Giorni tradizionalmente di false, intrighi,
travestimenti e burle, insomma un periodo di spensieratezza dove tutto è
consentito, che non da spazio ai musoni, perché è il tempo per scherzare e
chi non ci sta secondo i proverbi, merita di essere paragonato addirittura
ad un maiale.
A questo tipo di manifestazioni non può
mancare la parte gastronomica, la carne di maiale e le sue trasformazioni
diventano la regina della gola.
La carne "capoliata", in pratica
tagliuzzata e cucinata in salsa di pomodoro con l'aggiunta di ricotta,
sopra a delle tagliatelle caserecce si prepara un ottimo primo come le
"lasagne cacate".
Il piatto tradizionale è precisamente la
salsiccia (sasizza), cucinata in mille modi, ma la sua fine è
arrostita alla brace e annaffiata da un buon vinello.
A conclusione per magnificare il tutto, il
dolce per eminenza è il cannolo, al plurale "cannola",
il suo nome viene da canna, (rubinetto).
Proviene dal nome volgare (latino)
dell'arbusto "canna" (Arando donax) con fusto cilindrico vuoto e nodoso,
anticamente usata per vari usi ordinari.
Uno scherzo sicuramente da preti,
nato in un dimenticato monastero e successivamente propagato dalla
pasticceria palermitana, un motteggio carnevalesco del tempo faceva uscire
da un rubinetto (cannolo in siciliano, il termine molto antico e
riscontrato in documenti che attestano il significato d'internodo della
canna che serviva da cannella per abbeveratoi e fontane) invece
dell'acqua, crema di ricotta.
Nel palermitano, dove il dolce è nato, sono
notissimi i "cannolicchi", dalle dimensioni di appena un
dito.
La "canna" con la sua forma cilindrica e
dal giusto diametro un tempo si usava per dare foggia alla cialda di
questa delizia. Il particolare sta nel rivestimento, la "scorcia",
la cialda è preparata con la farina nel cui impasto va aggiunto del vino
marsala, l'uovo, lo zucchero e un po' di polvere di cacao per colorare
l'impastatura.
Dopo aver fatto riposare l'omogeneo
composto per un'ora viene spianato in una superficie lineare,
successivamente si ricavano dei quadrati; oggi l'industria che ha preso il
suo spazio ha ricavato delle forme metalliche trapezoidali per ricavare la
sagoma della buccia, diagonalmente vengono avvolte intorno alla "canna" o
ad un cilindretto di legno o metallico in acciaio, anticamente erano di
latta, le estremità bisogna chiuderle pressandole.
La fase consecutiva comporta la frittura in
una padella in cui è stato sciolto della sugna "a saimi", un
grasso animale ricavato dal maiale, alcuni usano l'olio d'oliva
abbondante. Appena le scorze si sono dorate vengono estratte e fatte
asciugare e freddare, prima di staccarle dai tubi con molta cura.
La ricotta di pecora riveste grande
importanza perché è l'elemento che va a riempire questo scaramantico
cilindro, mescolata allo zucchero crea una crema soffice cui si aggiungono
dadini di canditi e scaglie di cioccolato, completano
l'opera del pasticciere: la scorzetta d'arancia candita o la "cirasa"
o il tondino d'arancia all'estremità e, per finire una spolverata di
zucchero a velo.
Il cilindro spesso non è altro che il
simbolo della forma fallica, l'adozione emblematica di questa parte virile
nasce dalla concezione mistica della forza rigeneratrice e della fecondità
nonché dall'averle attribuito (vedasi i falli pompeiani) un valore
apotropaico, ossia mezzo per allontanare il "malocchio".
Nulla ci vieta quindi di pensare che il
nostro cannolo ne sia un'espressione, per giunta dolce carnevalesco e
definito scettro del re. Un sacerdote palermitano, dedito a poesie, nel
1635 esaltava in un'ottava la magnificenza del cannolo con le metafore "scettru d'ogni re e virga di Moisè".
A questo prelibato dolce sono
particolarmente cari gli emigrati perché legano fortemente la terra
d'origine e ogni anno, a Piana degli Albanesi, è dedicata una sagra
che si svolge nel periodo di carnevale, durante la quale vengono offerti
dei "cannola" caratteristici per le loro generose dimensioni difficilmente
riscontrabili in altre zone della Sicilia.
Il cannolo da Guinness dei primati è di un pasticciere di Piana