Le tappe del percorso:
Borgetto,
Partinico, Alcamo,
Segesta,
Calatafimi, Valderice,
Custonaci, Erice,
Trapani,
Mozia, Marsala,
Mazara del
Vallo, Pantelleria,
Rocche di
Cusa, Selinunte-Castelvetrano
BORGETTO
Sulla fondazione dell'abitato si narra una singolare leggenda:un gruppo di banditi in fuga cercò rifugio presso il signore del
luogo;ricevuta la protezione richiesta il capo dei banditi sposò la figlia
del feudatario e fu subito imitato dai suoi compagni che si recarono
negli abitati vicini per cercare ciascuno la propria sposa. Stabilirono
così in questo luogo la loro definitiva dimora. Ma è solo leggenda. Di fatto si ha notizia del feudo di Borgetto in un documento
del 1294 che attesta il nome del possessore, tale Simone d'Escolo, Nel
.1351 passa a Margherita de Blando che lo lascia in eredità al
monastero di San Martino delle Scale con l'impegno di costruirvi
un monastero. Del 1410 è, invece, un altro testamento a favore dei
monaci del monastero di S. Maria delle Ciambre che lo tennero fin
quando dovettero cederlo al Comune di Palermo.
Il suo nome è legato alla vicenda di un frate benedettino, Giuliano
Majali, che in questo luogo morì dopo aver vissuto per parecchi anni in
eremitaggio.
Dal centro cittadino fiancheggiando le rovine del
Monastero delle
Ciambre ed attraverso una tortuosa salita lungo le pendici del Monte
Crocefia si giunge, a quota 718 m, al Santuario della Madonna del
Romitello la cui visita ripaga della fatica ascensionale.
PARTINICO
La cittadina è inserita in un territorio tra i più fertili della
Sicilia occidentale dove insiste una delle più grandi aree vitivinicole
della Sicilia e d'Italia, area che s'estende, senza soluzione di
continuità, ad Alcamo e a Castellammare. Le sue origini si fanno
risalire al VII sec. a.C.; il primo nucleo abitativo dovette sorgere tra
i quartieri S.Annuzza e Spine Sante, Piazza Duomo e la chiesa dì S.
Giuseppe; i reperti rinvenuti dal Gruppo Studi e Ricerche di Partinico
sono raccolti presso l'Antiquarium comunale. Una certa importanza Parthenicum
l'ebbe dopo la conquista della Sicilia da parte di Roma. Tra i
principali beni culturali sono da annoverare: la Cantina Borbonica
fatta costruire da Ferdinando I re delle Due Sicilie, la Torre
Albachiara, il Gastello di Ramo, la Chiesa Madre
(1552), la Chiesa di S. Leonardo (1634).
Da visitare: la Cantina Borbonica, la
Torre Albachiara,
il Castello di Ramo, la Chiesa Madre (1552), la Chiesa
di S. Leonardo (1634). A proposito della Cantina Borbonica,
in atto in fase di restauro, se ne prevede la trasformazione in Enoteca
Regionale.
Gli ex-voto al Santuario della
Madonna del Ponte a Partinico ha saputo elaborare alcuni aspetti
particolari nel campo della religiosità popolare. Legata al culto della
Madonna del Ponte troviamo l'usanza dell'offerta degli ex-voto
quale testimonianza della grazia ricevuta. Ed attraverso l'attenta
lettura di tali tavolette, dal 1852 al 1978, vien fuori la vita vissuta
dalla gente, le reali difficoltà cui andava incontro nello svolgimento
del proprio lavoro, le disgrazie in cui facilmente era incorsa e per le
quali aveva ricevuto grazia dalla Madonna alla quale offriva la
tavoletta dipinta.
ALCAMO
Si colloca nel cuore di un'ampia valle rigogliosa di vigneti il cui
prodotto più importante è il rinomato vino secco Bianco d'Alcamo.
Il suo nome le deriva dall'arabo Manzi! Alkamah che vuoi dire stazione
dei frutti di loto. Nelle sue tante chiese si possono ammirare
sculture e dipinti che rappresentano il meglio di quanto artisticamente
abbia prodotto la Sicilia; basti citare Pietro Novelli, Giacomo Serpotta, i
Gagini, Giuseppe Renda nonché opere del belga Borremans.
È opportuno ricordare che ad Alcamo nacque Ciullo d'Alcamo,
l'autore di uno dei primi componimenti poetici in lingua italiana (sec. XIII).
Da visitare: la Chiesa Madre, le chiese della
Badia
Nuova e della Badia Vecchia, la chiesa dei Santi Paolo e
Bartolomeo, la chiesa dì S. Oliva, di S. Francesco di
Paola, del SS. Salvatore, dell'Annunziata, dei SS. Cosma
e Damiano, del Gesù. Dopo tanto andar per chiese si potrà ammirare
il medievale Castello dei Conti di Modica che nel settembre del
1535 ospitò l'imperatore Carlo V, la Torre De Ballis. Ma
la visita della città non può esaurirsi senza una escursione alla Riserva
del Bosco d'Alcamo, sul Monte Bonifato dove, nella parte più alta
si trovano i resti del trecentesco Castello dei Ventimiglia,
Incorporata nella cinta muraria si trova la chiesa della Madonna
dell'Alto costruita nel '600 e sotto il Castello i resti di un'ampia
cisterna di epoca araba, localmente nota come la Funtanazza.
Altre
informazioni su Alcamo
SEGESTA-CALATAFIMI
L'antica Egesta fu fondata nel V-IV sec. a.C., dagli
Elimi
sul monte Barbaro a 305 metri di quota mentre la sua origine si fa
risalire ad un nucleo di Troiani scampati alla furia degli Achei,
intorno al 1183 a.C. Fu eterna rivale di Selinunte sulla quale riuscì
ad avere la meglio, con l'aiuto dei cartaginesi, nel 409 a.C. passando,
definitivamente, nell'orbita punica. Dopo il periodo d'oro per Segesta
iniziò un periodo non molto felice che si concluse nel 307 a.C. con la
sua conquista e relativa distruzione da parte di Agatocle che le cambiò
anche il nome in Diceopoli.
Dopo la ricostruzione, nel 260 a.C. passò sotto il dominio di Roma
al cui fianco combatté contro i cartaginesi durante la 1° Guerra
Punica. Lentamente decadde fino alla sua completa distruzione avvenuta
nel V sec. d.C. ad opera dei Vandali prima e degli arabi
successivamente, finché se ne perse anche il nome. La campagna di scavi
in corso ha già messo in luce le prime vestìgia delle antiche
abitazioni.
Da visitare:
il Tempio dorico (426 a.C.) che grandeggia
solitario su un poggio in posizione molto suggestiva; sì presenta
incompiuto mancando la scanalatura delle colonne e la copertura; il
grande Teatro (III sec. a.C.) riedificato in età ellenistica,
collocato in una posizione che permette, stando seduti, di godere di un
vastissimo panorama; ogni due anni ospita rappresentazioni classiche; il
Santuario (VI sec. a.C.) di cui si possono ancora vedere i resti di un
grande recinto, il Temenosche era solito circondare le aree sacre
tipicamente indigene.
CALATAFIMI
Si trova nel cuore dell'antico Vallo di Mazara (uno dei tré Valli
in cui gli arabi amministrativamente
e politicamente divisero la Sicilia; gli
altri due sono il Val Demone ed il Val di Noto). Il suo territorio è
caratterizzato da una successione dì basse colline, successione rotta
qua e là da isolati rilievi (inferiori ai 600 metri) - tra i quali
quelli che costituiscono la calcarea dorsale di Segesta - ed animata
dalle incisioni di una complessa rete idrografica che annovera, oltre ad
una serie di valloni e torrenti a carattere stagionale, due fiumi: il Kaggera-Fiume Caldo (l'antico
Crimiso) ed il Fiume Freddo. Il Kaggera, che
vuoi dire luogo pietroso, prima di riversarsi nel Fiume S. Bartolomeo
(in territorio dì Alcamo) assume la denominazione di Fiume Caldo per
via dell'apporto di acque sulfuree sgorganti dalle sorgenti delle Tenne
Segestane. Questo corso d'acqua ha svolto, in passato, un ruolo assai
rilevante nell'economia di Calatafìmi avendo alimentato i numerosi
mulini ad acqua costruiti lungo le sue sponde ed oggi importanti
reperti di archeologia industriale. Interessantissimi, dal punto di
vista naturalistico, alcuni tratti di questi due corsi d'acqua ed il
Vallone della Fusa che si insinua - tra splendide gole -tra il monte
omonimo e Monte Barbaro fino a riversarsi nel Fiume Kaggera. Il
paesaggio vegetale di questo notevole ambito territoriale è vario e
sempre rigoglioso: il manto naturale - tipico dell'orizzonte
mediterraneo - è, infatti, significativamente rappresentato da
interessanti lembi di formazioni di sughero e Leccio che costituiscono
la bella Sughereta di Angimbè.
Calatafimi è anche meta di
storici pellegrinaggi. Non lontano dal paese, infatti, in località
Pianto Romano il 15 maggio 1860 i Mille di Garibaldi si scontrarono con
l'esercito borbonico. A ricordo dello storico evento che vide la
vittoria dei garibaldini, sul luogo è stato eretto un Obelùco-Ossario
su progetto dell'architetto E. Basile.
Da visitare: la Chiesa della Madonna del
Giubino, la normanna
Chiesa del Carmine, la Chiesa del SS. Crocifisso che il francese Houel
giudicò tra le più belle di Sicilia.
Nei dintorni: Segesta, il Bosco di
Angimbè, le Tenne Segestane,
il Colle di Pianto Romano.
VALDERICE
Gli avvenimenti storici di Valderice coincidono, per molti secoli,
con quelli di Enee; infatti, sparsi nuclei abitativi di ericini sorsero
qui fin dai tempi antichi, agevolati dalla fertilità del terreno e dalla
ricchezza di sorgenti d'acqua. Dalla fine dell'800, poi, con il
trasferimento a valle di molti ericini in seguito allo sviluppo della
piccola proprietà, sì andò formando un nucleo abitativo più
consistente soprattutto lungo la via Trapani-Paparella-Castellammare
(SS.187). Soltanto nel gennaio del 1955 l'Assemblea Regionale Siciliana
concedeva l'autonomia amministrativa al comune dì Paparella-San
Marco comprendente anche le frazioni dì Bonagia, Crocevie,
Misericordia, Fico, Casalebianco, Crocci, Lenzi e Chiesanuova. Con
successiva legge regionale del 1958 la denominazione venne cambiata, a
richiesta, in quella attuale di Valderice.
Il territorio è ricco di Ville, Chiese e Bagli tra cui ricordiamo
Villa Betania, Villa Avellone, Villa Adragna di Altavilla
(successivamente trasformata in Baglio ed attualmente in villa
signorile), Chiesa di S. Marco, Chiesa di Cristo Rè, Santuario di
Nostra Signora della Misericordia (in contrada Misericordia), Chiesa
di S. Barnaba Apostolo (in contrada San Barnaba), Baglio Papuzze
(in contrada S. Andrea), Baglio Sciare, Baglio Nobili in contrada
Bonagia (oggi Comunità Mondo per il recupero dei
tossicodipendenti), Baglio della Tonnara di Bonagia.
CUSTONACI
Si trova abbarbicato ad un costone calcareo alle falde del monte
Cofano dove insiste la Riviera dei Marmi così chiamata per le
cave che vi sono impiantate che, per quanto danneggino l'ambiente, hanno
costituito e costituiscono un considerevole vantaggio per l'economia del
territorio: da esse, infatti, si estrae il miglior marmo dì Sicilia
quali il periato, il botticino, il libeccio, l'avorio
venato. Interessante non perdere di vedere l'artistico
acciottolato antistante il Santuario della Madonna, sovrastante
l'abitato. Si tratta di una composizione a mosaico alquanto bizzarra e
fantasiosa fatta dì fiori e rosoni. Se in vena di scoperte culturali,
basterà visitare i bagli, case-maniero di pastori e contadini.
Il baglio era tutto per le famiglie povere di queste zone; vi
stava quanto potesse bastare all'economia familiare, dalla casa per
abitare alla vasca per pigiare l'uva, dalla cantina dove
tenere le botti ai pollaio. Le vicende storiche di Custonaci si
fusero per parecchio tempo con quelle di Erice, nel cui comprensorio
ricadeva la cittadina. Secondo una leggenda, nei primi del XV secolo
l'immagine della Vergine che allatta il Bambino venne sbarcata da una
nave proveniente da Alessandria d'Egitto ed i marinai, scampati
miracolosamente alla furia del mare, posero il simulacro sulla collina
di Custonaci; ed attorno a quel simulacro si costruì l'identità dei
custonacesi.
Borgo Scurati
La visita di Custonaci non può concludersi senza recarsi al
vicino Borgo di Scurati, uno dei più originali d'Europa, a circa
un chilometro dal paese; si tratta di un gruppo di casette, anche a un
piano, costruite al riparo di un'enorme grotta da sempre abitata
dall'uomo, fin dal Paleolitico Superiore. Lo testimonia il ritrovamento
di importanti reperti tra i quali molti strumenti ricavati dalle selci.
A circa mezzo chilometro dalle case Scurati si trovano le grotte Micelie
Mangiapane nelle quali sono state scoperte incisioni del Paleolitico
Superiore e ritrovato interessante materiale archeologico la maggior
parte del quale si trova esposto al Museo Pepoli di Trapani.
Il Presepe Vivente
Il Presepe Vivente nella Grotta di Scurati Nella Grotta Mangiapane,
nel 1983, ha avuto inizio l'avventura del Presepe Vivente. L'esperienza,
nata dallo spirito religioso popolare e derivata dalle sacre
rappresentazioni svolte nel Suntuario delld Madonna di Custonacidai
1974 al 1981, oggi rappresenta un documento ed una testimonianza di
forte identità culturale. Intorno a! fatto religioso, all'Evento per
eccellenza che la festività di Natale rappresenta, si sono via via
concretizzate esperienze di lavoro artigiano e rurale che hanno dato
vita ad una messa in scena viva e affascinante. In un ambiente organico
ed armonico caratterizzato dalla pietra viva, pastori, donne, bambini,
venditori ed animali si muovono in uno scenario sacralizzato da gesti,
voci, suoni e odori antichi.
Da visitare: il Santuario della Madonna, le zone archeologiche di
Grotta Miceli e Grotta Scurati, il Presepe Vivente nella Grotta di
Scurati.
ERICE
Tutta raccolta in un perimetro triangolare, Erice è una delle
cittadine più singolari della Sicilia. Le stradine acciottolate e
strette, le piccole piazzette, i cortili fioriti, un ricco artigianato
che comprende ceramica, dolci e tappeti, la rendono mèta
irrinunciabìle dì ogni escursione nel trapanese. Sorge su un monte
solitario che domina su Trapani, la vallata ed il mare. Le sue origini
sono antichissime e misteriose, avvolte nella leggenda. A fondarla, in
epoche lontanissi-me, sarebbe stato Erice, re degli Elimi, mitico
figlio dì Venere. Sulla vetta era sorto, dapprima, soltanto un Tempio
dedicato a una divinità femminile della natura feconda, identificata
dai Romani con Venere Ericina, sempre veneratissima da tutte le
popolazioni del Mediterraneo,
soprattutto dai naviganti. Ben presto vi fu edificata una munitissima
fortezza contesa da Fenici, Greci, Cartaginesi e Romani. Erice fu
distrutta dai Cartaginesi nel 260 a.C. e gli abitanti furono trasportati
a Trapani. In epoca romana il Tempio di Venere fu messo a capo di una
confederazione religiosa di 17 città siciliane, permanentemente difeso
da una guarnigione. La cittadina si perde nelle nebbie del tempo fino
all'epoca araba quando riapparve con il nome di Gebel-Hamed. Nel corso
dei secoli successivi si sviluppò e compose il volto urbanistico che è
giunto intatto fino ad oggi.
Da visitare: le Mura di Cinta, la Chiesa Madre, il Castello di
Venere, i giardini del Balio, le Torri Medievali, il Palazzo Municipale.
TRAPANI
Le sue origini sono avvolte nella leggenda. Si narra che l'antica
Drepanum
sarebbe sorta sulla falce caduta a Cerere mentre, disperata, vagava per
il mondo alla ricerca della figlia Proserpina, rapita da Fiutone;
ovvero, sarebbe una creatura di Saturno, appositamente sceso dall'Olimpo
per fondarla. Certo è che su questi lidi sì avvicendarono numerose
popolazioni, più o meno fantastiche. A cominciare dai Ciclopi, vissero
qui gli Elimi, i Giganti, i Troiani, i Fenici e numerosi altri. Ma
Trapani acquistò importanza solo nel 260 a.C. quando Amilcare fece
trasportare qui gli abitanti di Erice, città della quale era stata
lungamente l'Emporio (porto). Essa si trovava ai piedi del monte San
Giuliano e si estendeva fino al mare allungandosi su un promontorio
arcuato. La città fu un'importantissima base navale durante le Guerre
Puniche. Nel 241 cadde sotto il dominio di Roma perdendo molto del suo
antico prestigio.
Il Museo Pepoli
Comprende vario materiale archeologico, di pittura, scultura, arti
applicate e numerosi cimeli di interesse storico-locale. La raccolta
archeologica comprende materiale fenicio, greco e romano di varia
provenienza (Erice, Selinunte, Lilibeo, etc...). La vasta sezione
dedicata alle arti minori comprende prodotti dell'artigianato,
specialmente trapanese, eseguiti tra il '600 e 1'800; interessanti un presepe
in materiale marino con figure di alabastro dipinto, un calice m
rame con cammei e applicazioni in corallo, un Crocifisso ricavato
in un unico pezzo di corallo.
Da visitare: il Museo Pepoli, il Museo della Preistoria
alloggiato nella seicentesca Torre di Ligny i cui manufatti ivi
conservati sono stati, in massima parte, ritrovati nella provincia di
Trapani. Interessante anche la visita del monumentale organo a
cinquemila canne di vari metalli e legni con sette tastiere,
custodito nella Collegiata di S. Pietro.
MOZIA
L'antica Motye, che corrisponde all'attuale Mozia o Isola di San
Pantaleo al centro della laguna dello Stagnone di Marsala, fu una delle
colonie mediterranee più importanti della civiltà fenicio-punica
fondata intorno alI'VIII-VII sec. a.C. Per la sua posizione favorevole
ai commerci marittimi, divenne ben presto una delle più floride colonie
fenicie d'occidente. Infatti, intorno alla metà del VI sec. a.C.
vennero realizzate le maggiori opere pubbliche tra le quali, per citare
le principali: le fortificazioni, la strada di collegamento con la costa
antistante (ora sommersa) che conduceva alla località detta Birgi
ed il Kothon. Era questo un piccolo porto interno usato per il
carico e lo scarico delle merci e, forse, anche per la riparazione delle
imbarcazioni.
Gli approdi dell'isola erano situati, invece, lungo la costa
settentrionale, di fronte Porta Nord, il principale accesso alla
città. Tra gli altri monumenti di Mozia va citato il Tofet, il
santuario in cui venivano deposti i resti dì offerte e sacrifici umani
al dio Baal Hammon.
Dell'abitato, oggetto di scavi sistematici solo da pochi anni, si
conoscono, essenzialmente, due case: la prima, adorna di mosaici
pavimentati a ciottoli bianchi e neri raffiguranti lotte di animali
reali e fantastici; l'altra, denominata casa delle anfore per la
presenza di un grosso deposito di anfore trovato al suo interno, sembra
invece far parte del quartiere artigianale dell'isola. La presenza in
Sicilia dei greci, con cui i fenici avevano scambi commerciali ma anche
contatti non sempre amichevoli, causò guerre che, con alterne vicende,
provocarono, infine, la distruzione di Mozia ad opera di Dionisio di
Siracusa nel 397 a.C.; nel 241 a.C. passò sotto il dominio di Roma con
il nome di Motya mentre la maggior parte della popolazione sì spostò
sulla terraferma dove fu fondata Lilibeo, l'odierna Marsala.
Passarono diversi secoli prima che qualcuno tornasse ad interessarsi
dell'isola ormai disabitata. Solo nel 1800 un colto imprenditore
commerciale vinicolo inglese appassionato di archeologia, Giuseppe
Whitaker, dopo aver pazientemente acquistato l'isoletta, ne scavò
la parte perimetrale costituendo, con i reperti, un museo fatto in
casa negli ambienti della sua villa sull'isola dove si trovano
esposti i reperti archeologici più importanti rinvenuti nell'isola, tra
i quali spicca la statua del c.d. Giovinetto di Mozia,
eccezionale capolavoro di arte greca del V sec. a.C. L'isoletta oggi
costituisce la Fondazione Whitaker.
MARSALA
È l'antica Lilibeo, antico villaggio fenicio che nel tempo divenne
la più importante base punica in Sicilia tanto da rimanere, infine,
l'ultimo baluardo della loro potenza nell'isola. Fu fondata nel 397 a.C.
dagli abitanti di Motya scampati alla distruzione della loro città per
mano dì Dionisio I. Nulla o quasi nulla resta della città punica; tra
le poche cose, però, c'è un reperto di grandissimo valore, una nave.
Ritrovata nello Stagnane di Marsala, fu recuperata nel 1969 ed
oggi è esposta nel Museo del Baglio Anselmi. Si tratta di
un'agile e lunga nave da guerra vecchia di oltre 20 secoli, affondata,
probabilmente, nel 241 nel corso della battaglia delle Egadi tra
Cartaginesi e Romani. Lilibeo divenne presto città romana affermandosi
come principale porto di collegamento con l'Africa. Gli arabi ne
cambiarono il nome in Marsala da Mars-Alì (porto di Ali).
Garibaldi scelse il suo porto per sbarcarvi con i suoi 1000 soldati ed
intraprendere la conquista dell'Isola che avrebbe condotto all'Unità
d'Italia.
Da visitare:
il Palazzo Senatorio detto
La Loggia (1576),
la Cattedrale (1626) costruita su una primitiva fondazione
normanna del 1176, le Catacombe, il Museo degli Arazzi* che
conserva 8 magnifici arazzi fiamminghi del '500 tessuti dalla
famosa Arazzerla imperiale di Bruxelles nel periodo del suo
massimo splendore.
MAZARA DEL VALLO
Centro agricolo ma, soprattutto, marinaro, capitale della marineria
peschereccia siciliana e italiana e, perciò, uno dei principali scali
della pesca nel Mediterraneo, Mazara è posta sul mare, alla foce del
fiume Mazaro. La città, grazie al fiorente sviluppo dell'industria
ittica e delle attività vitivinicole, ha avuto un intenso processo
d'espansione. La città antica, raccolta in un perimetro quadrangolare,
ha conservato i caratteri residenziali degli insediamenti islamici in
Sicilia. Dapprima scalo fenicio, il suo abitato ha conosciuto un intenso
sviluppo urbanistico con l'occupazione degli arabi (827) i cui caratteri
d'impianto sono ancora oggi riscontrabili nell'intricato tessuto viario
del vecchio centro. Grazie a questo florido periodo fu eletta capoluogo
del Val di Mazara fino al 1817. Nel 1093 divenne vescovado e nel 1097
accolse il primo Parlamento normanno in Sicilia. La sistemazione in
città delle sedi ecclesiastiche e dei complessi conventuali sì
completa tra il '600 ed il 700 comprendendo anche la ristrutturazione
barocca delle principali piazze, prima fra tutte Piazza Maggiore.
Da visitare: la Cattedrale, il Seminario dei Chierici, il
Palazzo Vescovile e le chiese di S. Caterina, S. Egidio del Cannine, S.
Ignazio, S. Nicolicchio e S. Agostino.
PANTELLERIA
L'isola di Pantelleria, il cui nome potrebbe risalire all'arabo
Bent
el Rhia (figlia del vento) e secondo altri studiosi dalla parola
greca pan-pantòs con el Rhia, si trova nel Canale di Sicilia, al
centro del Mediterraneo. Il colore nero delle rocce che la costituiscono
dimostra che l'isola è un vulcano che si erge dalla profondità di
oltre 1400 metri sotto il livello del mare della Fossa di Pantelleria
agli 836 metri della cima della Montagna Grande.
Dalla Grotta del Bagno Asciutto e dalle favare nei pressi di Rekale
fuoriescono vapori sfruttabili per sauna. Bagni in sorgenti, che possono
essere fatti alla grotta di Salaria come alla Cala di Gadir,
così come sorgenti calde, si
trovano presso il bei laghetto vulcanico del Bagno dell'Acqua,
localmente conosciuto come Specchio di Venere. Pantelleria nella
preistoria fu un importante centro da cui veniva prelevata e diffusa in
altre zone del Mediterraneo una roccia molto usata dagli uomini del
neolitico e dell'età del bronzo, l'ossidiana che, opportunamente
scheggiata in lame taglienti sostituì la selce come materiale per fare
armi ed utensili. Un altro uso che per secoli i panteschi hanno
fatto delle loro rocce vulcaniche è costruire con esse le loro
abitazioni, i tradizionali dammusi, case cubiche con piccole
aperture per difendersi dal caldo e tetti a volta fatti di pomice,
leggeri ed isolanti ad un tempo. Ogni dammuso aveva una sua
cisterna sotterranea per la raccolta delle acque piovane. Alcuni
antropologi hanno definito la civiltà pantesca l'ultima civiltà
agrìcola europea non ancora contaminata dall'automatismo e dalla
civiltà dei consumi. In effetti a Pantelleria sopravvivono ancora gli
usi, i costumi e le strutture tipiche delle antiche società agricole.
ROCCHE DI CUSA
Cave di Cusa. Sono una
delle meraviglie della Sicilia la cui visita è indispensabile per chi
voglia poi ammirare la grandiosità dei Templi selinuntini. Poste nel
territorio di Campobello di Mazara, da esse furono tratti i grandi
rocchi in tufo calcareo per costruire i templi ed altri edifici di
Selinunte. Il visitatore che s'inoltra nelle Cave subisce la favolosa
suggestione del luogo scorgendovi colossali cilindri di colonne (i
rocchi) talvolta già quasi fissati e pronti per essere trasportati,
talaltra ancora in parte attaccati alla roccia o, addirittura, con i
capitelli appena sbozzati. Le Cave paiono abbandonate all'improvviso
durante il lavoro come se attendessero una ripresa ancor oggi, dopo
circa 2.500 anni. Diversi rocchi hanno le stesse dimensioni di quelle
del Tempio G che, forse, non era stato ancora terminato quando, nel 409
a.C. i Cartaginesi distrussero Selinunte. Le Cave testimoniano,
dunque, la drammatica sorte della potente città, avamposto greco nel
Mediterraneo punico.
SELINUNTE
Fondata nel corso del VII sec. a.C. dai coloni di Megara
Hiblea,
costituiva la punta più avanzata verso occidente dei territori greci in
Sicilia. Selinunte si era sviluppata nei secoli sino a diventare la più
grandiosa tra le città della Sicilia ellenistica, specie per i suoi
colossali Templi, gli unici fra quelli siciliani ad essere decorati con
sculture. Dopo la distruzione del 409 a.C. da parte Cartaginese, la
città non sì riprese più e se ne perse anche il nome. Solo nel '500
lo storico Tommaso Fazello ne identificò il sito e nell'800 si iniziò
una sistematica campagna di scavi che ha portato alla luce vari Templi,
catalogati con lettere dell'alfabeto poiché non si sa con certezza a
chi fossero dedicati.
Da visitare:
sulla collina orientale il Tempio G, uno dei più
grandi dell'antichità, forse dedicato ad Apollo; quando nel 409 a.C. la
città subì la distruzione per mano Cartaginese il Tempio non era
ancora finito, lo dimostrerebbe la mancanza di scanalature in molte
colonne; il Tempio F, di stile arcaico, sorse probabilmente nel VI
secolo; è quello che ha subito il maggior saccheggio nei suoi elementi
costruttivi; il Tempio E, in perfetto stile dorico, sarebbe stato
dedicato ad Mera; da esso provengono 4 metope oggi esposte al Museo
Regionale Archeologico di Palermo; dell'Acropoli sono da visitare sei
piccoli templi: il Tempietto delle piccole metope cui appartengono le
più antiche metope della zona; il Tempio C , il più grande
dell'acropoli, aveva i frontoni decorati con ornamenti floreali, con
all'interno una maschera gorgonica di terracotta; il Tempio D, sempre in
stile dorico; piccoli altari, cippi ed edicole sparse nell'area sacra
dell'acropoli; il Santuario della Malaphoros (oltre la Valle del fiume
Selino); il Tempio M con grande altare o fontana monumentale.
CASTELVETRANO
Città baronale, fu feudo dei Tagliavia-Aragona che ne fecero la
piccola capitale dei loro possedimenti. L'assegnazione dì terre in
enfiteusi e in affitto che i principi praticarono e favorirono comportò
la valorizzazione di plaghe prima incolte, con l'introduzione di metodi
di coltivazione più intensiva e razionale nonché di colture più
redditizie.
Nel '500, accanto alla tradizionale fonte di reddito agrario, fonte
costituita dalla produzione dì grano, cominciano ad affermarsi le
colture della vite e dell'olivo tipiche, oltretutto, dell'area
mediterranea. Durante il XVIII secolo si assiste ad un vero e proprio boom
dell'olivo con l'innesto di migliaia di piante che oggi costituiscono il
90% della cosiddetta Nocellara del Belice, utilizzata sia come
oliva verde da mensa che come oliva da olio.
Da visitare:
la Chiesetta normanna della SS. Trinità di Delia
(a pochi chilometri dalla città), il tetto a capriate e stucchi del
Serpotta della Matrice, il Palazzo dei baroni di Tagliavia.