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Nell'estate del 1899, durante gli scavi per la
realizzazione di un acquedotto in località Villagrazia di Carini, furono
rinvenuti una serie di cunicoli sotterranei scavati nel tufo e comunicanti
tra loro che il prof. Salisas, direttore del Museo Archeologico di
Palermo, identificava come una grande catacomba cristiana.
Ne fu esplorata una piccola parte, circa 600 metri, che
permise di classificare la catacomba carinese come una delle più
importanti della Sicilia, seconda soltanto a quella di Siracusa.
Le Catacombe di Villagrazia di Carini hanno
origini antiche, probabilmente intorno al III sec. d. C.. La distanza dal
sito abitativo di Hiccara è di circa un chilometro, molto simile a
quella delle catacombe di Roma, situate fuori le mura dell'abitato.
La possibile esistenza di una sede vescovile presso
Hiccara (alcune lettere di San Gregorio Magno sono indirizzate al suo
vescovo), influenzò certamente lo sviluppo della catacomba carinese che
ebbe un'estensione notevole anche se non scavata secondo un piano
prestabilito e con molti ambulacri (corridoi) che si intersecano
tra loro. La parte fino ad ora conosciuta si estende per circa 1.000 mq ma
molto resta ancora da esplorare in quanto la maggior parte degli ambulacri
sono colmi di terra, per buona parte filtrata dai pozzi di aerazione.
L'altezza media degli ambulacri è di circa due metri mentre la larghezza
varia fra i 3 ed i 4 metri; sono presenti loculi (sia alle pareti
che a pavimento) e arcosoli singoli.
Gli arcosoli e i loculi sono stati tutti
violati; la mancanza di resti umani fa supporre che tale svuotamento sia
avvenuto quando iniziarono a costituirsi i primi cimiteri all'aperto.
Nella parte oggi svuotata nessuna pittura o segno è visibile sulle pareti
o sui tetti anche se testimonianze risalenti a qualche decennio fa
ammettono l'esistenza di pitture raffiguranti pesci1 stilizzati ed altre
indecifrabili.
Intorno agli anni 1960/70 la catacomba fu utilizzata
come ovile ed in seguito come fungaia con conseguente imbiancatura delle
pareti con calce viva. In alcuni ambulacri, quasi inaccessibili per la
presenza di terra fino a pochi centimetri dal tetto, è possibile scorgere
il rilievo che delimita l'apertura del loculi dove era collocata con calce
la lastra in tufo o pietra che chiudeva la sepoltura. In tali contesti è
visibile qualche traccia di intonaco colorato dì bruno, testimonianza di
possibili affreschi che un tempo decoravano le sepolture.
Le Catacombe carinesi risultano violate già in antico;
infatti, tra il terriccio che ricolma i corridoi si rinvengono numerosi i
frammenti di terracotta appartenenti a cantarelli e forme,
strumenti utilizzati dal 1400 per la lavorazione della cannamele o canna
da zucchero. In un atto della fine del XV secolo di un notaio operante con
la famiglia La Grua, fu dato in enfiteusi alla famiglia Giaconia un fondo
agricolo per la coltivazione e lavorazione della cannamele. Tale fondo era
munito di una torre di difesa. Ancora oggi la contrada dove si sviluppa la
catacomba mantiene il nome dei loro antichi possessori (contrada Giaconia)
ed i lineamenti della torre sono visibili nella costruzione che la
sovrasta. All'interno del primo corridoio dell'ipogeo fu allora realizzato
un muro fortificato munito di feritoie che garantiva l'assoluta
inaccessibilità all'opificio realizzato nel sottosuolo in caso di un
attacco da parte dei pirati.