Nei tempi avvenire, al popolino ci pensarono i primi gelatai ambulanti,
che giravano i quartieri con il loro specifico carrettino dei gelati,
issato sulle ruote di un triciclo e decorato con figure scolpite in legno
e dipinte, alla maniera delle giostre, anche perché nel fra tempo era
stato inventato il “cono” da passeggio che si poteva leccare come una
lecca-lecca.
Il cono di croccante pasta biscottata fu una scoperta casuale nel 1904, un
gelataio trovandosi in una esposizione universale, rimase senza
contenitori per offrire il suo gelato, pensò di utilizzare un foglio di
carta piegato a forma conica, procedendo successivamente a realizzarli con
la cialda per poterlo sostenere.
La cialda già esistente dal 1400 è il risultato di un’arte che praticavano
i “cialdonai”che confezionavano impasti a base di acqua, farina, zucchero
e uova.
Trasportava al centro incassato il pozzetto ricoperto da una campana
artisticamente lavorata che conteneva il gelato in diversi gusti.
Gli avventori più assidui erano i bambini che con i pochi spiccioli
questuati ai genitori si permettevano di comprare “u cannistrinu”, come
veniva chiamato un piccolo recipiente in cialda che aveva la forma di
paniere, oggi diremmo la coppetta di cartone pressato, per avere più
gelato si ricorreva alla “scialotta”, specie di biscotto imbottito
composto di due cialde il cui nucleo era costituito da gelato, che “u
gelataru” preparava utilizzando come strumento un’insolita macchinetta di
metallo il quale gli consentiva di tirare fuori il biscotto già composto,
successivamente nacque il “camillino” industriale.
“U gelataru” arrivava e annunciava la sua presenza con degli squilli di
una strana trombetta o gli strilli di un fischietto, al solito orario
puntualmente, e da una rastrelliera girevole tirava fuori un cono di
cialda che offriva al primo avventore che di corsa si presentava a lui.
Le “briosce” era qualcosa di lusso, non tutti si potevano permettere di
comprarla, nel carrettino rimanevano per giorni, chiuse in un cilindro
metallico ad aspettare i più intransigenti dal punto di vista economico.
Completamente scomparsi, per far posto ad un mezzo meccanicamente più
moderno, il “lambrettino” rivestito in acciaio con tanti pozzetti chiusi
da un coperchio ermetico, un assordante motivo musicale, avverte il suo
avvento, offrendo gli stessi prodotti delle numerose gelaterie che nello
stesso tempo si erano diffuse in città.
Tra i pretesti del palermitano è abituale la
passeggiata a Mondello,
l’occasione porta ad assaggiare un gelato, e generalmente, i bar più
affollati sono, nella piazza del paese, il “Renato bar”, artefice del
geniale gusto “Veleno”, una rivisitazione del sapore cioccolata profumato
con chiodi di garofano, e “L’Antico Chiosco”.
In ordine di tempo, “L’Antico Chiosco” ha, origini più remote, all’inizio
subito dopo la guerra, nel centro della piazza sorse una costruzione in
legno, un “chioschetto” dove due signorine, le sorelle Vizzini, aiutavano
il padre nella conduzione di un angusto buffè in cui si vendevano
principalmente gelati, oggi sostituito da un ampio esercizio dove si
consumano migliaia di coni e centinaia di altre specialità, tra cui spicca
il famoso gelato “caffè”.
Nel 1937 nasceva la gelateria Lucchese alla “Vucciria”, all’angolo della
discesa Maccarronai con Piazza San.Domenico, esclusivamente aperta nel
periodo estivo, sembrava un chioschetto ambulante che stazionava, per via
dei suoi numerosi pozzetti ricavati in un bancone d’acciaio e i
caratteristici coperchi che abilmente scopriva il gelataio, la loro
specialità era la crema-panna con la briosce.
Molti, la mattina preferivano fare colazione con uno sfilatino caldo
associandolo al gelato o alle granite di "scorzonera" che la gelateria
Di Maio si apprestava a preparare per i propri habituè, oggi la gelateria non
esiste più, ma il locale è rimasto in via Pannieri alla Vucciria,
trasformato in trattoria dove la loro specialità resta il “brodo”.
Nel periodo della “belle epoque” sorsero a Palermo diverse
sorbetterie che
successivamente si trasformarono in gelaterie, avevano un arredamento
molto schietto, le classiche mattonelle maiolicate bianche e qualche gesso
sperduto nei tetti, la macchina dove si confeziona il gelato primeggiava
sul bancone frigorifero composto da tanti pozzetti, il tutto rigorosamente
in acciaio, l’unica bevanda che si poteva prendere era l’acqua che
cortesemente ti veniva offerta dalla casa.
Continua>>