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PANORMUS - CURIOSITA'

LA "GRAFICA" POPOLARE

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Il mercato, con la vitalità dei suoi elementi, una ricca tavolozza di colori e ombre, è qualcosa di più di un semplice luogo dove avviene la contrattazione tra venditori e acquirenti.

Un budello di strade dove in una sorta di corridoio si muove una folla affaccendata che guarda, negozia, valuta la convenienza, spesso le botteghe (putie) propagandano la stessa merce, e certi cartelli hanno lo scopo di far capire all’avventore che esiste diversità e qualità.


E' il caso del carnezziere che per esaltare un prodotto come la “salsiccia” di maiale si premurava di farsi realizzare un rilevante cartello con il fondo tutto bianco dove emergeva la scritta in blu “salsiccia extra” con al centro due maialini color rosso o ad imitazione della naturale realtà, capeggiava ad una grandezza superiore il prezzo indicato da una piccola mano. (foto a destra)

Accadeva spesso che i prezzi delle merci dichiarate, sui cartelli di carta colorata, non segnavano mai la cifra tonda, allo zero si aggiungeva una piccola codina cosi da confondere l’acquirente e invogliarlo all’acquisto.

Un espediente, una furbizia levantina, parte integrante del carattere del palermitano assimilato dalla pluralità d’esperienze apprese dalle varie etnie che ci hanno dominato.

I venditori d’olive preparate “alivaru” nel suo banchetto a predisposto la merce a piramide e vende olive bianche e nere, “a fiore”, senza sale e dolce, ad attrarre l’attenzione ci pensano i numerosi cartellini a forma di panierino colorati con carta stagnola dove sono disegnate delle olive all’interno del piccolo paniere e la scritta “oliva nera”, il prezzo capeggiava al centro con caratteri più grandi.


Oliva nera senza sale lire 350 chilo

I fruttivendoli e i pescivendoli utilizzavano una specie di scudo colorato dove indicava il prezzo e il tipo di merce esposta, ma era la loro insegna che segnalava il tipo di negozio “putia”, un campo coltivato con le primizie della terra, un mare azzurro abbondante di pesce dove troneggia un’immagine votiva e, da questa si capiva in base alla rappresentazione grafica, come la drogheria che esponeva un cartello dove era raffigurata un certo tipo di pasta di semola con il nome del suo produttore.


"Lire 30 una" melanzana

Questi cartelli facevano tanto assomigliare alle vecchie insegne di bottega che dipinte su legno o in sottili fogli di legno compensato con esuberanti colori richiamavano il tipo di artigiano o mestiere che veniva esercitato.

Furono le prime forme di comunicazione, affidati alla fantasia di pittori popolari che semplificando un aspetto reale di quel mestiere, servivano a far capire alla gente cosa proponeva il negoziante.

Il Pitrè ne distingueva due tipi: quelli “naturali” cioè la cui insegna era rappresenta dalla esposizione di un oggetto inerente alla sua professione o merce, tipo: nell’uscio del chiavettiere era ed è ancora mostrata una grossa chiave per indicare che in quel posto si fanno chiavi, i calzolai usavano appendere le “forme” o un paio di scarpe vecchie, i pastai mostravano una quantità di “maccarroni” serrati da un nastro rosso, gli erboristi una fascina di erbe che per l’occasione stazionava ad asciugare, ancora oggi in qualche strada del centro storico si possono osservare questi stereotipi.

Le “artificiali” una tavola dalla dimensione uniforme che avevano dipinto una scena che ricordava il tipo di attività o di articolo.

Il fruttivendolo si faceva dipingere un campo con alberi da frutto, il fornaio un campo di spighe, la levatrice con una sedia gestatoria o il barbiere cava denti con un grosso molare, cose d’altri tempi!

Si possono notare, anche per caso, ma sono gli occhi che vengono attratti da un cartello scritto a mano che fa mostra di sé dalla vetrina di un negozietto di alimentari: “panini imbottiti” con espresso il loro prezzo a caratteri giganteschi dove viene raffigurato un panino imbottito.

Ad eseguire questa originale figurazione erano i “pitturara” che si aggiravano per i mercati, e da lì che poteva esserci una forte richiesta, avevano un magazzino “malasieno” dove depositano i materiali per il loro lavoro, il laboratorio era ambulante di volta in volta si fermavano davanti al negozio, chinandosi su una cassetta dal margine molto basso che utilizzava come tavolino da dove aveva estratto del cartone bianco, forbici e fogli leggeri di carta lucida di diversi colori.

Disteso sopra quella un cartone bianco, con le forbici si ritagliava i vari fogli colorati e si ricavavano le lettere, quasi sempre per la E, la M, la O si piegava in due la carta in modo da ottenere con un colpo solo la simmetria.

La provenienza dei caratteri da un unico alfabeto, alle varie altezze era corretta, si distribuiva con perfetta proporzione le varie cifre e lettere, quando si finiva di sistemarle si passava ad incollarle con una speciale colla ricavata da farina e acqua.

Alla fine quando tutto era inquadrato per il verso giusto ad ultimare il lavoro era il disegno di due fiori che stavano ad indicare la propria firma.


Oliva nera dolce lire 300 chilo

Il personaggio più in vista d’allora era un certo signor Maiorana che abitava in un’antica via del centro storico di Palermo, l’ultimo ad utilizzare questa tecnica antica.

In tempi moderni il figlio di quest’ultimo è rimasto l’unico a continuare la vecchia tradizione grafica, sono cambiati i materiali, oggi giorno si utilizza per le insegne il “plexiglass” dove lettere e cifre vengono dipinte a mano o con una mascherina di latta o di cartone che ricalca lo stampo tamponando con il pennello la vernice dal colore desiderato.

Il vecchio laboratorio ambulante si è trasferito in un locale alla periferia della città è la concorrenza ha stravolto i connotati commerciali, ma la tradizione il signor Maiorana non l’abbandonata, nella sua bottega si riproducono i vecchi cartelloni su cartone telato e dipinti a mano libera e la sua committenza restano ancora quella di strada e dei mercati.


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