All’Albergheria nei pressi dell’antico mercato di Ballarò,
di fronte alla chiesa del Carmine tra tanti edifici abbandonati e in
avanzato stato di degrado si trova l’Oratorio di S. Alberto, proclamato
santo nel 1307, appartenuto alla Congregazione di S. Alberto.
Nel 1346 il popolo palermitano chiede al Provinciale dei
Carmelitani Padre Raimondo Ventimiglia la cella del Santo dove aveva
soggiornato prima di morire a Messina.
Il Provinciale, d’accordo con i frati, la concesse già
restaurata ed abbellita dai frati stessi e trasformata in cappella. Concesse
un tratto di terra attiguo al giardino per poter ampliare la cappella e
costruire alcuni edifici per la sede della confraternita in modo da non
arrecare fastidi ai frati. Col passare del tempo la Confraternita dovette
cedere la cappella e i locali ai Carmelitani ed elevati a Compagnia decisero
di fondare la propria chiesa nel luogo compreso tra la Via delle Pergole e
il Vicolo di Santo Liberto, chiesa che completarono nel 1638.
Stemma Congregazione S.Alberto
La chiesa ha una semplice facciata, l’interno ad unica
navata era ornata di finti stucchi e marmi, lungo le pareti erano poggiati
lunghi sedili intarsiati dove prendevano posto i Confrati. Nell’altare
maggiore, così come riferisce Gaspare Palermo, era in marmo e sopra di esso
in una nicchia anch’essa in marmo era posto il quadro del Santo contenente
una reliquia regalata dal Priore del convento del Carmine di Messina,
Giovanni Rossello.
Riferisce il La Duca nella sua
"la Città passeggiata" che
la chiesa fu chiusa al culto subito dopo la guerra e fu affittata ad un
artigiano che pur utilizzandola come falegnameria in un certo senso la
custodiva; poi fu abbandonata e dimenticata, quindi lasciata nelle mani di
gente con pochi scrupoli che non persero tempo nel depredarla e deturparla.
Quando nel lontano 1992 ebbi la fortuita opportunità di accompagnare un
carissimo amico che a quel tempo lavorava per conto della Curia
Arcivescovile, della chiesa restava ben poco tutto distrutto e saccheggiato.
Nel pavimento giacevano i resti dell’opera devastatrice mute testimoni
dell’ingordigia umana, a malapena si scorgevano le mattonelle di maiolica di
cui è fatto il pavimento, anche la sepoltura dei confrati non è stata
risparmiata così come si può notare nella foto seguente.
L’ingresso alla cripta
Diciassette gradini portano ad un ambiente rettangolare
dalla superficie di circa mq 17 con la volta a botte.
L’ingresso visto dall’interno
Al centro nella parete frontale un piccolo altare,
intagliato nella roccia, dalla semplice forma e nulla di artistico reca una
nicchia dove si intravede parzialmente un affresco sbiadito.
Particolare dell’altare
Nei tre lati alle pareti sono ricavati i loculi con i
ripiani che da terra si ripartono per un’altezza di un metro e quaranta
centimetri di cui se ne contano 24
Particolare dei loculi
Data l’esiguità della cripta fa pensare che i confrati
dovevano essere di numero ristretto.
Interessante è la botola nel pavimento della camera
funeraria che accede ad un vasto ingrottato che si estende quasi a delineare
la piazza del Carmine.
Purtroppo non si è potuto fare una ricognizione approfondita data la
mancanza di attrezzatura, sicuramente una prossima accurata ispezione del
luogo potrà chiarire l’uso originario dell’ipogeo prima di essere utilizzato
come ossario.
Interessante è la lapide che chiudeva la sepoltura dei
confrati e che giace in un angolo della scala di accesso recante la data del
1703, forse l’anno della realizzazione della cripta.