Abbiamo trascorso un
inverno a discutere di argomenti interessanti (attrezzature, metodi
di immersione e via così) nella convinzione che la voglia di mettere
la testa sott'acqua si fosse raffreddata un po'.
Ora che l'estate è iniziata "torniamo a
parlare di cose serie" direbbe qualcuno e quindi prima di farmi
criticare per gli sproloqui su argomenti tecnici, mi rimetto la muta
e vi guido su altri percorsi del nostro magico sesto continente.
Lasciamo per una volta l'ambito palermitano e spostiamoci a
Castellammare dove, adeguatamente muniti di imbarcazione, salpiamo
alla volta della tonnara di Scopello.
Mezzo miglio più ad
est, in corrispondenza dell'ingresso dello Zingaro e a poco più di
800 metri dalla spiaggia su cui si affacciano diversi residence, ci
ritroviamo sulla verticale del Capua, una nave affondata lo scorso
millennio durante la seconda guerra mondiale. Il relitto, lungo
circa 45 metri, giace in assetto di navigazione poggiato sulla
sabbia che nella massima profondità è di meno di 38 metri.
Pianifichiamo
l'immersione lasciando la quota massima all'esplorazione dell'elica
e alla parte inferiore della prua, quindi iniziamo a scendere. Già
dopo i primi metri si intravede per intero la sagoma della nave
affondata che si concretizzerà in tutte le sue forme una volta
raggiunta. Gran parte delle strutture sono ormai fatiscenti per via
dell'azione del mare e del vasto incendio che ne causò
l'affondamento il 27 aprile del 1943. Il Capua infatti era una nave
da carico assegnata per il trasporto munizioni durante l'ultimo
conflitto (423 tsl, costruita nel 1907 dai cantieri Wood Skinner &
Co., Newcastle – Regno Unito – acquistata dall'Italia nel dicembre
del 1942 e data in gestione alla Soc. An. di Navigazione Tirrenia),
affondata durante la navigazione da Trapani a Palermo. Scivoliamo
veloci verso la prua e iniziamo da qui la nostra escursione sul
relitto. Numerose colonie di gorgonie gialle si sono insediate con
il passare degli anni sullo scafo.
A un occhio attento non sfuggirà la
caratteristica forma "a baionetta" della prua, tipica delle navi di
quel periodo. Pinneggiando lungo la murata risaliamo alla quota di
coperta. Disordinatamente sparsi sul ponte troviamo numerosi
detriti, oggi sicuro rifugio per una moltitudine di saraghi.
Raggiungiamo le stive
buie e deserte.
Da una feritoia si
scorge la massiccia catena dell'ancora, ancora stipata nel
"pozzetto", mentre una murena osserva curiosa il nostro passaggio
per poi ritrarsi al sicuro della sua tana. Illuminando con le torce,
scorgiamo sul fondo alcuni resti di cassette che un tempo
contenevano munizioni ma il fitto sedimento alzatosi per l'azione
delle pinne pregiudica presto la visibilità. Non ci rimane che
proseguire, lasciandoci alle spalle una nuvola di fango.
Eccoci in
sala-macchine: tubi volanti e cavi vi sono sparsi ovunque, tutti
avvolti dalla stessa tinta color ruggine. Con attenzione cerchiamo
di evitare di alzare il sedimento anche se purtroppo lo scarico
delle nostre bombole non frena la caduta della sospensione che viene
dalle strutture alte. In questi ambienti era solito per gli uomini
addetti alle macchine avere una piccola officina ottimizzata per la
manutenzione e la riparazione della nave. Ed ecco infatti che appare
alla nostra vista una grossa morsa montata su un banco e alcuni
utensili alle sue spalle, ancora ordinatamente posti nell'apposita
rastrelliera.
Lasciamo la sala
macchine per tornare nuovamente all'esterno.
Dedichiamo
l'esplorazione al resto del relitto cercando di non dilungarci molto
ormai stante il tempo già trascorso. Sorvoliamo la parte centrale
della nave dove riscontriamo la mancanza della ciminiera,
probabilmente andata perduta durante l'affondamento. Anche il ponte
comando e altri compartimenti sono andati in parte distrutti. A
poppa sono visibili due grosse bitte. A farci compagnia un fitto
branco di anthias che si mostrano nella loro bellissima livrea
quando sono investiti dalla luce dell'illuminatore.
Scendiamo sull'elica
ma questa è stata asportata assieme al timone in epoca successiva
all'affondamento. Rimane soltanto l'asse, oramai assediato da
svariati e coloratissimi organismi marini. La buona visibilità
consente da questa posizione di ammirare gran parte del relitto in
tutta la sua grandezza. Seguiamo ora la murata verso prua quando
l'attenzione ricade su un indefinibile oggetto adagiato sulla
sabbia. Si tratta forse di un'arma contraerea caduta con tutto il
telaio di sostegno dal ponte sovrastante. Eseguiamo il consueto
monitoraggio degli strumenti di immersione e filiamo dritti verso
prua per la fase conclusiva dell'immersione.
Sulla coperta gran
parte delle strutture in legno della nave sono ormai deteriorate,
lasciando intravedere l'ambiente sottostante. Soltanto le parti in
metallo sembrano resistere all'azione del tempo. Ci troviamo ora di
fronte all'ingresso degli alloggi di prua. Una rapida occhiata
all'interno per renderci conto che sono del tutto vuoti e privi di
interesse.
Ormai non rimane
altro che raggiungere la cima di risalita ben tesa verso la
superficie. Lentamente cominciamo a risalire, lasciando sotto di noi
questo bel relitto, che merita di essere esplorato dedicando ben più
di un'immersione.
Accorti ragazzi
perché si tratta di un'esperienza impegnativa che va fatta con le
dovute precauzioni e sotto la guida di chi già conosce il luogo. Per
il resto non posso che augurarvi di effettuarla al più presto anche
perché d'estate il relitto è segnalato da un gavitello e quindi è
facile individuarlo oltre che ormeggiarsi in tutta sicurezza.
Altri
itinerari qui