Palermo, 2 agosto 2005, Dall'Ufficio
stampa dell'Università di Palermo riceviamo e volentieri pubblichiamo
Steri, affiorano nuovi graffiti nelle carceri
segrete dell'Inquisizione:
secondo Pitrè in quelle celle erano recluse le donne accusate di
stregoneria
Partito il recupero dell'intero complesso: importanti ritrovamenti
anche dagli scavi.
Sul prospetto i segni delle gabbie dove furono esposti nel '500 i
teschi di nobili
rivoltosi.
PALERMO. E' una scoperta che farebbe impazzire di
gioia Giuseppe Pitrè, lo storico che nel 1906 riuscì a salvare
dalla completa distruzione i graffiti lasciati dai prigionieri
dell'Inquisizione in alcune celle delle Carceri segrete dello
Steri di Palermo. Li portò alla luce di persona, lavorando di
scalpello giorno e notte. Adesso quelle stesse prigioni, quegli antri
dove per due secoli - dal 1601 al 1782 - gli uomini inviati in Sicilia
da Torquemada interrogarono e torturarono innocenti in nome di Dio
accusandoli di eresia, di bestemmia, di magia, hanno dato alla luce
un'importante sorpresa: in tre delle celle del piano terra sono
venuti alla luce nuovi graffiti completamente sconosciuti, disegni
e invocazioni che potrebbero essere stati lasciati dalle donne, dalle
prigioniere accusate di stregoneria.
A presentare la scoperta sono stati stamattina, tra
gli altri, il rettore dell'ateneo di Palermo Giuseppe Silvestri, il
prorettore all'Edilizia Salvatore Di Mino, il dirigente della sezione
tecnico-patrimoniale Antonino Catalano, la progettista del restauro
dei prospetti dello Steri Costanza Conti. Presenti pure la
soprintendente di Palermo Adele Mormino e il direttore del servizio
archeologico della soprintendenza Francesca Spatafora.
Secondo Pitrè, proprio nelle celle del piano
terra stavano le detenute del Sant'Uffizio, mentre gli uomini erano
reclusi in quelle del primo piano, dove si trovano i graffiti portati
alla luce dallo storico in tre celle. "E' incredibile come delle
donne non rimanesse traccia di sorta - scrisse - mentre degli
uomini balzano fuori prove luminose a profusione". Quelle tracce
invece sono venute fuori, sotto l'intonaco, nel corso dei sondaggi
connessi ai lavori di restauro dell'intero complesso, lavori che
l'Università degli Studi di Palermo ha appena appaltato grazie a fondi
europei (sette milioni e trecentomila euro, all'opera l'associazione
temporanea di imprese di cui è capogruppo la Vitale Costruzioni spa di
Napoli) per far nascere in 27 mesi il Museo dell'Inquisizione, un polo
espositivo su cui si è concentrata l'attenzione dell'opinione pubblica
di tutto il mondo, dagli Usa alla Francia, dalla Spagna al Sudamerica.
Tre quindi, le stanze del primo piano che hanno
riservato le sorprese.
La "perla" delle nuove scoperte è una scritta
straziante in rosso-ocra, scoperta nella seconda stanza:
"Cavuru e fridu sintu ca mi pigla/ la terzuru tremu li vudella/
lu cori e l'alma s'assuttiglia", cioè: Sento freddo e caldo, mi ha
preso la febbre terzana (cioè la febbre malarica), mi tremano le
budella, il cuore e l'anima mi diventano piccoli piccoli".
Ma nella seconda stanza è pure affiorato parte di un
dipinto che raffigura la prua di una nave e una figura umana sopra
(forse un uomo in ceppi, forse il nocchiero) e poi ancora parte di
un'altra figura umana che potrebbe essere un santo ma più
probabilmente la rappresentazione di un inquisitore con il campanaccio
in mano.
Nella prima stanza, una scritta ancora da decifrare,
nella terza un calvario con tre croci. I graffiti potranno essere
conosciuti nella loro interezza soltanto quando sarà stato scrostato
l'intonaco, che si è scelto di mantenere a scopo di protezione fino al
restauro.
"Ma quasi certamente, secondo gli studiosi,
- dice il rettore dell'Università Giuseppe Silvestri -
queste pareti sono interamente coperte da graffiti, perché ogni
sondaggio ha rivelato la presenza di pitture sottostanti. Lo Steri
non smette di stupirci e l'impegno dell'ateneo è quello di
restituire le straordinarie testimonianze della sua lunga e
ricchissima storia".
Testimonianze che arrivano anche dal sottosuolo:
gli scavi condotti dalla Soprintendenza di Palermo proprio sotto
l'edificio delle carceri, realizzato a partire dal 1605
dall'ingegnere del Regno Diego Sanchez, hanno portato a novità di
grande interesse: "La scoperta più significativa - dice
Francesca Spatafora, direttore del servizio archeologico della
Soprintendenza - riguarda l'esistenza di un edificio monumentale
semipogeico, di notevole valenza architettonica: esso presenta un
notevole sviluppo verticale - si conserva, infatti, per un'altezza
di oltre sette metri - ed ha una imponente copertura con volte a
crociera, marcate da massicce costolature. "L'edificazione di questa
rilevante struttura architettonica si pone, in base ai reperti
recuperati in alcuni strati datanti, nel primo quarto del XIV
secolo, impiantandosi, come si evince da alcuni indicatori, su una
precedente fase".
Edificio straordinario, con decorazioni a forma di
testa e di fiori e con graffiti che nulla hanno a che fare con quelli
dei prigionieri dell'Inquisizione (risalgono a tre secoli prima),
edificio di cui non si trova traccia nei documenti storici sulla
fondazione dello Steri.
E ancora il restauro delle facciate dello Steri -
lavoro ormai quasi completato che ha ridato smalto al prospetto di uno
degli edifici simbolo di Palermo - ha consentito di leggere tutte le
tracce della sua storia: tra le scoperte più importanti, e
inquietanti, i solchi lasciati dalle due gabbie appese alla parte alta
della facciata, dove furono esposte per secoli le teste dei baroni che
si erano ribellati al re Carlo V all'inizio del suo Regno (1516-1554),
una delle insurrezioni con cui i baroni cercavano di ribellarsi alla
progressiva perdita di potere politico, in una Sicilia ormai diventata
provincia dell'impero spagnolo.
"Un restauro - dice la responsabile
Costanza Conti - che ha rivelato ogni dettaglio della
fabbrica, con le sue diverse fasi costruttive, pietra per pietra".
Quei teschi, rimasti lì fino all'abolizione dell'Inquisizione -
avvenuta nel 1782 per volontà dell'illuminato viceré Caracciolo -
servivano a conferire al Palazzo un'aria ancora più temibile e
spettrale.
I graffiti dei prigionieri diventeranno il cuore del
polo espositivo progettato da professionisti tutti interni all'Ufficio
tecnico dell'Università guidato da Antonino Catalano: accanto a
Domenico Policarpo (cui si deve il progetto architettonico) e ad
Antonio Sorce (progetto delle strutture), ci sono Dario La Torre
(impianti elettrico, idrico e antincendio), Daniela Romano (impianti
di climatizzazione) e sette collaboratori. Nel pool di ricercatori che
ha condotto le ricerche documentali sul carcere c'è Laura Sciascia,
(insieme con Maria Giuffrè, Elena Pezzini e Paola Scibilia), la figlia
di Leonardo, il grande scrittore siciliano che giudicò il suo Morte
dell'Inquisitore "la cosa più cara tra quelle che ho scritto", libro
dedicato proprio a uno dei reclusi delle carceri del Sant'Uffizio,
quel Fra' Diego La Matina che riuscì a uccidere l'aguzzino che lo
interrogava, don Juan Lopez de Cisneros.
"I disegni e gli scritti incisi nei muri -
dice Antonino Catalano, che è marito dell'altra figlia di
Sciascia, Annamaria - costituiscono una documentazione storica
unica al mondo anche per la forza che hanno di ribaltare i ruoli: i
condannati diventano gli innocenti, i giudici i veri colpevoli".
Come Diego La Matina, altre centinaia di uomini
furono reclusi nel carcere: frati e suore, innovatori, cervelli
scomodi, poeti, libertari, nemici dell'ortodossia politica, non
allineati. O solo poveracci, falsari, debitori del fisco. Molti di
loro lasciarono un segno del loro passaggio tra le segrete prima di
sfilare verso il rogo o, più fortunosamente, ricevere cento frustate o
il taglio della lingua.
Sui graffiti del primo piano, quelli censiti da
Pitrè, è partito l'intervento di pre-consolidamento, condotto con la
consulenza di Mauro Matteini, uno dei massimi esperti a livello
internazionale che ha al suo attivo, tra i tanti lavori, il restauro
di opere come La Primavera e La nascita di Venere di Botticelli.
L'intervento di pre-consolidamento, realizzato dal
restauratore Francesco Minniti, prematuramente scomparso, è consistito
nell'applicazione di idrossido di bario con protezioni finali
costituite da cotone idrofilo sovrapposto a veline di carta giapponese
poste a contatto con le superfici pittoriche: il tutto fissato alle
pareti con una rete in nylon.