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Alcune "pupaccene"
Il laboratorio artigianale...
Il carrettino siciliano...
Altre allegorie di zucchero...
Lo zucchero viene lavorato per fusione: è sciolto in acqua ad alta
temperatura in un tegame di rame, il tipo usato è quello bianco da
barbabietola italiana che viene mescolato ad un concentrato di limone
”cremortartaro” per assicurare la necessaria sbiancatura.
Zucchero che per noi palermitani vantammo quest’antica tradizione: lo
portarono gli arabi, che lo ricavavano da una speciale di canna chiamata
“cannam mellis”, cannameli per noi, si impiantarono diversi trappeti per
estrarre questo dolcificante che ben presto divenne industria molto
fiorente fino al XVI secolo tanto da essere esportato in tutte quelle
nazioni che commerciavano con la nostra città.
Una volta fuso lo zucchero viene introdotto all’interno delle forme, che
singolarmente con una tecnica particolare si fa in modo che occupi, con un
sottile spessore, la parete, e resti vuota la parte interna dello stampo.
Si lascia raffreddare per qualche
minuto non appena è freddo
si vede che lo zucchero incomincia a solidificarsi.
A questo punto si aprono le due parti della formella, con una lama di
coltello si procede a raffinare “il pupo” da ogni avanzo di stampo.
Lo stampo di zucchero ancora grezzo
Successivamente si passa alla colorazione della parte intarsiata con una
pittura dai vivaci colori naturali ed eseguita rigorosamente a mano per
ogni singolo pezzo.
Vengono utilizzati colori alimentari: il giallo si ricava dallo zafferano,
rosso dal pomodoro, azzurro brillante dal miglio di tinte vegetali, il
bianco dal latte e farina, il bruno dal cacao, il nero brillante dalla
seppia, il verde brillante da alcune verdure, la mescolanza crea i colori
tenui.
Un calciatore
ROSA-NERO...
Dopo l’asciugatura si passa alla decorazione dove la statuetta viene
“impupata” con lustrini di carta colorata incollata con della farina,
zucchero a velo per decorare i bordi, carta stagnola per creare l’effetto
luccichio, palline argentate, mentre la base si ricopre con carte colorate
o bianche merlettate.
Rigide ed impalate, le dolci statuette tutte decorate attendono di essere
trasferite nei luoghi di vendita, per poi proseguire il loro momento,
quello di essere addentate festosamente da denti infantili.
Esposti comunemente nelle vetrine delle pasticcerie, esse vengono vendute
soprattutto in piazza, nella “baracchella” allestita all’occorrenza tutta
raffigurativa, tappezzata di bianco, con delle bandierine tricolori e
sopra si realizzano delle scalinate dove vengono sistemate questi “pupi ri
zuccaru”, solitamente sono “i turrunara” che si organizzano nella
tradizionale “fiera dei morti”.
A’ pupaccena come la definiamo noi palermitani è un retaggio della nazione
Veneziana che nel 1574 per onorare la visita di Enrico III, figlio di
Caterina dei medici, fu organizzata una cena che all’occasione si doveva
mostrare qualcosa di particolare, si pensò alla bottega del Sansovino che
creò tramite i suoi apprendisti delle sculture di zucchero che ebbero
subito il favore e lo stupore degli intervenuti.
Un paladino... di zucchero !
Alcuni marinai palermitani che avevano trasportato lo zucchero in quella
città, ricevettero la notizia che grazie a loro si poterono realizzare
quei pupi a cena, da qui il correttivo di “pupaccena”.
Giunti nella nostra città, la cosa arrivò all’orecchio dei nostri dolcieri
che impersonarono a modo loro realizzando dei particolari “pupi” dipinti
con i colori del carretto.
Questa figura antropomorfica che tradizionalmente è Palermitana ha un suo
riscontro nella vicina città tunisina di Nabeul che regalano questa
statuetta dolce per festeggiare il capodanno islamico e, richiamare
l’Egira l’emigrazione del profeta Maometto a Medina, festa unicamente
religiosa e familiare.
I maestri tunisini le preparano nella identica pratica a quella
palermitana, le due comunità a loro insaputa creano questa affinità che
sicuramente è da riscontrare ad un fatto commerciale dove esiste una via
dello zucchero che attraversa il Mediterraneo.
Inseriti nel rituale della festa familiare, “i pupi” vengono regalati dai
genitori ai bambini che acquistano nelle bancarelle dei loro suk, avvolti
nel cellophane trasparente e annodati con del nastro rosso, i cui modelli
possono essere scelti tra i cinquanta presenti, gli animali destinati ai
maschi e le bambole relegate alle bambine.
Alcuni soggetti richiamano forme di simbolismo augurale, altre figure
rappresentano combinazioni di vita quotidiana.
Il primo giorno dell’anno, i “pupi” vengono sistemati al centro di una
alzatine i “methred”, circondate da un misto di noci, datteri, mandorle e
uva passa, caramelle e confetti che lo completeranno per essere regalati
ai bambini che sicuramente romperanno subito per mangiarne i pezzi.
Nella stessa città sopravive una comunità ebraica che altrettanto usa
confezionare alcuni piccoli “pupi” di zucchero per la festa del “Souòuda”.
Questa pratica comune che lega palermitani e tunisini è forse un abitudine
tramandata dai nostri marinai che partiti cent’anni fa alla volta di
Tunisi, tra il loro armamentario per la pesca portarono con sé l’usanza di
fondere lo zucchero per farne “pupi”.