La statua in vetta

La statua di Santa Rosalia in cima al monte, protegge i marinai in vista di Palermo...


La statua di Santa Rosalia in cima al monte...
brano tratto dal libro di Rosario La Duca "la città passeggiata" ed. l'EPOS

Sino ai primi decenni del nostro secolo sul Monte Pellegrino si ergeva, in un ciglio roccioso di tramontana a picco sul mare, un'imponente statua di santa Rosalia circondata da un portico.

Era stata realizzata nel 1664, con gigantesche dimensioni, affinché i naviganti la potessero facilmente vedere solcando quel mare e potessero invocare la Santa per chiederle aiuto nei momenti di pericolo.

Non c'era infatti palermitano che, lasciando la sua città in cerca di lavoro in terre lontane, non rivolgesse un ultimo e commosso saluto a quella statua, implorando che la vergine romita del monte lo proteggesse nel lungo viaggio e nell'incerto avvenire.

Scrisse a tal proposito Vincenzo Auria (1625-1710), nella Vita di Santa Rosalia Vergine (Palermo, 1669): «In quest'anno (1664) da persona divota fu eretta una Statua di Santa Rosalia, sopra un edifìcio fabbricato alla cima d'un colle eminente di Monte Pellegrino verso Tramontana, a vista de' naviganti; da i quali vien la Santa, e riverita con saluti dai passeggeri, ed invocata ne' lor viaggi».

Anche il canonico Antonino Mongitore (1663-1743), in un manoscritto inedito, conservato nella Biblioteca Comunale di Palermo, da la stessa notizia, aggiungendo il nome della "persona divota" che la fece erigere e le caratteristiche del portico che contornava la statua: «A consolazione de' divoti, sopra un eminente colle, lontano dalla Grotta, oltre un miglio, nel 1664, fu verso Tramontana e a vista del mare, a' naviganti, eretta da Carlo d'Orlando una loggia con 12 archi, a 16 colonne; 100 e sopra di essa un gran colosso della Santa di 24 palmi (circa 6,15 m), che da passeggieri viene salutato, e anche da' Turchi: e invocata sui lor viaggi».

Alessandro Giuliana Alajmo, in un articolo apparso nel 1965 sul bimestrale Dafni, sostenne che Carlo d'Orlando non era la "persona divota" che finanziò l'opera, bensì l'artefice del monumento e, con un ragionamento alquanto artificioso, volle dimostrare come il nome di costui fosse errato, per uno svarione del Mongitore, e che invece avrebbe dovuto essere "Carlo d'Aprile", per cui il monumento alla santa era senz'altro da attribuirsi a questo scultore. Era quest'ultima, una conclusione alquanto azzardata, per cui ritengo che l'autore di questo complesso monumentale debba ancora ritenersi sconosciuto.

Lo stesso Mongitore riferisce inoltre che nel 1730 il portico era ormai ridotto in cattivo stato, ragion per cui tutte le colonne di tre lati furono sostituite con pilastri, lasciando soltanto quelle del quarto lato che si affacciava sul mare. Ma anche queste, per incuria, crollarono in prosieguo di tempo.

Verso la metà del XIX secolo, la statua fu colpita da un fulmine e ridotta a pezzi, ma dopo poco tempo fu sostituita da un'altra scolpita da Rosolino Barbera, allievo del Villareale.

Sul finire dell'Ottocento, un fulmine la danneggiò nuovamente e rimase decapitata, ma sembra che sia stata restaurata all'inizio del nostro secolo, come risulta dalla documentazione fotografica coeva che la mostra integra, sebbene non risulti chiaro se sia stata del tutto rifatta, ovvero se al tronco dell'antica statua scolpita dal Barbera sia stata aggiunta soltanto una nuova testa.

Ma non ci fu pace per il simulacro della Santuzza, perché la sua posizione elevata e la mancanza di una adeguata protezione antifulmini, rendevano il complesso elemento d'attrazione per cui la statua fu nuovamente colpita e immancabilmente decapitata. Nell'immediato dopoguerra la statua appariva gravemente mutilata, il portico era ormai in rovina ed i frammenti di due o tre teste diverse giacevano sparsi a terra in prossimità del basamento.

Successivamente, quanto rimaneva del monumento fu demolito per ampliare la spianata ed una nuova statua in bronzo della santa, opera dello scultore Benedetto De Lisi, posta su un piedistallo marmoreo, venne eretta nel 1964 su una roccia adiacente, ed è quella che ancor oggi si vede.

A ricordo dell'antico monumento, sul muro che circonda il nuovo piazzale, fu collocata, rivolta verso il mare, una delle teste recuperate, che è forse quella della prima statua, risalente al 1664.

Vittorio Giustolisi, nel suo volume La Montagna Sacra (1977), si mostra alquanto perplesso circa la sua identità e, sia con fondate argomentazioni che attraverso un'analisi stilistica del manufatto, avanza con cautela l'ipotesi che il reperto possa collegarsi ad un culto marinaro vivo sul monte in età classica, e che quindi questa testa sia del tutto estranea alla statua di santa Rosalia. E questa un'ipotesi affascinante, soprattutto per la messa a punto della storia del monte in età pagana, ma comunque il tutto è ancora da verificare attraverso un'approfondita indagine archeologica.

A prescindere dalla presenza della statua di santa Rosalia, il Monte Pellegrino ed il vicino Monte Gallo hanno sempre costituito due ben precisi punti di riferimento sia per i marinai che per gli emigranti, facendo nascere alcuni motti non del tutto scomparsi.

Chi un tempo emigrava salpando verso l'America o altri lidi, nel dare un ultimo sguardo a questi due monti era solito esclamare: "Capu di Gallu e Munti Piddirinu, Biati l'occhi chi ti vidimmu!" (Capo di Gallo e Monte Pellegrino, Beati gli occhi che ti vedranno).

Una tradizione, raccolta da Giuseppe Pitrè, narra di due emigranti che, ritornando dall'America dove avevano fatto fortuna, poco prima di giungere a Palermo si misero a giocare a carte, ma uno di loro perse tutti i suoi averi e gli rimase soltanto il vestito che portava addosso.

Giunto in vicinanza di Palermo, scorse il Monte Gallo e amareggiato non poté fare a meno di esclamare: "Capu di Gaddu, capu di guai", invece l'altro, che con la vincita aveva accresciuto la sua ricchezza, non appena gli apparve la mole del Monte Pellegrino, esclamò tutt'allegro: "Munti Piddirinu, alligrari mi fai!"

Ancor oggi, qualche vecchio marinaio palermitano, in vista di questi due monti familiari, è solito ripetere l'antico motto, pur non conoscendone l'origine, vera o falsa che sia.



 

 

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