Il testo contenuto in questa pagina è tratto
da una pubblicazione del Comune di Palermo
realizzata in occasione del Festino 2000. Gli
autori sono: Santi Lo Curcio e Calogero Messina.
LA SUA STORIA NELLA LEGGENDA
E' chiaro ed incontrovertibile che Rosalia è
nata a Palermo. Non si ha certezza sulla sua
data di nascita, ma approssimativamente se ne
può dedurre l'anno, ove si consideri che appare
certa la data di morte, che sarebbe avvenuta
intorno al 1160 e che la sua vita, secondo le
perizie eseguite dopo il ritrovamento delle sue
ossa, ha avuto una durata di 30-40 anni. Può,
pertanto, assimilarsi una data di nascita
intorno all'anno 1125.
Siamo, quindi, nel XII secolo, in pieno dominio
normanno. Rosalia, figlia del Duca Sinibaldo,
signore di Quisquina e delle Rose, località
queste ubicate tra Bivona e Frizzi, discendente
di Carlo Magno dalla parte materna, fu damigella
di corte alla regia del rè normanno Ruggero II.
Giovinetta molto pia, un giorno, recitando le
sue quotidiane preghiere al cospetto di un suo
crocifisso in metallo, ebbe riflessa nello
stesso l'immagine del volto di Gesù.
Il suo animo, già fortemente votato verso
l'amore di Dio, riceve da tale apparizione, un
vibrante fremito da coinvolgere il suo essere al
punto di farle decidere di abbandonare i legami
con l'agiato mondo in cui vive, per dedicarsi
totalmente ad una nuova vita improntata alla
meditazione e contemplazione di Dio, attraverso
l'isolamento in un sicuro luogo di eremitaggio,
avendo sin da quel momento capito che il
richiamo ricevuto costituisce motivo della sua
vocazione.
In forza della sua determinata decisione chiede
ed ottiene il permesso di ritirarsi in
eremitaggio nell'impervio territorio dei monti
della Quisquina. Ivi trova un anfratto molto
angusto che tuttavia le consente di ripararsi
dalle intemperie e difendersi da eventuali
attacchi di animali.
In tali condizioni e nutrendosi di quello che i
luoghi offrivano, Rosalia trascorre dodici
lunghi anni, in completa vita contemplativa.
La sua fama di santità si era intanto diffusa
nel territorio circostante tanto da indurre
parecchia gente bisognosa di risollevarsi nello
spirito di andarla a trovare per chiedere
conforto.
Accoglieva tutti la celestiale Rosalia anche se
si sentiva distolta dalla sua vita
contemplativa. L'eccessiva presenza della gente
la indusse a decidere di trasferirsi altrove.
Ritorna, quindi, a Palermo dove localizza la sua
nuova dimora sul Monte Pellegrino, l'antico
Ercta.
Perché Monte Pellegrino? Legittima domanda alla
quale ci sentiamo di dare, a giustificazione
delle intuibili motivazioni addotte dalla Santa,
le seguenti considerazioni:
1) perché Monte Pellegrino di quell'epoca era
assimilabile al monte della Quisquina per il suo
impervio inaccessibile;
2) perché Rosalia, in quanto palermitana,
dall'alto del Monte dominava la sua città ed in
ciò sentiva in un certo modo la vicinanza con la
sua famiglia ed i suoi concittadini.
La sua vita è stata improntata alla completa
solitudine nella quale gioiva di sentirsi
completamente a contatto con Dio, da cui traeva
tutto il suo nutrimento spirituale. Dal punto di
vista fisico si martirizzava in quanto si
nutriva di quel poco che la natura offriva, al
pari... "'degli uccelli del ciclo i quali non
seminano, non mietono ne raccolgono in granai;
eppure il Padre Celeste li nutre; e voi non
volete più di loro?' (Matteo 6.26).
Tuttavia il suo eremitaggio sul Pellegrino, così
come fu alla Quisquina, non passò inosservato. E
ciò perché, nonostante la natura impervia del
territorio, qualche cacciatore, di tanto in
tanto, inseguendo la selvaggina si spingeva sino
alla sommità del Monte, avendo così occasione di
scoprire l'esistenza di una fanciulla che
dimorava in un angusta grotta.
Sparsasi la voce di tale esistenza, Rosalia fu
qualche volta vista che scendeva in città per
adempiere ai suoi doveri religiosi e procurarsi
del cibo più idoneo alla sua sopravvivenza.
Con il passare del tempo, diffusasi la notizia,
la gente si avventurò sull'aspra montagna pur
d'incontrare la pia, bella e giovane donna che,
manifestando così alte qualità spirituali non
poteva non essere in odore di santità.
A questi incontri Rosalia non si sottraeva;
ascoltava le loro ambasce e forniva ad ognuno
delle risposte che, per essere dettate dalla sua
alta spiritualità, davano sommo conforto.
Visse sul Pellegrino, per quel che se ne sa, non
più di quindici anni in fervente preghiera
diretta al Suo Sposo Divino, anelando il giorno
in cui si sarebbe prosciolta dai lacci del
corpo. Rosalia ne attese la venuta e quando
questo si presentò se ne andò con l'anima a Dio.
Ci piace a questo punto ricordare un altro passo
del Vangelo di Luca (18,29— 30) in cui Pietro
rivolgendosi a Gesù dice:
" Vedi, noi abbiamo lasciato le nostre cose e ti
abbiamo seguito'.
Gesù risponde: "/» verità vi dico: Non c'è
nessuno che abbia lasciato casa, moglie,
fratelli, genitori e figli per il Regno di Dio,
che non riceva molto di più in questo tempo e
nel secolo avvenire la vita eterna .
La data della morte di Santa Rosalia viene
ricordata liturgicamente il 4 di Settembre.
IL RITROVAMENTO DEI RESTI DI SANTA ROSALIA
Passati circa cinque secoli dalla sua morte,
in un sempre più crescente interesse manifestato
dalla popolazione palermitana nei confronti di
questa santa fanciulla per le innumerevoli
grazie ricevute, i frati dell'attiguo convento
alla grotta, sollecitati dalle pressanti
richieste di numerosi fedeli e nella piena
convinzione che nella zona intorno al convento
si dovevano trovare i suoi resti, iniziarono le
ricerche che, per quanto laboriose, non
approdarono ai risultati sperati.
La svolta si ebbe quando tale Girolama Gattuso
(Gatto o La Gattuta), inferma al pubblico
ospedale per una grave malattia, venne a
trovarsi in preda ad una fortissima febbre,
tanto che le fu somministrata l'estrema unzione:
durante la notte vide " una fanciulla di
biancovestita", dedita a rifornire le lampade
della corsia, che le si avvicinò in amorevole
atteggiamento di soccorso, accarezzandole il
viso. Girolama ne ebbe un immediato giovamento,
quando subito dopo la fanciulla le disse:
"Bandisci da tè ogni timore, fa voto di andarne
divota al Pellegrino, e guarirai tosto".
L'inferma, di lì a due giorni, venne dimessa
guarita ma, non mantenne la promessa cosicché,
nel breve volgere di qualche settimana, fu colta
nuovamente da febbre.
Il 26 maggio 1624, giorno di Pentecoste,
Girolama, venuta a conoscenza che la sua amica
Giacomina, moglie di Vito Amato, si sarebbe
recata, assieme alla cognata Francesca Anfùso,
sul Monte Pellegrino per sciogliere un suo voto,
si ricordò di non avere mantenuto il suo e,
quindi, aggregandosi a loro si recò alla grotta.
Ivi giunti si comunicarono al vicino Santuario e
poi si raccolsero in preghiera nella grotta.
Girolama, dopo avere bevuto un po' d'acqua che
sgorgava dagli anfratti della montagna, si sentì
assalire da un senso di torpore a seguito del
quale ebbe in visione una donna con un bambino
al seno che le disse:
"Sei venuta a sciogliere il tuo voto, o figlia,
abbiti la sanità. Non si era ancora ridestata
quando vide una religiosa vestita di bianco che
le indicò il posto esatto dove bisognava scavare
per trovare il sepolcro della Santa.
Ridestatasi completamente, si accorse di essere
sfebbrata e felice per quello che aveva saputo
si precipitò nel vicino convento per riferire ai
frati francescani quanto le era accaduto,
indicando loro il posto esatto dove scavare.
Il Superiore del convento, convinto della
rivelazione ricevuta, assieme a Vito Amato ad
altri frati inizia gli scavi che si protrassero
per diverse settimane, ma senza esito. Nel corso
di tale periodo si verificarono negli sterratori
momenti di scoramento che di volta in volta
furono superati grazie alla fervente fede di
Girolama che li incitava a continuare.
Finalmente, il 25 luglio, dopo avere già smosso
la terra per quindici palmi di profondità, si
rinvenne un grosso masso lungo sei palmi e largo
tré, come a volere costituire una cassa, che
mise gli spalatori nelle condizioni di
verificare di che trattavasi, per cui diedero un
grosso colpo di mazza ad una sua estremità e,
con loro somma sorpresa, spuntò fuori un
teschio, quando contemporaneamente, tutt'intorno
si sentì un soave profumo che fu avvertito da
tutti i presenti.
Portato il masso in superficie, gli spalatori si
accorsero che questo aveva la forma di una conca
dove, aderenti alle pareti, si intravedevano
diverse forme di ossa calcificate,
presumibilmente appartenenti ad un essere umano.
La notizia del ritrovamento viene comunicata dai
frati al Principe Filiberto, figlio del Duca di
Savoia, fungente da Vice-Rè che, a sua volta,
notizia l'Arcivescovo, lasciando a lui piena
facoltà di giudizio.
L'Arcivescovo, in piena segretezza, nominò una
commissione formata da esperti medici e teologi
che ebbero l'incarico di recarsi sul posto per
verifìcare il rinvenimento e di trasportare,
notte tempo, i reperti in curia per essere
sottoposti alle relative indagini ecclesiastiche
e scientifiche.
I lavori della Commissione subirono un brusco
arresto a seguito della morte del Vice-Rè in
quanto per sua espressa volontà la sua funzione
fu assunta dall'Arcivescovo, il quale si trovò
ad essere impegnato a mansioni più onerose.
Nonostante fossero state adottate misure di
massimo riserbo al rinvenimento delle reliquie,
la notizia si sparse e già correvano voci di
prodigiosi miracoli avvenuti alla grotta del
Pellegrino.
LA PESTE A PALERMO
Nel giugno del 1624 la città di Palermo venne
colpita da un terribile male:la peste.
Secondo la legenda pare che questa sia stata
introdotta a mezzo di alcune casse, contenenti
suppellettili di provenienza orientale, sbarcate
nel porto di Palermo clandestinamente.
La popolazione fu decimata, in quanto all'epoca
si era impreparati a combattere tale morbo che
trovava terreno fertile nella inadeguatezza
delle condizioni igieniche.
In tale situazione di umana impotenza non
rimaneva che invocare l'aiuto divino.
Arcivescovo dell'epoca era il Cardinale
Giannettino Doria, il quale vista la gravissima
situazione che stava decimando la popolazione,
in ogni ordine e grado, attiva tutta una serie
di iniziative (processioni, digiuni, ecc.) al
fìne di invocare la clemenza divina.
Risulta che in tali occasioni veniva spesso
richiesta l'intercessione della ver-ginella del
Pellegrino.
Fu così che vennero in evidenza diversi miracoli
attribuiti a Rosalia, per cui il Cardinale sentì
il bisogno di rinominare un'altra Commissione di
esperti per definire il riconoscimento dei
reperti rinvenuti a suo tempo sul Monte
Pellegrino. Tale Commissione, dopo un mese di
lavori, pervenne ad un risultato non concorde,
tanto da indurre il Cardinale Doria a nominare
una terza Commissione per inquisire sui miracoli
e sul Sepolcro.
Intanto la peste che in questi frangenti aveva
perso il suo iniziale furore, infierì di nuovo.
I lavori della Commissione culminarono con una
relazione che si riporta integralmente qui di
seguito:
" Le ossa che si dicevano di Santa Rosalia, e
che si erano trovate aderenti ad un masso
concavo, formanti col medesimo un sol tutto,
erano ossa di un cadavere umano, conservanti la
loro natura ossea, e punto pietrificate.
Dalle loro dimensioni e dalla configurazione, si
poteva arguire che appartennero ad un cadavere
di sesso femminile: erano incorrotte e belle,
differenti per la loro in corruzione e bellezza,
da tutte le altre ossa trovate nella medesima
grotta, e per il Monte: il loro colore tendeva
al giallo.
Intanto, i miracoli attribuiti all'intercessione
di Santa Rosalia continuavano e non si potevano
negare.
Nonostante ciò, vi fu chi si oppose asserendo
che erano certamente ossa benedette: ma chi
assicurava che erano proprio della Santa e non
di qualche altro Santo?
L'iter che la Chiesa adotta in tali circostanze,
come è noto, è particolarmen-te severo perché
richiede l'assunzione di certezze
incontrovertibili.
Pertanto, le procedure per giungere alla verità,
non possono non essere necessariamente lunghe.
LA SVOLTA
La svolta si ha quando tale Vincenzo Bonelli,
di professione saponaio, persa la moglie
quindicenne a causa della peste, incurante
dell'obbligo impostogli di non allontanarsi
dalla propria abitazione, pena la decapitazione,
straziato dal dolore, in assetto da cacciatore,
eludendo la sorveglianza, si avventurò sul Monte
Pellegrino col fermo proposito di porre fine
alla sua vita.
Fu così che giunto alla sommità, in prossimità
della grotta, gli apparve una fanciulla in abito
eremitico che, nel rincuorarlo, gli svelò come
quella grotta fosse stata la sua dimora in vita
e la sua sepoltura in morte.
A questo punto il Bonelli, superata l'emozione
di tale apparizione, trova la forza di chiedere:
" Chi sei tu?"-" Santa Rosalia"
L'uomo, commosso, si prostrò a Lei, venerandola.
La Santa torna a rincuorarlo e lo invita a
tornare a casa per confessarsi e comunicarsi
presto perché di lì a poco sarebbe stato colpito
dalla peste ed, al quarto giorno, sarebbe morto
e che Ella avrebbe pensato a lui. Infine,
raccomanda di dire al suo confessore di recarsi
dal Cardinale perché questi troncasse ogni
indugio sul riconoscimento delle sue ossa ed in
prova di ciò, il giorno in cui fossero state
portate in processione per la città, la peste
sarebbe scomparsa.
Il Bonelli adempie integralmente a quanto
promesso a Santa Rosalia ed al quarto giorno
cristianamente muore.
Il Cardinale, ricevuta dal Sac. D. Pietro
Monaco, confessore del Bonelli, la rivelazione,
toglie ogni indugio, fa ripulire le ossa e li fa
allogare in un arca provvisoria, la quale viene
portata in processione, per tré giorni, in tutte
le vie di Palermo.
L'effetto miracoloso è sorprendente, perché via
via che le reliquie attraversavano la città la
peste scompariva.
La gioia dei palermitani fu immensa e la
devozione alla Santuzza da quei giorni si
perpetua ai giorni nostri con la stessa
intensità di allora.
IL RICONOSCIMENTO
L'atto formale della santità di Rosalia viene
sottoscritto da Papa Urbano Vili in data 26
gennaio 1630, con il breve Scriptam in cadesti
diretto al Senato ed al popolo palermitano con
cui annuncia che il nome della Santa è stato
inserito nel Martirologio Romano.
Le reliquie furono, a cura del Senato
palermitano, racchiuse in una elegante teca
d'argento e custodite in una cappella della
Cattedrale.
Il predetto Senato fece convenientemente
adornare la grotta del Pellegrino dove per ben
cinque secoli avevano riposato i resti di Santa
Rosalia.
Da allora e fino ai giorni nostri è usanza che
il Pretore (oggi Sindaco) in occasione del
Festino offra la somma di 100 onse al Cardinale
per abbellire sempre più la cappella della
Santa.
LE RELIQUIE
II reliquiario di Santa Rosalia, concepito
come un carro trionfale, fu progettato da
Mariano Smiriglio nel 1631 e la realizzazione,
che durò sei anni, fu affidata a quattro
argentieri: Matteo Lo Castro, Giuseppe Oliveri,
Francesco Rivelo e Giancola Viviano, per un
costo favoloso di 20.000 scudi e rappresenta,
ancora oggi, il capolavoro dell'oreficeria
barocca palermitana.
Soltanto una volta, e non in forma ufficiale, fu
effettuata nel luglio del 1833 una ricognizione
alle reliquie di Santa Rosalia su disposizione
di Ferdinando II onde soddisfare la richiesta
della Regina Maria Cristina di Savoia di vedere
e venerare le ossa della Santa.
L'apertura dell'urna d'argento fu eseguita alla
presenza dello Arcivescovo Cardinale Gaetano
Trigona del Pretore principe di Palagonia, del
medico Michele Pandolfìni e di pochi altri, tra
cui Agostino Gallo, che ne lasciò una relazione
della quale si riporta, qui di seguito, la parte
finale, che riteniamo essere l'essenziale:
"... Trattane il cotone, si vidde la cassa
ingombrata di massi di viva selce lucidissima,
su cui erano incrostati degli stalattiti. Alla
seke e a questi era attaccato un piccolo teschio
intero in tutte le sue parti, giacente sulla
gota destra e da presso si vedevano le punta
delle dita della mano corrispondente, che
mostrava di essere in attitudine di riposo sotto
la mascella. Vicino alle dita ve era una ciotola
di terra, cotta, similmente incrostata nella
selce.
Appresso era la mandibola di un teschio più
grande, che si suppone fondatamente di essere
stato quello su cui meditava la Santa l'umana
fragilità.
Questa mandibola umana non apparteneva al
piccolo teschio, che altronde era intero, ma ad
un altro, i cui resti erano confusi co vari
brani di ossa, parti inerenti negli stalattiti,
e parte staccativi. Nella cassa fu. trovato un
tubo d'argento, da cui se ne estrasse un
cartolare di poche pergamene, coverto di velluto
cremis, ricamato in oro con ciappetta d'argento
per chiudersi. Nei fogli vi si lesse steso in
italiano, che sentiva molto del nostro dialetto,
il processo del rinvenimento delle ossa della
Santa, con la firma infine del Card. Dona e di
altri individui.
Si rinvenne pavimenti un libro piccolo ricoverto
egualmente di velluto cremis e ricamato in oro
con l'aquila in centro, divisa del Senato di
Palermo.
Esso era di carta comune bombacina, con
iscrittura di carattere manuale, come l'altro, e
conteneva una estesa relazione dei fatti e
miracoli della Santa edera infine firmata dal
Card. Dona e dal Senato di Palermo... Il giorno
appresso nelle prime ore pomeridiane, secondo
era stato indicato dal Rè, il Pretore, lo
Arcivescovo e pochi Canonici si fecero trovare
nel Duomo ad aspettare l'augusta coppia, che da
lì a poco venne col suo consueto corteggio.
Furono d'opprima mostrate le magnifiche urne
d'argento, che si eran fatte precedentemente
pulire, e trascorse qualche tempo in questa
ispezione, essendosi le L.L.M.M. occupate ad
osservare le istorie e i delicati fregi delle
due Sante palermitane. Santa Rosalia e Santa
Cristina scolpite a cisello che intorno le
adornano.
S.M. la Regina mostrava intanto desiderio di
vedere le sacre reliquie... Essendo chiesto
l'ordine del sovrano di aprire la cassa di
legno, disse: lasciatele stare, i Corpi dei
Santi non si toccano.
Così contentandosi di vedere l'esterno e
prestata venerazione alle Sante reliquie, fu
ordinato di riporsi le casse di legno nelle
rispettive urne d'argento, inchiodandosi queste
nuovamente come si eran trovate. Il Pretore e
l'Arcivescovo fecero nuovamente chiudere le
casse, apponendovi i rispettivi suggelli e le
loro firme e l'anno."
IL FESTINO DI SANTA ROSALIA
Ogni festa in onore del Santo Patrono ha una
sua storia, una sua leggenda e una sua
rappresentazione sacra.
Riportare, sia pure succintamente, gli
avvenimenti più significativi che si sono svolti
nel corso del tempo ad iniziare dal primo
festino, sarebbe troppo lungo. Tuttavia è bene
sapere che il simbolo della festa è dato, fin
dal suo primo apparire nel 1686, dal carro
trionfale che nel corso dei secoli ha subito
diverse variazioni, vuoi per la fantasia dei
vari architetti che ne hanno curato la
realizzazione, vuoi per il mutare dei tempi.
La tradizione di fare girare il carro trionfale
per le vie della città di Palermo in onore di
Santa Rosalia, nel mese di luglio a perenne
ricordo del miracolo avvenuto in occasione della
peste del 1624, non sempre si è potuta
rispettare per varie vicissitudini quali ad
esempio: nel 1837 a causa di una epidemia di
colera; nel 1848-49 in conseguenza della
rivoluzione antiborbonica; nel 1858 per i lavori
di ripavimentazione che interessarono il
Cassare. Rimane memorabile il festino dell'anno
1924, anniversario del terzo centenario del
ritrovamento delle reliquie, dopo di che vi
furono alcuni decenni di interruzione.
Dal 1974 la tradizione è stata ripresa a non ha
subito interruzioni fino ai giorni nostri,
grazie ad una maggiore e sempre crescente
disponibilità dell'Amministrazione Comunale che
ne ha più arricchito la spettacolarità. Al fine
di dare ai lettori un'idea di come fossero stati
realizzati i carri in passato, riportiamo, qui
di seguito, la descrizione storica tramandataci
dal Pitrè:
"Dal basso all'alto, da tutti i lati, erano
rappresentati i più bei tratti della vita della
Santa.
Qua Rosalia che abbandona la Corte di Sinibaldo
suo padre; là l'aspre vita di penitenza che Ella
mena sul Pellegrino; altrove l'apparizione del
demonio tentatore; l'angelo che la rassicura e
le addita la croce; e il cacciatore Vincenzo
Bonello che s'imbatte nell'angelica figura della
Vergine, dalla quale ha rivelato il luogo dove
giacciono le ceneri di Lei; ed il rinvenimento
di esse alla presenza dell'Arcivescovo e del
Senato di Palermo; ed altri fatti particolari
della devota legenda... in cima al carro
spiccava nella sua sveltezza la figura della
Santa, dalle candide vesti, dal capo coronato di
rose (Rosalia), dal volto raggiante di bellezza,
che torreggiava sopra i più alti fabbricati del
Corso; ed aveva intorno ai piedi, una miriade di
angeli sorretti dalle nuvole". La luminosa
presenza di Santa Rosalia splende tutt'oggi nei
cuori e nell'anima dei palermitani sebbene siano
trascorsi circa nove secoli dal suo folgorante
apparire. La fervente fede che ella ha
determinato si tramanda di generazione in
generazione e continua ad essere profondamente
sentita per cui Santa Rosalia ed il suo festino
fanno parte della tradizione popolare di
Palermo.
E noi palermitani per sempre grideremo:
"VIVA PALERMO E SANTA ROSALIA"
Poesia: A SANTA ROSALIA
Calogero Messina (aprile
2000)
In nobil casato nata amasti tanto il Gesù
d'abbandonare ogni ben.
Tramutasti ricchezza e delizie tua casa in
orrore e asprezza.
Dall'orribile roccia della Quisquina scendesti
in angusto pertugio.
Poi non contenta fosti sul Pellegrino fiore
puro, incontaminato.
Nella stabile dimora desti fida Provvidenza alla
terra del Signore.
Ivi trovasti costanza, per tua sicura prova, ma
non minor asprezza.
L'angelica tua vita, oh Vergine; fama ti die e
vennero a pregarti.
La "rocca naturale" che Plinto così definì fu
meta dei fedeli.
A tutti davi conforto, conosciuta amata da tutti
palermitani.
Dalla peste del 1624 che flagellò Palermo
salvasti molte vite.
D'aliar sei nei cuor della notai tua città che
ti continua ad amar.
Una sol cosa vuoi che si rispetti: promessa
fatta va mantenuta.
Sia lode a tè Rosa-Lia o Rosa-Giglio;
patrocinaci Santuzza.