Resta imprecisabile l'epoca di
fondazione; alcuni studiosi tendono ad attribuirla
all'Emiro Kalbita Giafar (997/1019), ritenendo anche
che sia stato costruito su una costruzione
preesistente. Altri studiosi ritengono che la
costruzione sia di periodo normanno; altri ancora
suppongono che il castello sia di epoca araba, il
laghetto di epoca normanna.
Il Basile sostiene addirittura che
i sollazzi siano stati due: quello di Maredolce e
quello della Favara e che uno dei due sia stato
distrutto durante la guerra del Vespro.
Nel 1071 il castello venne
occupato dal normanno Conte Ruggero e divenne uno
dei "solatii regii" che sorgevano nell'ampio parco
che circondava la città e che gli arabi avevano reso
luogo di delizie con la loro raffinata sapienza
nella pratica irrigua, utilizzando la ricca falda
acquifera della pianura con un complesso sistema di
pozzi e di canaletti.
Il Castello di Maredolce o della Favara,
oggi quasi nascosto alla vista dei passanti da costruzioni abusive, si
trova al vicolo Castellaccio prospiciente piazza dei Signori
a Brancaccio. Prese il nome dal parco della Favara (in arabo
Fawarah significa "risorgiva") che si estendeva dal monte Grifone fino al
mare, mentre il nome Maredolce si riferisce al piccolo
mare di acqua dolce che circondava il castello su tre lati. Resta
imprecisabile l'epoca di fondazione; alcuni studiosi tendono ad
attribuirla all'Emiro Kalbita Giafar (997/1019), ritenendo
anche che sia stato costruito su una costruzione preesistente.
Altri studiosi ritengono che la costruzione sia di periodo normanno; altri
ancora suppongono che il castello sia di epoca
araba, il laghetto di epoca normanna. Il Basile sostiene addirittura che i
sollazzi siano stati due: quello di Maredolce e quello della Favara e che
uno dei due sia stato distrutto durante la guerra
del Vespro. Nel 1071 il castello venne occupato dal normanno Conte Ruggero
e divenne uno dei "solatii regii" che sorgevano nell'ampio parco che
circondava la città e che gli arabi avevano reso
luogo di delizie con la loro raffinata sapienza nella pratica irrigua,
utilizzando la ricca falda acquifera della pianura con un complesso
sistema di pozzi e di canaletti.
Nel 1328 Federico II d'Aragona con un atto lo
cedette ai Cavalieri Teutonici della Magione insieme al territorio
dìiMaredolce. Intorno al XV sec. passa alla famiglia Bologna che ne è
proprietaria per circa un secolo. Nel XVII sec
diviene proprietario il Duca Francesco Agraz. La famiglia Agraz lo riduce
in tale stato di abbandono da fargli attribuire il nome di "Castellaccio"
e, in seguito, viene addirittura in parte
utilizzato come ricovero di animali.
Il castello della Favara rientra nel quadro dell'arte siciliana, si
presenta con elementi propri in quanto, pur conservando elementi dell'arte
bizantina e araba, acquista anche le
caratteristiche costruttive preesistenti in Sicilia. Il palazzo è a pianta
rettangolare con una rientranza nell'angolo est; la fronte non presenta
tutta la stessa altezza. Esso era bagnato su tre
lati dalle acque del lago, ciò è testimoniato dalla mancanza di intonaco
idraulico rosso sul lato che oggi da sulla stradella, intonaco che invece
si trova sui rimanenti tre lati.
La costruzione poggia su dei grossi conci di tufo. Sulla fronte
nord-ovest si aprivano quattro ingressi il primo dei quali, oggi
tompagnato, portava probabilmente alle scuderie e a zone
riservate alla servitù. Il secondo ingresso che è il più grande
immette in un cortiletto oblungo che si allarga in un ampio cortile su cui
si apriva un portico di forma quadrata.
E questa la parte del castello più "sconvolta" dalle numerose
costruzioni abusive che hanno nascosto o distrutto molte tracce. Il terzo
ingresso portava alla cappella dedicata a San Filippo.
L'ambiente scelto per la cappella prima era probabilmente la moschea
dell'Emiro; infatti durante gli scavi e seguiti nel 1951, nelle vicinanze
sono stati ritrovati frammenti di stoviglie in
argilla tipicamente arabi. Il piccolo luogo di culto è a pianta
rettangolare ad unica navata coperta da due volte a crociera, divise dal
presbiterio da un arco a sesto acuto. Al centro del
presbiterio si innalza il tamburo che inizia a forma quadrata, diventa un
ottagono e termina a forma cilindrica coperto da una piccola cupola che
all'esterno si presenta coronata da una piccola
serie di mensole poste nella parte alta a simboleggiare l'appartenenza ad
un palazzo reale. In fondo al presbiterio si trova l'abside illuminato da
una finestra e affiancato da due nicchie molto
strette. Sulla parete di destra della navata si apre una nicchia di forma
rettangolare probabilmente utilizzata per conservare le suppellettili
sacre. Sulla parete di sinistra si aprono quattro
finestre che danno luce alla navata. Sulla parete di fronte all'abside si
nota un'apertura, oggi tompagnata, che immetteva in un ambiente delle
stesse dimensioni della cappella. Il pavimento,
sullo stesso livello del piano esterno, era ricoperto da un semplice
battuto di malta e coccio pesto. Il quarto ingresso si trova sulla
facciata nord-ovest e conduce nell'ambiente annesso
alla cappella: l'aula regia, che è stata divisa in due da un soppalco, la
parte sovrastante nasconde la nicchia con la volta plissettata, alla
"persiana", ornata con delle
nervature. Gli altri ambienti, spesso ricoperti da costruzioni abusive,
stanno venendo alla luce con il restauro attuale e gli studi su di essi
sono ancora in corso. Nella parte sud-ovest si
trovano due finestre bifore probabilmente divise da una colonna. Sul lato
sud un ponte levatoio collegava il castello all'isolotto ed era possibile
l'attracco per le piccole imbarcazioni sul lago.
Sempre su questo lato si trovano delle feritoie strombate riconducibili al
periodo in cui il castello è di proprietà dei cavalieri Teutonici assume
una funzione difensiva. Nel lato nord-ovest si
trovano delle finestre con ghiera acuta. Nel
1992-93, durante il restauro, è stata effettuata indagine archeologica
della cappella e di una larga trincea (2 m) presso la diga che chiude a
Nord-Est la depressione del lago artificiale.
Proprio qui si è evidenziato non solo lo strato limoso relativo all'uso
lacustre del bacino, ma anche uno stato di insabbiamento di terreno
giallastro alluvionale, fino agli strati di
interramento artificiale per uso agricolo, nei quali è stato possibile
perfino leggere le fosse praticate per rimpianto di colture arboree.
E' venuto cosi alla luce il tondo del lago pavimentato a
cocciopesto come il rivestimento delle strutture murarie; il tondo
presenta una inclinazione di circa 20 gradi rispetto al piano normale
della struttura, in modo da smorzare la forza delle
acque provenienti da Monte Grifone a Sud-Ovest Nello strato relativo
all'insabbiamento con terreno giallastro alluvionale si sono recuperati
alcuni esemplari di formae e cantarelli che,
insieme a pochi ma significativi materiali utili per stabilire una
cronologia testimoniano la trasformazione di quello che era stato nei
secoli XII e Xlll un luogo dìidelizie in un'area a
prevalente funzione agricola-industriale. Le formae e i cantarelli
erano contenitori di terracotta utilizzati per la lavorazione dello
zucchero: l'esistenza di coltivazioni di canna da zucchero e
di un piccolo stabilimento industriale (un trappeto) per la
lavorazione della preziosa sostanza a Maredolce è confermata anche da
numerose fonti archivistiche. Il restauro dei complesso,
avviato nel 1990, ha interessato in un primo momento solo la
cappella e per alcuni anni ha avuto rallentamenti e perfino periodi in cui
è stato del tutto fermo. Nel corso degli ultimi due
anni è stato reso quasi del tutto esecutivo l'esproprio delle numerose
costruzioni abusive che si addossano o circondano il castello e i lavori
sono ripresi a pieno ritmo. Il progetto ambizioso
prevede, oltre il restauro, anche il ripristino del lago e la creazione di
un parco in modo tale che il complesso possa avere degna collocazione dal
punto di vista artistico monumentale e possa
costituire un' occasione di riscatto culturale ed economico per il
quartiere e per tutta la città.
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