<<Segue La
ceroplastica, praticata a Palermo fin dal medioevo all’interno dei
conventi e monasteri, si rifaceva ad un’antica usanza dei greci e dei
romani: costoro usavano questo duttile materiale prodotto dalle operose api
per l’esecuzione di figurine votive per gli altari casalinghi e per i riti
magici, come pure per le immagini di defunti e maschere.
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La diffusione del presepio al di fuori dagli
ambienti religiosi, nel XVIII
secolo portò al proliferare dei “cerari”, che producevano presepi interi
o bambinelli dall’espressione gioiosa, o dormienti, recanti in una mano un
agnellino, un fiore o un frutto e immersi in un tripudio di fiori di carta e
lustrini colorati.
A protezione di tutto, l’opera veniva relegata in una
campana di vetro o in una teca rivestita di tartaruga.
I “cerari”, specializzati inoltre nella creazione di ex voto e statuine
di Santi, si erano riuniti in maestranza (i cosiddetti “bambiniddara”) e
avevano stabilito bottega in una strada dietro la basilica di San Domenico
tra il 600 e il 700 dando il loro nome alla via.
Facevano anche i cosiddetti “frutti di cera”, all’interno dei quali
erano adagiate figurine di Santi. Di ciò riferisce anche il Pitrè. Le
famiglie li acquistavano, li facevano benedire e li conservavano per
devozione.
Una gran parte
della loro arte era rivolta alle statue del bambino Gesù, che
lavoravano con grande amore e gusto anche nei più piccoli particolari, nudo
o vestito di preziose sete, e raffigurato in vari atteggiamenti, delle quali
la più classica è quella che lo vede a braccia aperte, adagiato su di un
cuscinetto di raso celeste che imita la mangiatoia.
Di
notevole fattura sono le opere di Gaetano Zumbo, tra i primi e certamente il
più celebre ceroplasta siciliano, che diffuse il bambinello di cera in tutta
la Sicilia.
Alcune realizzazioni
di cera di una rinomata bottega artigiana di Palermo:
A
volte si trattava di un ex voto, effigiante un vero bambino, un figlio
risanato, ed era offerto ai beati dalle famiglie riconoscenti per grazia
ricevuta, o acquistato per la propria parentela in segno di devozione. Nel mese
di dicembre al bambinello era riservato un posto d’onore sull’altarino
circondato da ceri e drappi di tulle davanti al quale ci si riuniva per
recitare nenie e novene.
Nello stesso periodo le parrocchie, con una sorta di “lotteria” tra i
fedeli, sorteggiavano il Bambinello esposto nel presepio. Chi lo vinceva, oltre
a sentirsi “prescelto dalla fortuna” si impegnava a dargli una adeguata
sistemazione all’interno della sua casa. Un uso vivo ancora oggi sebbene i
Bambinelli siano nella maggioranza dei casi di plastica.
Tutt’oggi una di queste botteghe artigiane sopravvive proponendoci i vecchi
prodotti di cui era rinomata, in realtà i “bammbiniddara” sono scomparsi
da tempo, e le attuali produzioni risentono delle nuove tecnologie.
Il
presepio assunse via via carattere popolare e, nell’ottocento, abbandonò gli
ambienti ecclesiastici e aristocratici e divenne oggetto domestico rituale per
le famiglie meno abbienti, sia in città, sia nelle campagne.
Un
materiale più povero prese consistenza ed i “ figurinai” utilizzarono
l’argilla modellata per ricavare le statuine del presepe: nacque una nuova
arte che sfoggiò piccoli capolavori in ceramica.
Due furono i più importanti maestri: Giacomo Bongiovanni e Giuseppe Vaccaio,
che con l’argilla sottilissima modellavano sul corpo delle statuine la foggia
del vestiario, realizzando non solo singole figure policrome ma interi gruppi
familiari e scene di vita quotidiana.
L’introduzione degli stampi di gesso nel ciclo di lavorazione fu determinante
per abbassare i costi e incrementare la produzione in serie; in tal caso, di
manuale restava solo la coloritura.
Negli ultimi anni, con l’avvento delle plastiche, questa forma artistica è
entrata in una profonda crisi, che ha alterato l’opera dei “figurinai”.
Il presepe ha perso gran parte del suo fascino originario. Ma il caparbio rilancio
avviato
da alcuni anni da parte di alcune botteghe importanti, come quella di Angela
Tripi a Palermo, che mantiene l’arte di plasmare a mano l’argilla dei
“pastori”, e sfoggia abiti di stoffa dalle linee tradizionalmente in uso
nel periodo in cui è ambientato il presepe, lascia pensare che il ciclo del
presepio sia ancora molto lontano dalla sua conclusione.
Ogni
presepe familiare veniva alimentato con i vari personaggi secondo il periodo di
festività. La mangiatoia rimaneva vuota finché non arrivava la notte di
Natale, notte in cui veniva deposto il Bambinello e completata la grotta con
Maria, Giuseppe ed i classici bue ed asinello. Tutto si concludeva con
l’immissione dei Re Magi, che nel giorno dell’Epifania rimandava alla
tradizione dei doni che continua fino ai nostri giorni.
La
novena di Natale si concludeva a mezzanotte del 24 dicembre con la visita in
chiesa “pi’ vidiri nasciri u’ Bamminu”.
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