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LE CAVE DI TUFO DI PALERMO !


Palermo fino al Medioevo rimane chiusa entro le mura punico-romane e non ha un grosso sviluppo edilizio. Per le costruzioni si riusano i materiali provenienti dalle vecchie costruzioni e questo permette di non sfruttare il sottosuolo.

Con l’arrivo dei musulmani Palermo si allarga enormemente, ciò spinge a cercare nuove aree idonee al reperimento della pietra gialla. In questo periodo si diffonde una nuova tecnica per l’estrazione della pietra, si scavano lunghe gallerie sotterranee che si intersecano a scacchiera chiamate <mucati> , parola araba intesa come <scavare>, che permette di scavare livelli sovrapposti fino ad intercettare la falda freatica.

Una sala della fungaia, si noti la vastità dell’ambiente

Questa è una tecnica molto faticosa e dispendiosa ma molto utile, permette infatti di non danneggiare i terreni sovrastanti che vengono usati e sfruttati per le coltivazioni agricole. Di norma nelle sale di estrazione vengono lasciati grossi pilastri quadrangolari allo scopo di sorreggere la volta. Spesso l’intercettazione di una cospicua falda freatica favorisce la costruzione di un pozzo e di una canalizzazione esterna per l’irrigazione agricola. Esaurita l’attività estrattiva alcune cave vengono utilizzate come deposito di materiale di scarto proveniente da altre sale, altre, come quelle esistenti lungo la fossa della Garofala, sono oggi diventate, in parte, ricoveri per animali.

Galleria sfruttata ed utilizzata per deposito di materiale

Da queste gallerie lo scavatore (u pirriaturi) con uno strumento tagliente somigliante sia ad un piccone che ad un’ascia (mannara) estrae i <conci> di calcarenite la <dorata pietra di kiddan> di cui narra Ibn Gubayr nel 1184, che ha dato splendore alle facciate dei palazzi costruiti con questa pietra intagliata.

Particolare scavo utilizzato per l’estrazione si notino i segni lasciati dalla mannara

I conci normalmente delle dimensioni di 40x30x20cm hanno rappresentato una ricchezza per la nostra edilizia e hanno influenzato l’architettura palermitana fino all’arrivo del cemento armato. Le antiche mura, le mura del Cassaro, i bastioni, i palazzi dei nobili, le chiese, i monasteri sono stati costruiti con la calcarenite, praticamente fuori e dentro la città in ogni costruzione si sono usati i conci. Individuato il terreno adatto per l’estrazione, si procede ad estrarre i blocchi fino a creare una grande fossa (cave a cielo aperto).

Successivamente, dal fondo si aprono le gallerie che a volte si estendono su più livelli e si costruiscono dei pozzi che servono per il ricambio dell’aria e come uscite di emergenza.

Le cave sotterranee erano dentro la città fino al XVI secolo in seguito si spostarono verso Monte Pellegrino, nell’area che ricade presso la fiera del Mediterraneo, e in direzione del fiume Oreto dove si trova una vasta rete di mucati non molto profondi. A partire dalla seconda metà del 1500, con l’espansione spagnola, aumentano le costruzioni edilizie e si pensa di reperire la pietra gialla direttamente dal sottosuolo, dove devono essere eretti i palazzi.

Questa tecnica di scavo comprende circa dieci secoli fino al secolo scorso, dove l’ultima cava è stata quella della Castellana in via Ammiraglio Rizzo.

Le cave venivano usate come RIFUGI ANTIAEREI


U Pirriaturi

Fin dai tempi molto antichi la pietra ha preso il posto del legno nelle opere architettoniche, ciò ha determinato lo sfruttamento delle cave ma anche il passaggio di competenze da maestro carpentiere a maestro muratore.

Nascono così i “perratores“ ( i tagliatori di pietre nelle cave ), non hanno mezzi finanziari e pertanto prendono in affitto le cave e le fornaci dall’aristocrazia feudale e dalla chiesa. Piccole società di perratores ( due o tre ) prendono in gabella le pirriere e vendono ai costruttori le pietre per la costruzione. Il mestiere di pirriaturi comincia fin da bambino e si tramanda da padre in figlio cominciando con lo spalare la terra e maneggiare la mannara, attrezzo tagliente a metà tra il piccone e l’ascia.

Lavora dodici – quattordici ore al giorno, si porta da casa il pranzo e beve nella “quartara” , comincia all’alba e finisce al tramonto e solo dopo lunghi anni di lavoro i più fortunati riescono a comprare un pezzo di terra. Inizialmente u pirriaturi lavora per conto proprio, poi a cottimo e viene pagato in base ai conci estratti mentre il proprietario si occupa di venderli.

“U Principali“ ( il proprietario) fissa il numero dei conci da estrarre in un giorno e può avere contemporaneamente diverse pirrera con altri operai al lavoro.

U pirriaturi lavora da solo o con l’aiuto di familiari e a volte si fa aiutare da un ragazzino pagandolo con poco denaro ogni settimana.

Dopo la seconda guerra mondiale la mano d’opera comincia a venire meno e quindi la produzione di pietra diminuisce e non si riesce a soddisfare il mercato.

Negli anni sessanta comincia la meccanizzazione delle cave che aumenta la produzione ma determina la fine dei pirriaturi, anche le cave pian piano non vengono più sfruttate e ai giorni nostri altri materiali edili vengono preferiti ai conci di tufo.



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