E' impensabile quanti
studi e quanti cambiamenti rivoluzionari si siano potuti registrare
per un'attrezzatura tanto semplice come la maschera. Non staremo qui a
farne la storia ma diciamo solo che ad inventare la maschera così come
la usiamo oggi hanno certamente dato un fondamentale contributo
personaggi ormai famosi come il palombaro austriaco Ludwig Mares,
Egidio Cressi, il com. Luigi Ferraro "patron" della
Technisub, gli ingegneri americani della Scubapro e con
loro quel tale ragazzo genovese di nome Dario Gonzatti che, forse per
caso, fu il primo a realizzare una maschera che, lasciando il naso
dietro un vetro ovale, risolse il problema della compensazione.
Uno dei parametri più importanti per la
definizione di una maschera è il volume d'aria contenuto al suo
interno quando è appoggiata sul viso. Più questo volume è alto,
maggiore sarà la quantità d'aria da immettere nella maschera per
compensarla durante la discesa. Sebbene questo non sia un problema per
chi scende con l'autorespiratore, per gli apneisti diventa
rilevante quando la profondità aumenta. L'esigenza di ridurre il
volume e quella di mantenere ampio il campo visivo rendono
obbligatorio nelle maschere da apnea avvicinare il più possibile il
vetro all'occhio. Per farlo bisogna evitare la potenziale interferenza
con il naso, fatto che rende preferibile la soluzione dei due piccoli
vetri separati.
Dopo gli errori iniziali, i costruttori
hanno capito l'importanza di trovare il giusto compromesso tra campo
visivo ampio e volume ridotto, privilegiando il primo nelle maschere
utilizzate con l'autorespiratore e il secondo in quelle degli
apneisti.
Dal punto di vista ottico il vetro di fronte ai due occhi dovrebbe
essere perfettamente complanare, altrimenti la visione risulterebbe
poco chiara. Si può ottenere facilmente se si utilizza un solo vetro
piano. Diventa più difficile se i vetri sono due. In questo caso ci
sarà un telaio di supporto vetri molto rigido.
Per la verità il telaio
è utilizzato anche per le maschere monovetro ma bisogna fare
attenzione che esso non sia storto o rotto perché la visione
risulterebbe alterata. Il vetro normale fu presto sostituito con
quello temperato imposto dalle norme Ansi (e oggi da quelle CEE). In
caso di rottura infatti il vetro temperato si frantuma il blocchetti
squadrati e non, come avviene per il vetro normale, in lunghe schegge
molto pericolose.
Presto
ci si rese conto che un vetro troppo piccolo impediva di avere un
ampio angolo visivo, apprezzato da chi scendeva con l'Ara. Per
aumentarlo lateralmente si diffusero negli anni Settanta maschere a
tre vetri. Ma risolto il problema del campo visivo orizzontale,
emerse quello del campo visivo verticale che limitava la possibilità
per il subacqueo di poter controllare gli accessori sul giubbetto e
gli altri strumenti. Ecco quindi che i vetri si sono prolungati
sotto gli occhi, assumendo prima la forma a goccia e poi una vera
e propria sporgenza inferiore. Mares introdusse la maschera Esa, la
prima a 6 vetri, di cui 2 posti nella parte inferiore e suscettibili
di esser sostituiti con lenti graduate (per la presbiopia). L'ultima
novità tecnica in merito al vetro è stata presentata dalla Cressi Sub
che ha pensato, per ampliare il campo visivo, di non porre più il
vetro parallelo al piano degli occhi, ma di inclinarlo verso il
basso. Su alcuni modelli più economici si è sostituito il vetro
con materiali plastici, come il policarbonato ma la scelta non si è
rivelata ottimale non tanto per la robustezza e la resistenza
all'usura quanto per la facilità ad appannarsi.
E passiamo al
"facciale" ovvero
alla parte morbida della maschera che effettivamente fa tenuta
con il viso del subacqueo. Nelle prime maschere il facciale era in
gomma naturale. Per migliorarne la conservazione, queste maschere era
cosparse di talco naturale (non profumato) in grado di ritardare il
deterioramento in presenza dei raggi ultravioletti, dell'ozono e di
altri agenti chimici. Con le maschere moderne questa precauzione è del
tutto inutile o perfino dannosa. Oggi i facciali sono infatti
realizzati in neoprene (prodotto misto che deriva dal lattice
naturale a cui
è aggiunto del carbone per tingerlo di nero e
proteggerlo dai raggi ultravioletti) o in silicone (prodotto
totalmente di sintesi e derivato organico del silicio che si
polimerizza con il cloruro di metile), prodotti di lunga durata. Il
secondo in particolare, oltre alla durata e alla morbidezza presenta
il vantaggio di essere anallergico e, nella versione base, translucido
e trasparente con il vantaggio di evitare il cosiddetto "effetto
tunnel" prodotto dai facciali opachi.
Un altro componente
che ha subito una grossa evoluzione è il cinghiolo con i suoi
sistemi di aggancio. Nacque come semplice nastro di gomma fissato alla
maschera con due fibbie metalliche; oggi quasi tutti i cinghioli sono
in silicone o neoprene, molto resistenti, i loro agganci possono
essere regolati con una sola mano e sono sdoppiati posteriormente per
evitare che scivolino dalla nuca.
Avere cura della propria maschera è
importante: si raccomanda di riporla nell'apposita custodia o in
un sacchetto di plastica poiché l'ozono accelera il deterioramento del
neoprene, mentre il silicone si macchia quando è a contatto con gomma
o neoprene.
Ogni subacqueo infine dovrebbe essere in grado di disassemblare completamente i tre elementi della maschera: telaio,
vetro e facciale. Non si ha idea di quanta sporcizia si può trovare
nei loro interstizi. Occhio allora, e non sottovalutiamo l'attenzione
da porre a questo elemento dell'attrezzatura perché riflettiamo: ci si
immerge per il piacere di vedere.
Vedere poco o male che piacere è ?
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