Le due attività precedentemente descritte si
fondono, probabilmente dopo la scomparsa della popolazione ebrea, in
un’unica attività, gestita dal “cacciuttaru”, il quale acquista al
macello milza, polmone e trachea, per bollirli, riducendoli con abilità a
piccoli pezzi con l’ausilio delle mani e del coltello.
Poi riverserà
tutto in quel pentolone dove saranno soffritti con lo strutto ("saimi").
La “saimi” la inventarono gli spagnoli che la chiamarono "saim"
(poi divenuta "saimi" per i palermitani), ed era creata
industrialmente nel vecchio mattatoio di Palermo ed esportata in tutti i
possedimenti spagnoli.
Per le vie del centro storico molte sono le bancarelle dove si possono gustare le rinomate "vastelle"
o focacce per dirla in italiano.
Tra le più note vi è quella della " vucciria" che da sempre occupa la stessa posizione nella Piazza
Caracciolo proprio sotto il ristorante "Shanghai "
di cui è proprietario il medesimo "Cacciuttaru’".
Nell’ottocento nacquero le famose "Focaccerie"
con tanto di tabella stile liberty, dove, seduti ai tavoli e serviti da
eleganti camerieri, si potevano gustare le "vastelle" dopo aver
risposto alla semplice domanda :” ‘a vuoli schietta o maritata?” a
seconda se la si preferiva “schietta”, cioè solo con le carni previste
oppure “maritata”, e in questo caso al ripieno veniva aggiunta la
ricotta. La domanda, dal doppio significato, lasciava imperturbabili i
clienti locali, mentre destava stupore negli avventori “forestieri”.
Chiarito l’equivoco, ambedue le focacce venivano innaffiate da buon
vinello locale.