Pediatria: Vaccini e pregiudizi
Le paure immotivate non sono
solo italiane. Un recentissimo studio condotto negli Stati
Uniti ha esaminato quali siano i comportamenti e le
motivazioni dei genitori che si oppongono alla vaccinazione
dei propri figli.
La prima osservazione è che raramente il
rifiuto è totale: più spesso viene rifiutata questa o quella
vaccinazione, soprattutto in funzione della plausibilità di
un possibile contagio. In questo senso, la vaccinazione
contro l'epatite B è una di quelle che ha suscitato nel
campione le maggiori perplessità, come se difficilmente un
bambino potesse entrare in contatto con il virus. Peraltro è
una convinzione pericolosa, dal momento che, al di là della
frequenza del contagio, è proprio nei giovanissimi che più
spesso l'infezione diviene cronica.
Motivi opposti per
quella contro la varicella, probabilmente rifiutata perché
giudicata malattia lieve, che tende naturalmente a
limitarsi. A reggere nel complesso la diffidenza verso le
vaccinazioni sono due fenomeni: la scarsa informazione
oppure convinzioni sbagliate.
Per esempio, la convinzione
che non si debba interferire con meccanismi naturali e che,
quindi, l'immunità vada acquisita contraendo direttamente la
malattia, ritenendo, inoltre, che l'immunità così acquisita
sia più forte e duratura di quella garantita dal vaccino.
Oppure che l'allattamento al seno, meglio se prolungato, sia
già una misura profilattica adeguata, unita a misure come
tenere a casa da scuola i bambini quando si presentano le
epidemie, oppure tenerli lontani da ambulatori e comunità.
Un dato segnalato dai medici e dalle infermiere vaccinatori
è che, in caso di scarsa informazione, fornendo le notizie
richieste il genitore di norma acconsente
all'immunizzazione, mentre questo è più difficile quando si
è di fronte a una convinzione strutturata. Infine sono
soprattutto le persone orientate verso le medicine
alternative a esprimere il rifiuto più forte.
L'informazione è dunque un
punto importante. A esercitare influenza pare sia in primo
luogo la televisione, soprattutto quando segnala casi di
reazioni avverse a vaccini. Paiono poi mettere sullo stesso
piano sia le informazioni fornite dagli enti pubblici, sia
quelle dei siti anti-vaccinazioni. La critica è che i primi
fanno propaganda, i secondi allarmismo e, evidentemente, nel
dubbio meglio astenersi.
Quello che si vorrebbe sono dati
oggettivi. Diverso il giudizio su quanto dice direttamente
il medico: anche chi poi ha preferito non vaccinare
riconosce la correttezza e l'onestà delle spiegazioni
fornite dal curante. In particolare sembra determinante la
risposta a una domanda e cioè: dottore, lei vaccinerebbe i
suoi figli? In definitiva sembra che i mezzi di
comunicazione possano molto per offuscare i vantaggi della
vaccinazione, mentre è soprattutto il rapporto con il medico
a poter ristabilire un quadro realistico. A patto che il
medico sappia ascoltare in modo amichevole e non censorio e
sia in grado di fornire informazioni su misura.
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