LE "BARCHE" TIPICHE PALERMITALE |
Palermo ha
dimenticato il suo mare,
tuttavia è una città di mare,
gran parte del suo confine
naturale è rappresentato dalla
costa, da nord ovest a sud est
le acque del tirreno lambiscono
il suo territorio. |
Lungo questa costa sono diverse le località o borgate
costiere dove l’attività principale è dedicata soprattutto al mare: Sferracacallo, Mondello, Vergine Maria, Arenella, Acquasanta, nei
territori limitrofi: Aspra e Porticello ad est, Isola delle Femmine e
Terrasini ad ovest.
All’interno degli attuali confini della città vi è il
suo antico porto, la "Cala" che si insedia nel suo ventre
terriero con i vecchi quartieri Santa Lucia, San Pietro, Sant’Erasmo e
la Bandita, oggi del tutto dimenticati.
Esso pullulava di minuscole imbarcazioni che
giornalmente uscivano, chi per pescare, chi per trasportare merci o
sabbia sottratta con operosa fatica proprio dal mare, quest’ultima
attività continuò fino agli anni sessanta.
E queste imbarcazioni a remi avevano una loro
caratteristica specifica conformemente all’uso che se ne utilizzava per
il tipo di pesca o trasporto da fare, a costruirle era prerogativa dei
"mastri d’ascia" che a Palermo i pescatori chiamavano
"i mastri consaioli" o i "conza varchi", erano più artisti
che falegnami, erano loro che impostavano la barca, dallo scheletro,
allo scafo definito.
Essi si avvalevano di un’antica esperienza tramandata
da padre in figlio per generazioni, per realizzare, a mano con l'aiuto
di un particolare strumento detto appunto "ascia".
Le barche più costruite erano quelle utilizzate per
la pesca sottocosta ed erano costituite dalla classica "lancitedda"
(lancia) e "dall’uzzarieddu" (gozzo), chiamato in dialetto
palermitano "vuzzarieddu", molto più diffuso della
lancitedda, aveva delle caratteristiche particolari: una lunghezza di
sei metri circa e una caratteristica principale, la prua molto più alta
della poppa, garantiva una buona manovrabilità e una buona velocità,
tanto da essere sopportato per varie attività di pesca, principalmente
veniva impiegato per la pesca costiera.
Un’imbarcazione palermitana specifica era il
tradizionale "schifazzù", barcone tuttofare per il
trasporto di cose e persone; era usato soprattutto per il trasporto
della sabbia, dei conci di tufo, del pesce, specialmente tonno, tutti
impieghi legati alle tradizionali attività del territorio palermitano.
Alla tradizione propriamente palermitana appartiene
la "Capaciota" barche ampie e leggere, solide ed eleganti,
adatte alle migrazioni lontane, così chiamate dagli isolani dal nome del
borgo di Capaci, che allora comprendeva anche Isola delle Femmine,
questa imbarcazione era adatta per la pesca "a tratta" delle sardine e
acciughe difatti i pescatori palermitani la chiamano "sardara"
per il tipo di rete utilizzata per la pesca riguardante le sarde.
La "sardara", questa imbarcazione singolare
palermitana, aveva la lunghezza di circa dieci metri con prora svasata
leggermente in fuori e con la poppa a rientrare e relativo prolungamento
di ruota, più di un metro, che era sagomato a coda di sirena e
denominato "acidduzzu", la motrice avveniva con quattro remi e una vela
latina.
La "alalungara": tipica barca per la
pesca dell'alalunga, un pesce non raro nelle coste palermitane, ma con
caratteristiche simili alla sardara.
Le "capaciote" palermitane, venivano di solito costruite a Mondello
Paese, a poca distanza da Palermo, presso il cantiere della famiglia
Cancelliere, alle spalle dell’antica Tonnara, in via Mondello.
Per la sua costruzione si utilizzavano le abituali
essenze legnose del pino calabro, abete, gelso e leccio, la sua
larghezza era un terzo della lunghezza e le parti vitali, chiglia,
ordinate, dritto di prora, dritto di poppa e braccioli erano di quercia
mentre il fasciame di larice e pino, le sovrastrutture erano realizzate
in pino, l’albero soprannominato ordinariamente "l’antinna" (antenna che
serviva per armare una vela latina) in pitch pine ad olio di lino e i
remi in faggio.
Carmelo Cancelliere era in grado di
realizzare una "sardara" di trenta palmi, interamente a mano, adoperando
soltanto martello, scalpello e sega.
Per costruire una lancia, cioè una barca con fianchi
larghi, impiegava circa un mese e mezzo, a lavoro ultimato, non solo
costava quanto una di diverso materiale, ma avrebbe utilizzato i pochi
arnesi del mestiere come: ù chianozzu (pialla), scarpieddù (scalpello),
tinaglia (tenaglia), martieddù (martello), raspa, raspino, lima,
spinnarola.
Per il tipo di pesca maggiormente praticata si è
sempre usato lo strascico, questa era eseguita dalle "paranze"; prima
dell’affermarsi dei motori diesel sulle barche, qui erano costruite
paranze di legno lunghe 12-14 metri, armate con la vela latina
(triangolare) e fiocco, e più volte lavoravano in coppia.
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