Anticamente i
festeggiamenti per il carnevale avevano inizio dopo l’Epifania secondo un
vecchio detto che recita: "Doppu lì tri Rè,
tutti olè" [dopo
l'epifania (i tre Re Magi) era già carnevale.]!
Gli studiosi fanno
risalire questa festa ai Saturnali latini, celebrazioni dedicate al dio
Saturno nella Roma imperiale, proibita in altri momenti dell’anno.
Per una
settimana tutti, compresi gli schiavi, si sfrenavano in danze, banchetti e
giochi d’azzardo.
Per l’occasione il
volto veniva ricoperto da una maschera di creta e veniva indossata una veste
che impediva di riconoscere il nobile dal plebeo; perfino l’imperatore
poteva, così camuffato, partecipare alla festa.
La maschera come
simbolo di libertà dalle convenzioni: uomini che si travestono da donna e
viceversa, bambini camuffati da adulti. L’importante è ingannare chi guarda.
L’odierno mascherarsi ci
riporta alle feste pagane che il Cristianesimo, mettendo ordine, cercò di
moderare, rendendole meno trasgressive, e per questo ai Saturnali subentrò
il più blando Carnevale.
Quest’ultimo si combina con l’approssimarsi della primavera; i greci
solennizzavano il dio Dionisio con le “Antesterie”
[nell’antica Grecia, le
feste della primavera, dei fiori e del vino. Diffusi i banchetti e le
adunanze con gli amici per vedere sfilare il corteo dedicato al dio Dionisio
(Bacco)],
portando in giro il carro dionisiaco che aveva la forma di nave [da cui:
carro-navale, carnavale?]. La cerimonia mirava alla purificazione e alla
fecondità della terra. Con finalità diverse si arriva ai carri allegorici
dei nostri periodi carnevaleschi, fabbricati in cartapesta, che
rappresentano creature di fantasia o, spesso, personaggi famosi messi
coralmente alla berlina, criticati aspramente e pubblicamente derisi.
Preceduto da una fase religiosa penitenziale e purificatoria, il carnevale
si ricollega al latino “carnem levare”, divieto di mangiare carne ad
iniziare dal primo giorno di quaresima. Tale proibizione veniva però
ampiamente “superata” nei cosiddetti giorni grassi, dal giovedì al martedì
che precede il mercoledì delle “Ceneri”.
Per cacciare i mali
dell’anno trascorso, i latini inventarono “Mamurio” [già dal IV° secolo a.C. un uomo vestito con pelle di capra e denominato Mamurio
veniva spinto a camminare e battuto con dei bastoni],
un capro espiatorio da bruciare, una fantomatica figura, vestita da pelli di
capra, condotta in sfilata e sbeffeggiato e bastonato tra il divertimento
degli astanti.
Dal Mamurio si
arriva alla più recente figura carnevalesca del “Nannu”
[letterale:
nonno; in questo caso inteso come figura di vecchio, saggio quanto basta, giunto al termine della propria esistenza. In alcuni casi
va a rappresentare il vecchio anno appena trascorso] che, a differenza del suo antenato, veniva sì sbeffeggiato, ma alla fine subiva
un “regolare” processo, con gli obbligatori passaggi: condanna,
testamento, morte e funerale di questo fantoccio antropomorfo identificato
con il carnevale stesso.
Ordinariamente lo si
rappresenta come un vecchio bamboccio di cenci, goffo ed allegro, vestito da
capo a piedi con berretto, colletto e cravatta, soprabito, panciotto,
brache, scarpe, riempito di paglia. Imbottitura adeguata per il falò finale.
La maschera, nel suo
momento vivente, vestito di tutto punto e spesso accompagnato dal
personaggio femminile della “nanna”, presentata come moglie, dispensava a
tutti saluti e baci, attardandosi a fare testamento e, nel dettare le sue
ultime volontà, con battute pungenti, rime salate, frasi dette e non dette,
non risparmiava nessuno; lasciava qualcosa a tutti “a
sicunnu lu gradu e li persuni” [a
seconda del grado (ceto sociale) e delle persone (uomo, donna, persona nota,
ecc.)] ed infine, dopo una lunga tiritera,
decideva di cessare di vivere.
Del
carnevale a Palermo si hanno notizie a partire dal seicento. Consisteva in recite di
piazza con maschere locali, che narravano di fatti realmente accaduti e
iniziava ufficialmente con la “trasuta
d’u’ nannu e d’a nanna” [l’uscita
ufficiale dei fantocci raffiguranti il nonno e la nonna]. Le due maschere sfilavano su di un cocchio
per le vie cittadine facendo inchini a destra e a manca, lanciando confetti,
mentre dai balconi gremiti di persone piovevano “pittiddi” e stelle filanti.
Le celebrazioni settecentesche assunsero fasti inusitati. Vi partecipava sia
la classe nobile sia la corte pretoriana, sia il popolo. Oltre che nelle
strade esse si svolgevano all’interno di palazzi nobiliari e nei circoli.
Particolare
animazione contrassegnava il Cassero e la strada Nuova (odierni Corso V. Emanuele e Via Maqueda). Per le vie più importanti della città si
svolgevano le cosiddette “carrozzate”, sfilate di carrozze padronali su cui
i nobili si mettevano in mostra.
D’anno in anno i festeggiamenti, ai quali si intensificò la partecipazione
del ceto nobiliare , divennero sempre più fastosi, per culminare nel celebre
carnevale del 1802, a cui partecipò lo stesso Ferdinando di Borbone.
il carnevale a Palermo -
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