiscono i simulacri ottocenteschi di Maria Addolorata e
dell’Immacolata Concezione, quasi a sorvegliare l’altare con il Cristo.
Inconfessato dentro una nicchia stava lì, come c’è lo descrive il
Mongitore nei suoi manoscritti, prima di ogni anno per raggiungere i
devoti del quartiere.
Prima di uscire i confrati lo addobbavano con il
“vestiario” consistente in una corona di spine che originariamente era
naturale, che si trasformò in argento per una donazione di alcuni
confrati verso la fine dell’ottocento, negli anni venti la famiglia
Vallecchi dona una nuova corona in argento dorato, tutto ora adottata.
Nell’ottocento al simulacro veniva posto nel costato,
una riproduzione in oro, nel nostro tempo non viene più impiegata.
I chiodi della croce che sostengono il Cristo, anticamente erano
originali, furono cambiati in argento dorato arricchiti da una pietra di
colore granato, alla fine dell’ottocento.
Negli anni a venire al Crocifisso viene posto un
“cordone” dorato “purezza e regalità” che cinge il bacino, simbolo del
legazzio alla vita di Gesù, ispirazione raccolta dal saio monacale che
vuol significare castità sacerdotale.
Tutto oggi la confraternita continua nella diffusione
del culto per cui è nata nel lontano 1663 come congregazione e, divenuta
confraternita per il ritiro degli ecclesiastici nel 1839, i laici
riformulano i nuovi capitoli che furono approvati nel 1897, continuando
nel suo scopo di essere una palestra delle virtù cristiane.
Formata da gente comune e da ogni ceto, nei suoi
ranghi da quando si è costituita ha accolto anche nobili e
professionisti, in tempi moderni, che hanno contribuito economicamente e
materialmente a sostenere la confraternita, e dedicandola espressamente
al SS. Salvatore.
E’ da questa data che in realtà che la confraternita assiduamente si
adopera per gestire la chiesa e organizzare l’annuale festa in onore del
SS. Crocifisso.
Diversi i Superiori che negli anni hanno portato
avanti in collaborazione con i vari assistenti ecclesiastici che si sono
avvicendati, mantenere il fervore religioso e morale della comunità
confraternale, trasmettendo ai suoi componenti questo sviscerato e
sentito amore che la Grazia di Dio padre Onniponte ha avuto per il suo
figlio, Crocifisso per noi.
Da padre in figlio da sempre si è tramandata questa bramosità,
soprattutto per l’attaccamento all’immagine del Cristo morto in croce,
grandi discendenze familiari come i Vallecchi, i Lo Jacono, i Greco
hanno sempre assicurato rilucente rinomanza alla confraternita.
Fedelmente attaccati a essere i primi o avere il posto riservato per il
suo trasporto processionale, il congiungimento all’abitino simbolo di
distinzione e di appartenenza a questo forte legame.
Portare umilmente l’Abitino di colore “rosso” cintato
da un cordone di uguale colore e filettato d’oro, con il suo grande
significato, i confrati decisero questo elemento cromatico perché
richiama il sangue che fu versato da Cristo per la nostra redenzione,
orlato d’oro segno della regalità divina.
Sul petto dell’abitino, il confrate porta un
Crocifisso in legno come segno di riconoscenza e legame alla
confraternita, questo dal 1975 è diventato un preciso segno di
“dedizione” che la confraternita riconosce consegnando ai confrati con
venticinque anni di “confessione”, il crocifisso d’argento, a quelli che
da trent'anni professano “fedeltà ad essa, quello d’oro.
Alle spalle ricamata in oro si staglia la corona di
spine identica a quella che solitamente porta il Crocifisso.
Il rituale processionale prevede che giorni prima della celebrazione
della la festa del Crocifisso, diverse e abituali manifestazioni seguano
il giorno più importante che si conclude con la processione per le vie
del quartiere.
Diversi incontri eucaristici preparano spiritualmente
i confrati: La vestizione con la consegna dell’abitino ai nuovi confrati
dopo un periodo di noviziato.
L’affidamento della preparazione della “vara” con la destinazione dei
“capi vara” e l’assegnazione dei “posti”di sollevamento da parte dei
“sollevatori”.
Anticamente, non molto lontano nel tempo, tutti i
confrati partecipavano alla celebrazione da “scinnuta” cioè il simulacro
posto sopra l’altare veniva sceso per essere posto sulla “vara”, con
solenne esaltazione che conduceva a momenti di commozione da parte di
confrati e devoti.
In tempi moderni il momento più intenso è quello
destinato alla “vestizione” del Crocifisso e l’apposizione del
reliquiario, dopo l’esposizione, sul fercolo processionale.
Reliquario d’argento cesellato del XVIII secolo, opera dei maestri
argentieri palermitani, che contiene un prezioso frammento della Santa
Croce, donata alla confraternita nel secolo scorso da una famiglia
devota e molto vicina alla preziosa immagine del Cristo, comunemente
viene conservata nei locali della confraternita ed mostrata in momenti
di glorificazione.
L’omaggio floreale al SS. Crocifisso da parte della
confraternita e dei devoti da inizio al momento liturgico che si svolge
nella mattinata con la solenne celebrazione eucaristica da parte del
Vicario episcopale della Diocesi di Palermo.
Nel pomeriggio è il momento più atteso, gran fermento
attorno al fercolo, atto preparatorio per i confrati che dopo la solenne
benedizione e la recita in dialetto della “coroncina del Rosario” in
onore del SS. Crocifisso si apprestano a portare esternamente la “vara”.
L’uscita del fercolo, emoziona tutti i presenti, con molta fatica i
confrati portano la “vara” fuori facendosi ala tra la folla che occupa
lo stretto vicolo, il gran fragore dei mortaretti e il tripudio della
banda musicale si ci avvia per le strade del mandamento.
Durante il cammino “u Signuruzzu” incontra i suoi
devoti e gli ammalati, ad un cenno di campanello del “Superiore” ci si
ferma per scaricare la tensione e per riposarsi, mentre un confrate
anziano con un ululato richiama l’attenzione di tutti, a questo servono
le “giaculatorie” eseguite in dialetto palermitano che i confrati
inneggiano verso l’effige.
Diverse sono le fermate durante il suo tragitto, dove
si assistono a momenti di pietà popolare, davanti alle edicole votive
per recitare un’implorazione, la più antica e, quella più importante è
in piazza Olivella, voluta dalla confraternita, dove effettua l’ultima
fermata per ringraziare il Crocifisso prima di rientrare in chiesa dopo
estenuante fatica.
Edicola votiva che contiene un piccolo Crocifisso in
legno, originario dei primi del novecento, dove il Cardinale Luardi
concesse 100 giorni di indulgenza a chiunque recitasse una preghiera
davanti alla sacra immagine, come quella scritta dai confrati per Gesù
Crocifisso:
Eccomi, o mio amato e buon Gesù, che alla santissima vostra presenza
prostrato, vi prego col fervore più vivo a stampare nel mio cuore
sentimenti di fede,di speranza, di carità, di dolore dei miei peccati e
di proponimento di non più offendervi;
mentre io con tutto l’amore, e con tutta la compassione vado
considerando le vostre cinque piaghe, cominciando da ciò che disse di
voi, o mio Dio, il santo profeta Davide:
“Trapassarono le mie mani e i miei piedi, contarono tutte le mie ossa”.
La prima, molto commovente in piazza Olivella,
davanti alla chiesa di Sant’Ignazio, dove il Signuruzzu viene accolto
con lo sparo dei mortaretti e il volo delle bianche colombe, un istante
di riflessione che il parroco introduce come richiamo sull’importanza
della festa.
Le altre più rappresentative sono a piazza Regalmici,
dove avviene la benedizione del Crocifisso alla città, e in via San
Basilio dove il fercolo sosta per un periodo un po’ più lungo davanti ad
un’altra edicola votiva dedicata al Crocifisso, dove si svolge un
momento di preghiera e si assiste ad un breve spettacolo pirotecnico che
si manifesta da un terrazzo privato che alcuni fedeli in segno di
devozione mettono a disposizione per la sacra immagine.
Continua >>>
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