Sant' Oliva è stata una delle quattro sante protettrici
principali di Palermo prima che fossero soppiantate dalla
“Santuzza Rosalia” nel 1624.
Rappresentata da una scultura
in marmo scolpita da Nunzio La Mattina nel 1621, da questo palazzo dove è
addossato il cantone ed esattamente Palazzo Avito dove esisteva al suo
interno una cappella a lei dedicata e da dove proviene un raro busto
reliquiario del XV secolo, attualmente conservato al museo Diocesano di
Palermo, un raffinato capolavoro ligneo intagliato policromo e con decori
dorati, con al centro la collocazione per la miracolosa reliquia, che
sembra assurdo che c’è ne siano in quanto i resti mortali non ne sono
stati mai trovati.
La Santa effigiata con viso
giovanile e capelli relegati dietro la nuca a il braccio sinistro alzato e
la mano chiusa come se tenesse un ramoscello d’ulivo, nell’altra stringe
un libro sicuramente la “Bibbia”, un altro busto reliquiario in argento
dove si può vedere l’effige di Sant’Oliva giovanetta eseguito nel 1634 da
Giovanni Giacomo Cerasolo ed è conservato nella chiesa a Lei dedicata cioè
a San Francesco di Paola a Palermo.
Nata
da una famiglia di nobile discendenza all’età di tredici anni durante la
dominazione musulmana in Sicilia nel 906 per le sue virtù teologali fu
perseguita e, il Cadì d’allora, pervenuto dall’Africa, non assoggettandosi
alla sua religione la fece trasferire a Tunisi dove fu esiliata, là compì
il miracolo di ridare la vista a due ciechi.
Relegata dagli infedeli in un luogo deserto, aspettando che morisse di
fame e di sete, o che si appressasse ad essere divorata dagli animali
selvaggi, fu miracolosamente tenuta in vita protetta da quest’ultimi che
nei suoi confronti divennero mansueti e sopravvisse a tutte le privazioni.
Rinvenuta da alcuni cacciatori riuscì con la sua costanza a convertirli
alla fede cristiana, fu denunciata al signore di Tunisi, che la fece
imprigionare, cercando di persuaderla alla conversione.
Fustigata, subì la scarnificazione sull’eculeo, un marchingegno simile ad
un cavalletto, introdotta in una caldaia d’olio bollente ne rimase viva,
nulla poté far cambiare idea ad Oliva da tutti i tormenti ne usci sempre
salva per la sua determinata fede.
Il Cadì vedendo la sua indeformabilità, cerco in tutti i modi di
persuaderla, ma alla fine subì il Martirio a Tunisi per decapitazione il
10 giugno.
La data del suo martirio rimane dubbiosa alcuni agiografi la fanno
risalire verso la fine del quarto secolo con l’invasione vandalica in
Sicilia, ma gli avvenimenti storici non concordano con i fatti narrati
anche se il racconto riportato suscita perplessità, sia per la data di
nascita, sia per la sua reale esistenza, addirittura le più antiche fonti
eortologiche non ne fanno menzione.
Ci piace concordare con il periodo musulmano, anche perché si ha notizia
che la moschea più grande esistente a Tunisi e intitolata proprio alla
Santa che in arabo viene chiamata Zaytùna di cui i musulmani sono molto
devoti.
Più tardi il suo corpo, fu rapito da alcuni cristiani convertiti dalla
religione musulmana e trasferito a Palermo dove venne sepolto in una zona
di campagna adibita ad utilizzazione cimiteriale, fuori le mura della
città.
Nel
fra tempo il suo culto in periodo normanno si divulgò e il suo nome
apparve per la prima volta nel breviario gallo-siculo.
La Santa, canonizzata sicuramente pochi anni dopo la sua morte per la
prima volta viene effigiata nella conosciuta tavola dipinta dalla scuola
siculo-bizantina del XIII secolo, proveniente dal monastero della
Martorana e, oggi custodita al museo Diocesano di Palermo, nel quale
privilegia la figura di Sant’Oliva su altre tre Sante (S.Elia, S.Venera e
Rosalia) incorniciato in una cornice di legno intarsiata da formelle
d’avorio.
Nel luogo della sua
tumulazione in seguito venne costruita una chiesetta in suo onore di cui
non si conosce l’anno di costruzione, la più antica notizia di questa
esistenza si fa risalire al 1310.
Luogo che d’allora è stato sempre identificato dalla devozione popolare
con l’antico piano di Sant’Oliva ricadente fuori Porta Carini che dalla
omonima piazza si estendeva fino all’area del Politeama e che fino al 1778
fu adibito come spiazzo per tornei.
Nel 1485 la chiesetta dedicata a Oliva, con il permesso del Senato
palermitano venne affidata alla costituente maestranza dei “custureri”,
cioè i sartori, che disposero ad ingrandirla e ripararla, Oliva ne divenne
la loro patrona come riferisce il Mongitore (notizia attinta da altri
cronisti), ed ogni anno il 10 giugno celebravano la sua festa.
I “capitoli” di detta
maestranza furono approvati il 4 gennaio 1485 e successivamente confermati
il 27 maggio 1505.
Nel 1518 la chiesetta con
tutto il terreno a lei adiacente venne ceduto all’Ordine dei Padri Minimi
di San Francesco di Paola affinché costruissero il loro convento e chiesa
che successivamente gli venne intitolata, con l’impegno di adibire una
cappella del nuovo tempio alla Santa, affinché la maestranza continuasse
ad esercitare le loro funzioni e la solennità processionale.
Venne assegnata a loro la terza cappella dove si riteneva fossero
seppelliti i resti mortali della Santa, nonostante ogni ricerca portasse
sempre ad un esito negativo, all’interno di un profondo pozzo che è vicino
all’altare ed immetteva in una vasta rete di cavità e gallerie ed, emanava
una fresca e purissima acqua.
Acqua
che i palermitani con i loro pellegrinaggi continuarono a bere perché era
ritenuta miracolosa per la cura di diverse malattie tra cui la malaria.
Il Mongitore di questo pozzo ci racconta una storiella in cui due frati
vollero scendere per cercare il corpo di Sant’Oliva, ma senza fare altro
e, grazie ad altri monaci che li aiutarono, ne uscirono fuori spaventati e
confusi e malamente vivi per il terrore.
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