Da "I Luoghi della Sorgente -
la borgata Acquasanta a Palermo" di Giuseppe Alba
La determinazione cui era giunto
Simone Corleo e
gli ulteriori suggerimenti forniti da Ferdinando Lo Cascio,
allievo del professore Maggiorani, e da altri medici
convinti assertori delle qualità terapeutiche delle acque
che sgorgavano dalla fonte dell’Acquasanta, spinsero nel
1871 i fratelli sacerdoti Pandolfo ad intraprendere i
lavori per la realizzazione di una stazione termale
che negli anni avrebbe assunto notorietà internazionale.
Acquistato il terreno limitrofo alla fonte, che
comprendeva anche la grotta della Madonna dell’Acquasanta
e Villa Lanterna, (1) i Pandolfo avviarono i lavori di
costruzione dello stabilimento termale che si sarebbe
realizzato su una superficie di circa 920 metri quadrati
distribuiti su tre piani.
Il piano terreno era formato da due bracci, uno a monte e
l’altro a valle. I camerini erano numerati e destinati nel
modo seguente: “due di essi che portano il 1° e 2° numero
sono ad una sola vasca, corredati di svariati apparecchi per
docciature, - il 3° ne contiene tre separate da semplici
cortine, ed è assegnato per famiglia - il 4°,5°,6°e 7° sono
per una sola persona - l’8° è di uso esclusivo dei poveri -
il 9° anche è un camerino ad una sola vasca, fornito
egualmente di doccia - nel 10° stanno allogate due vasche, e
vi ha pure il meccanismo per la doccia, - l’11° è addetto
esclusivamente per le dermatosi di indole contagiosa -
finalmente nel 12° e 13° vi hanno per cadauno due vasche con
tramezzi in legno”.
Nel pianterreno, a monte, vi erano sette locali destinati
a gabinetti da bagno, mentre a valle vi erano altri quattro
vani per usi diversi, tra cui quello destinato al
riscaldamento dell’acqua minerale, eseguito con una
particolare macchina a vapore che offriva il vantaggio di
ridurre la dispersione di taluni elementi medicamentosi
disciolti nell’acqua che si sarebbe verificata con il
riscaldamento per bollitura.
Vi era, poi, un piano con annessa terrazza, in cui si
trovavano gli ambienti destinati al ricevimento, al riposo e
a camera da pranzo, mentre sopra il pianterreno erano stati
costruiti dei quartierini che servivano per il riposo o per
abitazione dei bagnanti.
L’acqua a disposizione dello stabilimento, sempre in
notevole quantità grazie ad una portata alla fonte di circa
quindici litri al secondo, consentiva di effettuare
più di mille bagni al giorno. Inoltre, per evitare il
ristagno e la decantazione che ne avrebbero alterato le
proprietà terapeutiche, veniva effettuato continuativamente
il ricambio; cosa che era, ovviamente, consentita dalla
vicinanza della fonte.
Nel 1874 i proprietari dello stabilimento chiesero al
professor Scrivani, della facoltà di Chimica Farmaceutica
dell’Università di Palermo, di eseguire sulla base
dell’analisi qualitativa effettuata dal professor Domenico
Amato, un’analisi quantitativa che sino ad allora non era
stata mai eseguita.(2)
Analoga analisi veniva svolta, nel 1879, dal dottore
Ippolito Macagno, direttore della Stazione Agraria di
Palermo, come risulta dalle ricerche chimico-idrologiche
effettuate sulle acque potabili e di irrigazione di Palermo.
Le acque si potevano usare sotto forma di bagni o
docciature ma anche come bevanda. A temperatura naturale
dell’acqua, che oscillava tra i 18 e i 19 gradi centigradi,
si facevano i bagni freddi, ma con la tecnica del
riscaldamento si potevano fare bagni caldi e caldissimi. I
bagni freddi, che producevano sulla pelle effetti non molto
piacevoli, duravano da due a tre minuti: bisognava, però,
essere validi di corpo e abbastanza forti e per questo erano
poco utilizzati. Il bagno più richiesto era quello caldo la
cui temperatura oscillava tra i 25 e i 36 gradi centigradi.
In quello caldissimo la temperatura dell’acqua poteva
arrivare fino a 42 gradi e veniva usato per curare malattie
molto gravi come la sifilide, il reumatismo nodoso, malattie
croniche costituzionali o la cachessia mercuriale. Vi erano,
poi, le docce con un getto d’acqua che da un’altezza ben
determinata andava a colpire la parte del corpo da trattare
ed agiva meccanicamente sui tessuti. Si chiamava doccia
discendente quando l’acqua cadeva direttamente sulla parte
da curare, ascendente quando andava dal basso verso l’alto,
laterale se arrivava orizzontalmente.
Il Calafato, nella sua autorevole guida, non mancò di
elencare controindicazioni, accorgimenti e norme igieniche a
cui era necessario attenersi. In particolare non era
indicato fare il bagno a stomaco pieno e comunque era
consigliabile aspettare molte ore prima di immergersi. Le
ore più opportune erano quelle della mattina. Per le persone
gracili ed eccitabili, e per quelle con pelle sensibile e
sottile, era consigliato diluire l’acqua minerale con acqua
dolce e preferire un bagno tiepido o caldo a quello freddo.
Era sempre bene affidarsi ai consigli di un medico prima di
iniziare i trattamenti così da evitare spiacevoli disturbi
che, se sottovalutati, potevano provocare gravi conseguenze
se non addirittura condurre alla morte.
Particolare attenzione era rivolta in tal senso agli
anziani, ai bambini ed alle donne in stato di gravidanza.
Era, inoltre, consigliato di astenersi dal fare i bagni
durante il ciclo mestruale e di curare con particolare
attenzione l’igiene personale durante il periodo di
allattamento. Veniva, inoltre, precisato che le cure in
questione potevano indurre insonnia, eccitazione, emicrania
e frequenti sistole.
Per i principi mineralizzatoti e chimici, l’acqua veniva
usata anche come bevanda e poiché rimaneva limpida e tersa,
non alterandosi nelle bottiglie, si poteva conservare a
lungo nella propria abitazione per usarla d’inverno quando
lo stabilimento termale era chiuso; la dose consigliata era
di una bottiglia al giorno.
Una geniale intuizione dei fratelli Pandolfo fu quella di
commercializzare l’acqua. Fatte eseguire ulteriori analisi
dai professori Domenico Amato e Francesco Dotto
(quest’ultimo dell’Università di Palermo), l’acqua venne
imbottigliata e venduta a cinquanta centesimi la bottiglia,
prezzo ritenuto per l’epoca conveniente ed accessibile a
tutte le tasche.
La vendita dell’acqua minerale come bibita avveniva
durante tutto l’arco dell’anno presso lo Stabilimento; si
poteva, inoltre, acquistare il prodotto imbottigliato presso
alcune farmacie della città: Cardella - via Cassari 69,
La Farina padre - piazza S. Antonio, La Farina figlio - via
Fonderia 2, Pecoraio G. - via Bara 93-95, Petralia - via
Maqueda 451, Cav. Rizzo – Via Vittorio Emanuele 504, Romeo -
via Casa Professa 20.
Lo stabilimento termale apriva la stagione il primo di
maggio e chiudeva il 31 di ottobre di ogni anno. Il bagno
freddo costava 1,50 lire, quello caldo 2 lire. All’interno,
inoltre, vi era l’assistenza sanitaria giornaliera del
dottor Gabriele Calafato il quale, fuori dalla stagione di
apertura dello Stabilimento, teneva le consultazioni
medico-chirurgiche presso la propria abitazione di piazza 13
Vittime in Palermo.(4)
L’impianto era raggiungibile dal porto della Cala con i
vaporetti. Vi si poteva arrivare, inoltre, in carrozza o
tramway.
Lo stabilimento era frequentato da tutti i ceti sociali.
Vi si recava anche la ricca borghesia palermitana tant’è che
Ignazio Florio, che figurava tra i frequentatori più
assidui, sembra abbia lì conosciuto la moglie Franca Jacona
di San Giuliano.(5)
Nel 1892 i locali, divenuti insufficienti per
l’incremento del numero dei frequentatori, vennero ampliati.
L’affluenza della gente cominciava a far rivivere anche
l’antica chiesetta ubicata nel luogo in cui sgorgava la
sorgente. Qualche anno dopo, alle soglie dell’Anno Santo, i
Pandolfo, probabilmente con i proventi derivanti
dall’attività termale, ed allo scopo di accogliere
l’accresciuta comunità cristiana, davano inizio ai lavori di
ampliamento dell’antica chiesa Geraci (attuale parrocchia
della Madonna della Lettera).
I servizi offerti
A ricordo dello stabilimento rimangono ancora oggi due
targhe: una posta all’ingresso dell’edificio e l’altra
all’inizio del vicolo Bagni Minerali.
L’epigrafe riportata sulla lapide descrive la bontà
dell’acqua ed i suoi benefici:
“Quest’acqua minerale, ritenuta salutare dagli
antichi, fu adoperata per le ribelli ostruzioni dei visceri,
contro reumatismi cronici, gotta, calcolosi uriche,
coprostasi, ecc. La scienza, in seguito, studiandone le
qualità chimiche, la disse solfatica mista magnesiaca
ferruginosa, confermando cosi la sua azione terapeutica
nelle suddette malattie. La clinica ne sancì l’uso con i
ripetuti ed accertati successi. Gli ammalati lodarono
l’efficacia per benefici ricevuti; concorsero a divulgarla,
a bene dell’umanità, ragguardevoli ed illustri cittadini,
benemeriti ed operosi sanitari. In omaggio, il giurì
dell’Esposizione Nazionale di Palermo la premiò meritatamele
ai 7 giugno 1892”.
L’acqua minerale dei fratelli Pandolfo concorse, infatti,
all’Esposizione Nazionale di Palermo del 1891 nella
Divisione I - Industrie estrattive - classe 4° - Acque
minerali e prodotti estratti dalle medesime - Categoria
Unica - Acqua minerale alcalina.(7)
Nel mese di maggio del 1993, da un sopralluogo congiunto
di vigili e sovrintendenza, risultò che il sifone principale
che portava l’acqua mineralizzata era ancora esistente e che
il complesso, nel suo insieme, poteva tornare ad essere
ripristinato, magari come luogo della memoria per i
palermitani.
Di tutto quel mondo oggi rimane solo un edificio
fatiscente. La fonte non viene utilizzata da tempo e l’acqua
è incanalata in condutture che sfociano a mare, in
prossimità della Peschiera borbonica.
Al 2010 lo stabilimento è in restauro.
Note
(1) Gaetano Tulipano, Una sorgente, un calice e una
lettera: Acquasanta e la sua storia, Palermo 2006 (2) Gabriele Calafato, Guida all'uso dell'acqua minerale
della Borgata Acquasanta, Palermo 1892 (3) Ippolito Macagno, Ricerche chimico-idrologiche sulle
acque potabili e d'irrigazione di Palermo e suoi dintorni,
Palermo 1879 (4) Gabriele Calafato, dati tratti dall'opera citata (5) Giulia Sommariva, Alberghi storici di Palermo, Palermo
2002 (6) Gaetano Tulipano, opera citata (7) AA.VV., Esposizione Nazionale Palermo 1891-1892 -
Catalogo generale, Palermo 1991 (8) Giornale di Sicilia, edizione del 1 giugno 1993
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