La grande cripta dei "Cappuccini" |
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Attualmente l’ingresso è
sul lato sinistro della facciata principale della chiesa, sistemato nel
1944; ai primi gradini di accesso il visitatore avverte subito il senso di
umidità e l’odore di muffa e ai piedi della scala in penombra si scorgono
gli scheletri messi in fila, ritti, addossati alle pareti, con le mani
incrociate e con un'espressione tutta propria.
A destra si trova la prima
parte del corridoio dei frati, il più antico, socchiuso da un cancello di
legno, e racchiude le salme dei primi 40 frati; e fra di essi riposa il figlio
del re di Tunisi, Aiala.
Imboccando il corridoio degli uomini, all’altezza
con quello dei sacerdoti, all’interno di un piccolo vano, sono sistemati i
bambini. Proseguendo, i corpi mummificati, quasi identici l’uno all’altro,
s'identificano con dei cartelli che riportano il nome, cognome e data della
morte; sono vestiti con gli abiti dell’epoca dimostrando con ciò la diversa
estrazione sociale.
Quasi adirato per il trattamento subito, il viso intatto
ma annerito, Antonio Prestigiacomo, morto nel 1844 e mummificato con il
metodo dell’arsenico, sembra scrutare i visitatori.
Il corridoio delle donne è
il meno spettrale in quanto i corpi sono deposti in tavolieri orizzontali e
si possono ammirare gli stili delle vesti usate tra il ‘700 e ‘800:
abbondano abiti di seta con ricchi merletti cuffie dalle forme più
svariate.
In una cappella, detta del "Crocifisso", si trovano i
corpi di quattro fanciulle con vesti chiare, coronate da fiori metallici e
con rami di palma tra le mani per indicare che si tratta di donne non
sposate, vergini, come si legge su uno scritto a chiare lettere che cita un
versetto delle sacre scritture.
Incrociando il corridoio dei professionisti,
così chiamato per la numerosa presenza di medici, avvocati, pittori,
ufficiali e soldati, tra i quali il pittore Velasquez, gli scultori Filippo
Pennino e Lorenzo Marabitti e il chirurgo Salvatore Manzella, ci si immette
in un lungo corridoio senza nicchie alle pareti, la parte più recente, che
fino a qualche anno fa era pieno di casse chiuse al pubblico; le leggi
civili avevano proibito, nel 1837, l’esposizione dei cadaveri fino allora
praticata.
Al centro di questo corridoio
si può vedere uno dei tanti colatoi disseminati lungo le gallerie: una
piccola celletta scavata nel tufo accoglie dei lettini di pietra con la
giacitura costituita da tubi di terracotta isolati da una porta d’ardesia.
Nella cappella di Santa
Rosalia, tra due bare di cadaveri di bambine, si trova la famosa bara della
piccola Rosalia Lombardo (foto sopra), morta il 6 Dicembre 1920 a soli due anni,
trasportata ai Cappuccini per essere sepolta dopo essere stata imbalsamata
per opera del dottor Salafia, con un metodo farmacologico di cui
ancora oggi si sconosce
la composizione. Infatti a causa della immatura scomparsa del medico, l'operazione
non poté essere portata a termine.
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