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Il relitto del Carmelo Lo Porto a Favignana

Era tanto che volevo parlarvene ma mi mancavano le notizie storiche che da poco ho appreso da un’interessante ricerca di Stefano Ruia, esperto subacqueo e grande conoscitore dei tesori dei nostri mari.

Mi riferisco al relitto del mercantile Carmelo Lo Porto immerso nello splendido mare di Favignana.

Lo porto nel cuore perché è lì che le mie figlie hanno fatto le loro prime esperienze subacquee e proprio l’immersione su questo relitto ha costituito il coronamento del loro corso “Open Water” ovvero l’inizio della loro affascinante avventura nel sesto continente.

Capirete da questo che si tratta di un’immersione facile ma, al di là della profondità, l’esplorazione di quanto rimane di questa nave costituisce indubbiamente un’esperienza suggestiva che lascia il segno anche per il tempo a disposizione con cui è possibile viverla, diversamente da quanto solitamente avviene con i relitti dei fondali a noi più accessibili.

L’oggetto dei desideri in questione si trova a sud della “Farfalla delle Egadi”, raggiungibile in pochi minuti dal porto del paese e facilmente individuabile proprio per la presenza di quelle rocce affioranti, il cosiddetto Scoglio Palumbo a sud-ovest di Punta Longa, che ne causò il naufragio nel lontano 1971.

Adagiato su un fondale di posidonie, a una profondità massima di 18 m. ciò che resta del Carmelo Lo Porto affascina subito non appena si inizia la discesa per la possibilità di essere osservato nella sua interezza, merito della nota trasparenza dell’acqua di questa zona e della bassa quota in cui si trova. Il castello di poppa ci offre innanzitutto la vista di una grande ancora di ammiragliato di rispetto saldamente fissata alle pareti come una scultura disposta in bella mostra per non passare inosservata. Ai suoi lati ,le scalette conducono alla plancia di comando che era poppiera e che adesso si presenta del tutto vuota. Il disegno di questa sezione della nave è quello arrotondato caratteristico delle unità di una volta e dalla sua parte anteriore è possibile accedere alla sala macchine in cui si distingue una lunga fila di aste e bilancieri posti in testa al motore diesel da 300 cavalli che quasi trent’anni dopo la costruzione della nave sostituì quello originario reso inservibile dopo l’affondamento nel porto di Bengasi.

Già, perché sembrerà impossibile ma la Carmelo Lo Porto, nata nei cantieri olandesi Bowedes nel 1918 e passata successivamente sotto bandiera italiana, era stata requisita dalla Regia Marina ed impiegata nella vigilanza antisommergibile quando, nel 1941 si inabissò per l’esplosione di un piroscafo carico di munizioni che le era vicino. Recuperata e interamente restaurata con l’installazione anche di quel nuovo motore, passò nelle mani di due armatori napoletani, ultimo dei quali quel Santo Lo Porto che dopo averla ribattezzata Giorgina, le cambiò ancora nome registrandola come Carmelo Lo Porto. Navigava da Porto Empedocle verso La Spezia trasportando un carico di 455 tonnellate di salgemma la nostra “ex olandesina” quando la notte del 23 giugno del 1971 urtò contro lo Scoglio Palumbo e costrinse le 34 persone di equipaggio a mettersi precipitosamente in salvo.

Chi conosce il luogo da moltissimi anni sostiene che originariamente il relitto era adagiato sul fondo in assetto di navigazione con l’albero che svettava verso la superficie mentre adesso si presenta inclinato sul fianco sinistro e si resta sorpresi dalle condizioni in cui si trova, considerata la bassa profondità e la vicinanza dello scoglio di cui dicevamo ma forse la forma stessa di questo e la presenza delle posidonie devono avere contenuto gli effetti della risacca e delle innumerevoli mareggiate. In ogni caso non sono rimasti elementi significativi della parte prodiera e solo una serie di lamiere contorte e di altre strutture si trova disseminata più distante a profondità maggiori.

Per la precisione il mercantile era una piccola unità di 294 tonnellate, lunga 43,96 metri, larga 7,45 m. e con un’immersione di 3,12 m.

Ma torniamo alla nostra escursione che si fa interessante quando, passando da una parte all’altra dello scafo si ha modo di assaporare l’atmosfera classica dei relitti, fatta di particolari da scoprire alla luce delle torce, di oggetti da identificare sotto lo spesso strato di concrezioni, di… incontri inaspettati come quello dei gronchi, veri padroni di casa del luogo e sempre disposti a mostrare grande ospitalità specie se incentivati da qualcosa da mangiare offerta loro con discrezione. Sbucano dal nulla senza che ve ne accorgiate e si fermano a distanza aspettando pazientemente lasciando a voi la prima mossa. Se non avete mai provato questa esperienza non perdetevela, ha il sapore di quello che siamo abituati a vedere nei mari tropicali dove il rapporto uomo/pesce ha connotati profondamente diversi e più entusiasmanti.

Sin qui il dolce di quest’avventura sub ma non è tutto facile ciò che sembra e ogni cosa ha un prezzo che nel caso dei relitti - al momento nell’area trapanese ma in seguito nell’intero ambito regionale - significa dover fare i conti con una nuova disciplina delle immersioni su quelli che sono catalogati come “relitti di interesse storico” dalla Sovrintendenza del Mare della Regione Siciliana a cui occorre richiedere il nulla-osta preventivo all’autorizzazione che la Capitaneria di Porto di Trapani dovrà rilasciare. Lo dispone l’ordinanza 14/2009 del 27 aprile scorso che individua ben 8 “zone regolamentate” nella propria area di competenza relative ad altrettanti relitti, ivi compresi, per intenderci, quelli della motonave “Capua” e del “Kent” o “Nave dei corani” di cui ci siamo occupati in precedenza.

Attenzione quindi a programmare le vostre immersioni nel rispetto delle nuove disposizioni, ovvero più semplicemente ad affidarvi ai diving locali già preparati ad operare nella norma. In breve dobbiamo abituarci a pensare che siamo entrati in una nuova fase della subacquea almeno siciliana.

Da molti anni l’interesse degli studiosi si va concentrando sui relitti di epoca contemporanea in passato trascurati a favore di quelli archeologici in senso stretto.

La considerazione per cui questi beni sono ormai pezzi unici nel cui ambito si è sviluppata un’intensa vita floristica e faunistica ha fatto quindi sorgere l’obiettivo di tutelarli assieme al loro valore culturale.

Ecco il perché delle disposizioni cui accennavo e che non si possono che condividere a condizione, mi si lasci dire, che queste mete subacquee non diventino appannaggio dei soli diving bensì facile fruizione anche di tutti quei subacquei preparati (leggasi brevettati) che già esperti dei luoghi desiderino esplorarli più di una volta pianificando in autonomia le proprie discese perchè... diciamolo pure, è anche a loro che si deve la diffusione della conoscenza e la valorizzazione di quei relitti.

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