Tutto ebbe inizio alle 4,25 dell'11 gennaio 1978 quando una
stazione radio sarda (Capo Mannu) captò un SOS lanciato da una
nave in fiamme che si trovava 25 miglia a ovest di Marettimo.
Radio Roma rilanciò l'SOS alla Capitaneria di Porto di Trapani
che fece partire due motovedette ed un rimorchiatore. Frattanto
però la petroliera "Paulus V" – questo il nome della nave in
avaria – veniva raggiunta dalla portacontainers norvegese "Admiral
Nigeria", dalla motonave "Eleonora F." nonché da un elicottero di
una nave appoggio della stessa flotta americana di stanza nel
Mediterraneo.
Dal canto suo Maresicilia provvedeva a far partire un
elicottero dalla base di Catania per recuperare i naufraghi. La
prima a raggiungere la petroliera (un gigante di 178 m. di
nazionalità greca e costruito a Billingham nel 1951), proveniente
dal porto tedesco di Wilelmschaven e diretta a Milazzo, fu l'Admiral
Nigeria che prese a bordo 32 naufraghi sfuggiti alle fiamme grazie
alle scialuppe di salvataggio calate in tempo utile in acqua.
Alcuni erano ancora in pigiama, altri scalzi ma tutti intirizziti
e terrorizzati. L'incendio che si era sviluppato nella sala
macchine a seguito di una violenta esplosione si era propagato
rapidamente a tutta la parte poppiera, costringendo l'equipaggio a
una precipitosa evacuazione. All'appello mancavano però due
uomini, entrambi macchinisti, che verosimilmente dopo l'esplosione
erano rimasti incastrati tra le lamiere senza potersi mettere in
salvo. A mezza strada tra Marettimo e Trapani la motovedetta della
Capitaneria di Porto incrociò la Admiral e provvide al trasbordo
dei naufraghi tra i quali due donne, rispettivamente mogli del
direttore di macchina e del comandante Petros Kodos di 36 anni.
Per la Paulus tutto sembrava procedere senza complicazioni:
trainata dai rimorchiatori Ciclope I e II la nave procedeva verso
il porto di Trapani con mare forza 2/3. Poi, tra l'isola della
Formica e il molo della Colombaia si verificò una nuova
esplosione: a causa del vento i focolai che nel pomeriggio
precedente sembravano completamente esauriti, si erano infatti
rinvigoriti causando una nuova deflagrazione che fece inclinare la
nave. La petroliera infatti, che a Wilelmschaven aveva fatto lo
"stripping" (il prosciugamento delle taniche) viaggiava scarica e
con i portelloni aperti in vista dell'imbarco di combustibile che
avrebbe effettuato a Milazzo. A causa dell'esplosione l'acqua
cominciò quindi ad invadere rapidamente i serbatoi.
A questo
punto si pose il problema se trainare la nave sino in porto ovvero
ormeggiarla sul versante di tramontana, a ridosso in pratica del
vento di sud-ovest. Si optò per quest'ultima soluzione e la nave
venne trascinata su un basso fondale di circa 35 metri sul quale
si adagiò facendo perno sul "calcagno" del timone. A un miglio e
mezzo dalla costa si poteva scorgere lo scafo che emergeva per un
terzo della sua lunghezza complessiva, dal ponte di comando
all'estremità della prua. In pratica era sommersa per 140 dei suoi
180 metri. Ora si presentava il problema del recupero ma più che
mai quello dell'inquinamento del litorale. La Paulus infatti a
causa dello scoppio stava perdendo il gasolio con un ritmo di tre
tonnellate l'ora che avevano ricoperto la superficie del mare per
un raggio di cento metri.
Da qui la decisione del comandante del
porto Giuseppe Francese di far giungere un notevole quantitativo
di solvente per scongiurare l'inquinamento ma era il mare stesso a
disperdere gradatamente le 15 tonnellate che complessivamente
fuoriuscivano dalle falle. I giorni che seguirono furono decisivi
per la sorte della petroliera perché il fortunale che nel
frattempo si era abbattuto sul litorale impediva qualunque
intervento mentre la Capitaneria stava completando la definizione
del piano di rigalleggiamento destinato a riportare in porto la
nave dopo averla alleggerita attraverso il pompaggio dell'acqua
che ne aveva invaso i serbatoi. Il piano però non ebbe mai
attuazione in quanto la Paulus si inabissò completamente
spezzandosi in due tronconi all'altezza del castello di poppa.
L'immersione su questo gigante addormentato è tra le più
suggestive tra quelle sinora descritte relative alla costa
nord-occidentale della Sicilia, E' anche un'immersione che può
essere effettuata in un tempo relativamente lungo in quanto buona
parte dello scafo è adagiato su un fondale che degrada dai 16 ai
30 metri.
Iniziando quindi la discesa sulla prua della nave si
potrà percorrerla per oltre tre quarti della sua lunghezza
soffermandosi a guardare le varie sezioni in cui è divisa la
coperta, le tubature per l'imbarco e lo stivaggio del combustibile
che la ricoprono come una ragnatela, i portelloni dei serbatoi, le
stive e parte dei locali dell'equipaggio.
Il castello di poppa
però e i locali dei motori sottostanti si trovano tranciati dal
resto della nave e distanti una trentina di metri dalla parte più
lunga del relitto. Qui la visione di ciò che resta è però molto
confusa: un groviglio di lamiere, di enormi bielle, di pistoni, di
ancore ancora fissate allo scafo rende difficile identificare la
forma originaria di questa zona della nave ma proprio la
dimensione di ogni particolare dà l'idea del gigantesco mezzo di
cui faceva parte facendo rivivere la tragedia di quel lontano
1978.
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