La
realizzazione si mette in pratica per rievocare il leggendario arrivo
del quadro della Madonna, la narrazione popolare dice che
rintracciato presso la riva del mare nei pressi del fiume Milicia, è
posto sopra un barroccio, fu trainato da una pariglia di buoi, e giunto
in prossimità dell’attuale santuario vi si interruppe per stazionare.
Profanazione avvenuta per opera di un’incursione di
pirati saraceni che sfregiarono il quadro nella notte tra il 14 e il 15
luglio del 1636, abbandonandolo al suo destino.
Dice il Pitrè, nelle "Feste Patronali in Sicilia", in
merito al "carro" di Altavilla, che "i milicioti guardano a Palermo come
tipo da imitare e, vogliono gareggiare con il carro di Santa Rosalia, ma
si limitano ad imitarlo alla meglio.
Essi ne fanno uno ridotto, appariscente per drappi,
vago per colori, e lo ripetono ogni anno a un modo, con la conca alla
base, la colonna in alto e la statua della fama in cima, esso è trainato
da otto pariglia di buoi che tirano la mole".
Ancora oggi questa rispettabile tradizione continua e
da oltre quattro secoli, i milicioti affidano alla Madonna, il suo
trionfo intermediando con la realizzazione del carro, questo dalla metà
dell’ottocento ha avuto la sua maggiore risonanza.
Questa macchina di forma essenziale si compone di due
elementi principali, lo scafo e il cereo, quest’ultimo richiama le
vecchie tipologie a "candelone" e, fino a qualche anno fa la sua altezza
raggiungeva i sedici metri.
Questi modelli di carri venivano realizzati nel
secolo ottocentesco e, si manifestarono a Palermo nel periodo del
festino in onore a Santa Rosalia.
L’attuale carro della Milicia divenne quasi
concorrenziale con quelli del festino, questo piccolo paese con questa
Madonna così importante che fa un carro come viene fatto a Palermo.
Fondamentalmente costruito con le umili travi di
legno, nei secoli si è mantenuto sia nella forma che nella
caratteristica essenza di semplice carro trionfale.
Anni fa ci fu un tentativo di costituire il carro con
elementi nuovi affinché si stabilisse una maggiore stabilità allo scafo
e si arricchisse la struttura con delle architetture barocche.
Ma per non perdere la tradizione dove concorrono
alcune maestranze locali per la struttura, addirittura alcune famiglie
di carpentieri come gli Abbate e gli Abbinanti, e per "l’apparecchiatura
si è deciso di mantenere queste tradizionali consuetudini di costume per
non contraddire l’antica tipologia che da alcuni secoli contraddistingue
i carri siciliani.
Esso nel corso dei secoli ha subito alcune variazioni
per adattarlo alle necessità del percosso, all’origine il carro
possedeva una grandezza più piccola e la forma dello scafo era
rappresentata da una barca con una conformazione di nave, ciò richiamava
il ricordo dei vascelli dei pirati che avevano asserragliato il paese e
profanato la sacra immagine.
In seguito, le dimensioni del carro cambiarono e la
forma assunse quella di uno scafo e l’altezza quella di sempre, cioè
intorno ai sedici metri, per l’espansione dei cavi e delle lampade della
pubblica illuminazione, l’altezza fu abbassata a dodici metri intorno al
1925, con il loro ammodernamento l’altezza è ritornata a quella di
prima.
Fu arricchito dal punto di vista architettonico alla
magnificenza della devozione alla "Vergine" dettata da qualche
architetto di fama.
Per la sua costruzione, appositi artigiani locali, da
sempre si sono presi la briga di "apparecchiarlo", tramandandosi
oralmente quelle nobili gesta che servono a comporre la struttura.
Difatti la mancanza di documenti per l’evoluzione
strutturale non ha permesso di conoscere il suo modello nei vari secoli,
né tanto meno le fonti storiche non ci consentono di conoscere l’esatto
anno in cui venne costruito il primo carro.
La sua apparizione la si deve verso la fine del
seicento, riferendosi alla leggenda, in quanto l’architetto senatoriale
palermitano Paolo Amato in un documento notarile, consiglio agli
Altavillesi di ricordare l’episodio dell’assalto dei pirati saraceni
manifestando la loro attenzione con la costruzione di un carro
trionfale.
In alcune minute notarili del 1700 conservate
nell’archivio di stato di Termini Imerese, riportano notizie sul carro
trionfale e il suo percosso che è rimasto immutato fino ai nostri
giorni, per la precisione fino agli anni novanta dello scorso secolo.
Sempre del 1782 esistevano presso l’archivio di stato
di Palermo il bilancio di spesa relativo alla costruzione del carro in
quel periodo.
Da quando gli artigiani si sono invecchiati, la
realizzazione della struttura è passata ad una ditta di Altavilla
Milicia : La nuova edilizia di Incandela Pietro che da diciassette anni,
puntualmente ogni anno si ripete nella trazionale messa in opera.
La concretizzazione del carro trionfale è divisa in
momenti particolari: la prima riguarda la costruzione della
configurazione strutturale, la seconda è riferita all’apparecchiatura
del complesso di elementi costituiti.
Lo si comincia giorni prima dell’inizio della festa,
che ha avvio il 6 settembre, e disposto tutto il materiale, che è
conservato in alcuni magazzini appartenenti al santuario, questo momento
è considerato un rituale particolare che viene annunciato con il suono
delle campane del santuario che annuncia "la nisciuta di li lignami di u
carru".
Lo si sistema nell’apposito luogo riservato che è
impiantato lungo il belvedere, lo si introduce ad assembrarlo preparando
la base per il traino, in altre parole: il telaio.
Il telaio interamente costituito da lunghi assi di
legno contiene la parte motoria del complesso di elementi che
costituisce l’organismo della trazione del carro: le due ruote raggiate
anteriori e posteriori di differenti grandezze che contengono un sistema
di frenaggio gommato, che comandato da una leva, assicura la
tranquillità del bloccaggio.
Quelle anteriori, più piccole, sono comandate da un
asse mobile dove sussiste il timone principale, nelle quali vengono
attaccati i buoi per il trascinamento, è fissata una semiruota di legno,
che i "fabbricanti" chiamano "roccheddu" che applicandosi ad un anello,
detto "carrubba" permette di veicolare l’asse del timone.
Le ruote posteriori, restano con l’asse stabile, in
esso si collocano due travi che sostengono un asse centrale che collega
il "roccheddu" con l’asse che porta le due ruote più grandi di
dimensioni.
Completano la struttura dell’intelaiatura alcune
travi che chiudono il perimetro che a sua volta insistono gli elementi
di sostegno della barca.
Lo scheletro della barca, composto sempre da travi di
legno, ha delle fasciature
per concepire lo scafo detti comunemente "archi o furmi", essi sono tre
numeri distanziati l’uno con l’altro, dalla parte posteriore, centrale e
anteriore, da quest’ultimo si dipartono delle travi che formano la
pseudo "prua" della barca e si raccolgono al centro nella parte
anteriore.
Tra gli "archi" vi è inserito un ingabbiato a forma
di parallelepipedo, questo ingabbiato serve a sostenere la barca e
formare la piattaforma per il calpestio.
Nel baricentro di questo parallelepipedo si eleva
centralizzata un’antenna di forma quadrangolare e, di consistenza, che
viene a formare il traliccio, asse portante dell’intero pinnacolo o
"candela".
In essa si accostano diversi pali che vengono a
formare quattro porzioni quadrangolari di diversa grandezza, da una più
larga a una più piccola che restrigendosi s’innalzano uno sull’altro
fino alla cima e, questi quadrangoli sono chiusi in tutti i suoi lati da
degli assi a crocera, verso la cima per delimitare la sua cuspide
vengono a formare una piramide, questi nella fase di rivestimento si
chiamano "settori".
Completata e assemblata la parte strutturale, due
giorni prima della sua condivisione all’inizio dei festeggiamenti, il
"paratore" Giovanni Gennaro di Palermo, addobba il carro con stoffe e
drappi di diversi colori, dove spiccano l’azzurro celestiale della
Vergine, i colori rosso e giallo della nazione siciliana e con
differenti applicazioni, caratteristici come cartigli e festoni, angeli
e putti policromi realizzati in cartapesta e decorati a mano con
l’applicazione di carta stagnola.
I vari "settori", cioè i quattro elementi
quadrangolari che compongono il cero, vengono rivestiti da pannelli di
forma rettangolare, sagomate secondo la conformazione del settore, dove
al suo interno vengono applicati alcuni simboli religiosi, gli angoli di
ogni settore, si incorniciano con colonne rotonde o quadrangolari muniti
di capitelli.
Le applicazioni religiose riguardano emblemi come lo
Spirito Santo, la Croce, l’Agnello di Dio, il SS. Sacramento e al
cuspide della piramide viene applicato un’immagine della Madonna.
Immancabile la "M" monogramma della Vergine Maria a
testimonianza dell’ex voto dedicato proprio alla Madonna Lauretana.
Il giorno sei di settembre nel pomeriggio di ogni
anno il carro si muove come in una processione, è in questo giorno che
comunemente viene eseguito il suo collaudo, tra gli applausi della gente
e dei numerosi fedeli, che sono attratti dalla curiosità che questa
"macchina" accende nei cuori degli altavillesi o milicioti.
Il carro per muoversi utilizza il trascinamento
prodotto da coppie di buoi che vengono relegate al "timone" del carro,
il primo paio vengono legati ad esso tramite un anello denominato "carrubba",
i successivi vanno annodati, per mezzo di una corda, a due grossi
ramponi.
Le paia di buoi di solito sono di numero cinque, in
passato questo gruppo era sempre diverso, una volta quattro, otto o
dieci, secondo la possibilità di trovare energici vitelli.
A
questa trazione partecipano in forma rappresentativa numerosi bambini
che gareggiano per contendersi un posto davanti al carro con l’ausilio
di una cima di corda per "tirare" e, questa azione permette di far
muovere i buoi, è una lieta fatica che l’introduce alla tradizionale
festa seguendo l’antico esempio dei padri che se lo sono trasmessi, una
continuità che si inserisce in una cultura popolare di esprimere la
propria fede.
E’ consuetudine il giorno dell’avvio che i Vigili del
fuoco offrano una corona di fiori all’immagine della Madonna collocata
in cima al "candelone" del carro.
A dare l’avvio a questa particolare processione è il
suono di un campanello (a dare questa indicazione è comandato un
aderente della confraternita della Madonna della Milicia) che avverte il
responsabile della frenatura di azionare la leva per sbloccare le ruote
posteriori, e acconsentire all’addetto alla guida ed ai "vaccari" di
instradare i buoi per iniziare il cammino.
Il carro attorniato da una marea di gente e
accompagnato dalle note festanti delle bande musicali che si dispongono
sopra e dietro il pseudo vascello, inizia il suo cammino in direzione
della via Roma, il lento procedere permette di effettuare piccole tappe,
fermandosi come tradizione ad ogni "cantone o cantunera".
Questo
primo "viaggio" del carro, che si svolge il sei settembre, è definito
"l’acchianata" e le strade che percorreva erano la via Roma e la via
Cesare Battisti, questo si potè effettuare fino al 1982, dopo
l’ampliamento del paese, oggi si giunge all’incrocio con la via Loreto
dove sosterà acclamato dagli astanti per avere superato le varie
difficoltà del percosso, un viva dedicato alla Madonna della Milicia,
congeda i fedeli stanchi e contenti per l’appagata riuscita.
Il giorno successivo, prosegue "l’acchianata rù carru",
poiché il paese si è ingrandito, il percosso del carro continua per la
seconda tappa verso la parte più alta di via Loreto, l’estensione nuova
del centro abitato.
La
partecipazione dei devoti e dei forestieri si fa più intensa, nel
pomeriggio fervono i preparativi per la partenza, si ripete ancora una
volta il rituale per il trasporto del carro.
Questo è il tratto più difficoltoso per via della
salita, alacremente tra le note musicali incoraggianti, i conduttori
superano le problematicità che presenta il percosso, ogni balcone e ogni
finestra sono stracolmi di persone sporgenti a rasentare con le mani il
carro.
Le soste si fanno più prolungate per mettere ai buoi
di riposarsi, prima di affrontare gli ultimi metri più impegnativi, alla
fine il carro si ferma tra il tripudio generale per far sosta a piazza
S. Aldisio.
L’otto
settembre, giornata culminante della festa, le migliaia di pellegrini e
forestieri affollano le strade devozionali del paese sia per assistere
alla processione della Madonna della Milicia e alla sfilata del carro.
Concretatasi in tarda serata la processione, intorno
al carro si completano gli ultimi preparativi per la partenza.
L’addetto al campanello, dopo aver controllato ogni
cosa, da il segnale d’inizio per eseguire l’inevitabile "scinnuta".
Nei tempi passati, questa partiva dalla parte bassa
di via Loreto e si concludeva dopo aver attraversato la via Vittorio
Veneto da dove era partita il giorno sei settembre cioè davanti al
belvedere.
I molti devoti, trattenutosi fino a tarda notte,
pregano in segno di ringraziamento, i responsabili della guida esausti
per gli sforzi sostenuti per questa discesa, si associano al placare
della gente, le ultime note delle bande musicali si diffondono
nell’aria, mentre le grida della folla in tripudio grida "viva à Maruonna rà milicia", la sfilata del carro ha concluso il suo lungo
percosso.
Il carro trionfale per i Milicioti da quando venne
originato ha sempre avuto una simbologia "metaforica".
Il barroccio nasce come segno di un’unità del popolo
e, il carro trionfale una messinscena, un fatto teatrale che raccoglie
il popolo e lo fa più unito, il carro nasce come reazione al mondo
islamico, la forza del mondo cattolico con questa scenografia vuole
dimostrare la sua forza come particolare affermazione della propria
religione.