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(foto ©PalermoWeb) |
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Palazzo Gravina di Comitini fu edificato dall'architetto Nicolò Palma nella seconda metà del '700 per il Principe di Comitini. Stucchi dorati ai soffitti, intagli alle porte e l'acceso colore degli ambienti arricchiscono la visita insieme alle tante tele presenti nelle varie sale tra cui la "sala verde", la "sala rossa". Oggi gli uffici della provincia sono stati trasferiti in periferia in nuovi ambienti e il Palazzo è rimasto sede diplomatica dell'ente e sede dell'ufficio stampa dello stesso. Dal sito della Provincia... Sorge nel cuore della città, Palazzo Comitini, vicino alla Fontana Pretoria e al Teatro del sole, che segnano la rinascita urbanistica di Palermo. Nobile nella forma, sembra dominare via Maqueda, su cui si affaccia con un prospetto tardobarocco, mosso da aggettanti colonne e lesene, balconi e cornici. Architettura che afferma ragioni sociali e politiche nel tracciato viario della Palermo settecentesca prima, del Novecento poi. Due tempi nei quali l’edificio offre di sé il volto primigenio e quello rinnovato. La costruzione, voluta da Michele Gravina y Cruillas, principe di Comitini, si pone tra il 1768 e 1771. Risponde al principio di consolidamento di una famiglia la cui storia ha radici in Rollone, duca di Normandia, e sottolinea l’idea di appartenenza e di governo. I Gravina, pars magna dell’olimpo di Sicilia, si affermano alla corte di Martino I nel secolo XIV, avendo come capostipite Giacomo di Bitonto, dal quale derivano sette famiglie. Queste, simili e differenti, generano capitani, giustizieri, prelati, ambasciatori, grandi di Spagna, pretori, geni dell’arte e della follia. Appartengono alla storia don Francesco, ideatore della Villa dei mostri a Bagheria che intriga Goethe, Brydone, Houel; don Francesco Paolo che per i poveri crea il Real Albergo di Palermo; il cardinale Pietro, sottile tessitore politico; l’ammiraglio Federico, vinto a Trafalgar da Nelson; don Michele pretore della capitale e deputato del regno. Il loro blasone, che all’interno si tesse di bande d’oro e a scacchi in campo azzurro con stella d’argento, è contrassegnato dal motto «Spero», rievocante quello dei Tomasi di Lampedusa «Spes mea in Deo est». Che non indica l’attesa, bensì la fiducia nell’intelligenza operativa. Autore del palazzo sulla “strada nuova” è Nicolò Palma, architetto del senato e nipote di Andrea, che firma il progetto di Villa Giulia. Il Palma, conscio del processo di inurbazione della classe patrizia, di cui nelle adiacenze sono testimonianza le dimore dei Mazzarino, Santa Croce-Sant’Elia, Cutò, Filangeri, Benenati, Belvedere, tende a rappresentare nell’intera articolazione il ruolo dei suoi committenti, legati al sogno della magnificenza più che alla ragione del secolo dei lumi. Ingloba in un disegno moderno diverse strutture originarie, rispondenti alle abitazioni dei Gravina di Palagonia, dei Roccafiorita Bonanno e al forno dei Micciari. Acquisisce chiara unità il palazzo che si raccorda attorno a un cortile allungato in grado di congiungere le spazialità cinquecentesca e barocca, dischiudendosi alla vista sin dall’ ingresso di via Maqueda. Solenne è il portale fra due colonne granitiche cui si abbina, sulla destra, un altro portale di dimensioni quasi uguali. Per saperne di più |
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