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Il Rifugio di Piazza Pretoria


Indicazione del rifugio antiaereo ancora esistente

Già nel 1934 in Italia, da parte del Ministero della guerra, vennero pubblicati notiziari per portare a conoscenza dei Comitati Provinciali quanto si studiava da alcuni anni e si attuava in materia di protezione antiaerea e difesa passiva sia in ambito nazionale ed internazionale. Emergeva allora la necessità di dotarsi di opportuni accorgimenti difensivi sia da parte dello stato che dei privati in vista di un conflitto bellico nel territorio nazionale.

Si pensava a dei ricoveri collettivi di nuova progettazione o di adeguamento di strutture o edifici già esistenti.

I costi per le nuove strutture erano ingenti per cui si optava per l’adeguamento di quelli già esistenti. Essi dovevano avere delle caratteristiche specifiche, dovevano essere rinforzati con strutture in cemento armato con solettoni pieni in modo da fermare nei solai le bombe prima dell’esplosione evitando di penetrare dentro le strutture stesse.

La priorità comunque era lo sfollamento della popolazione in modo da poter utilizzare al meglio i ricoveri che potevano essere realizzati. In vista del loro utilizzo venivano organizzate periodiche esercitazioni di difesa antiaerea in Italia e in città europee, fiere specifiche, mostre ed esposizioni dei più efficaci ed innovativi sistemi di protezione, con dimostrazioni "antigas" ed " antincendio".

Ciò fa pensare a quello che accadeva negli anni settanta quando si facevano vedere in televisione rifugi antiatomici nell’era atomica nel periodo della guerra fredda tra Russia e Stati Uniti. Molta gente si fece costruire in giardino un rifugio per sfuggire ad un eventuale attacco nucleare.

Rifugio antiaereo Piazza Pretoria

I rifugi antiaerei dovevano avere delle caratteristiche specifiche, ogni occupante doveva avere a disposizione un’area di almeno 0,5 mq, non dovevano essere immediatamente a contatto con scale, vani di ascensori né in posizione periferica o angolare poiché aree di minore resistenza.

Ogni rifugio doveva avere un autonomo sistema di illuminazione, di uno o due servizi igienici e di acqua corrente, una uniforme distribuzione delle canne di ventilazione doveva garantire il ricambio dell’aria interna e dovevano potersi chiudere facilmente dal di sotto.

Particolare condotto di ventilazione

In alternativa venivano proposti sistemi di ventilazione forzata e meccanica, da azionare anche a mano.

Anche a Palermo furono recepite le norme nazionali in base a specifiche circolari inviate dal Comitato Provinciale Antiaereo. Nel luglio del 1935 l’amministrazione comunale fu costretta a prendere dei provvedimenti per una efficace protezione della popolazione. Il comune ebbe l’obbligo di costruire ricoveri nei fabbricati di nuova costruzione di proprietà del comune, purché ubicati entro l’abitato urbano, di approvare progetti per la realizzazione di rifugi antiaerei in corrispondenza di nuovi locali sotterranei ( autorimesse, cantine...) e di sorvegliare la loro realizzazione anche per gli edifici appartenenti ad altri Enti Pubblici solo se veniva inserita nei progetti la realizzazione di rifugi nei principali obiettivi strategici, quali centrali elettriche, condutture di acqua e gas. Giovani ingegneri furono avviati all’esplorazione di buona parte del territorio urbano e del sottosuolo dall’ufficio tecnico comunale e fu fatto un elenco che comprendeva tutti gli edifici in grado di ospitare nuovi ricoveri antiaerei. In questo elenco dovevano figurare tutti gli edifici urbani comunali da costruire ex novo, esistenti, gli altri di interesse pubblico (edifici universitari e scolastici, case popolari, etc... ) e i locali sotterranei che presentassero vocazione all’adattamento al ricovero.

A Palermo fu molto difficile realizzare i rifugi richiesti, vi era scarsa dotazione di grandi locali sotterranei poiché la costruzione di scantinati era costosa e poco redditizia. Numerose invece le cavità sotterranee, locali ipogei, grotte, cunicoli, spesso difettosi di aria e luce naturale, allagati dalle piogge stagionali pertanto difficilmente accessibili.

La loro difficoltà di uso e la mancanza di assoluta sicurezza rendeva complesso e costosissimo l’adeguamento come rifugi antiaerei. Considerata ardua la possibilità di realizzare locali interrati anche per la presenza di edilizia antica, ricca di presenze monumentali l’amministrazione si rivolse ai privati che pur di non stravolgere le loro proprietà, con costi esosi, accettarono altri tipi di interventi anche se meno sicuri utilizzando puntellamenti lignei, solai foderati con sacchetti di sabbia, creando maggiore resistenza in alcune zone limitate quali le volte degli androni e dei magazzini.

I rifugi ad uso collettivo furono realizzati al di sotto dei cortili di complessi monastici,quali l’Assunta – S. Anna – la Misericordia e di alcune delle principali piazze ( Pretoria, S.S. 40 Martiri, Sett’ Angeli...).

Foto Piazza sett’Angeli

Cominciato il conflitto, l’amministrazione si rese conto dell’insufficienza dei rifugi e richiamati gli ingegneri e gli speleologi ripresero a studiare le gallerie sotterranee e le grotte sottostanti l’area urbana e suburbana per adattarle a ricoveri con economici lavori d’urgenza. Furono impiegate anche le cisterne in disuso, le antiche catacombe paleocristiane, cave di pietra in galleria.

Si costruirono grandi ricoveri ipogei collettivi , capaci di ospitare anche 2.000 rifugiati ( ad esempio quello sottostante il cortile del Monastero dell’Assunta, in via Maqueda. Si realizzarono così i tipici ricoveri palermitani scavati nel sottosuolo calcarenitico, con uno schema distributivo a labirinto, con più corridoi paralleli tra loro comunicanti, di larghezza pari a due mt. da parete a parete, che presentavano sui due lati sedili continui in conglomerato; costruttivamente tale disposizione planimetrica consentiva una struttura molto rigida, con luci ridotte e spessore dei divisori fino ad oltre settanta cm, ogni corridoio era coperto da una volta a botte di altezza in chiave di circa 2,40 ml. Recentemente sono stati fatti dei saggi e si è rivelata l’assenza di armatura metallica dovuta al fatto che il ferro era prezioso per gli armamenti e non si poteva usare a fini edilizi.

Nel ricovero era immessa aria pura, distribuita a mezzo di canne di ventilazione che solitamente servivano come condutture idriche o grondaie muniti di dispositivo metallico di chiusura ermetica dall’interno ( per impedire l’ingresso di gas velenosi ) ed una semplice grata metallica all’esterno.

L’illuminazione artificiale con cavi e lampade fisse nei corridoi era prevista come pure i servizi igienici e l’acqua corrente collegata alla rete idrica cittadina.

Un "corridoio"

Un pozzo era indispensabile per l’eventualità che si rompesse la rete idrica. Due erano gli accessi, sfalsati rispetto ai corridoi per evitare che l’onda d’urto delle bombe investisse in pieno il corridoio di attesa. La semplificazione delle soluzioni progettuali, spesso in opposizione a quanto previsto dalla norma nazionale, caratterizzò la non sicurezza dei ricoveri palermitani anche per la vicinanza al piano di calpestio, poca profondità esiguo spessore della copertura che non consentivano l’assorbimento ottimale dell’urto balistico e dell’esplosione degli ordigni. Un ordigno infatti penetrò all’interno del ricovero sottostante la piazza Sett’Angeli, limitrofa alla Cattedrale, esplodendo e sterminando tutti gli occupanti (si pensa alcune centinaia ).

Cippo funerario p.zza Sett’Angeli



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