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PANORMUS - LUOGHI

La grande cripta dei "Cappuccini"

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Dal 1661 al 1880 furono ammesse, oltre le salme  dei religiosi, anche quelle dei civili che ne facevano richiesta; questi venivano annotati in appositi registri di cui il primo volume è andato perduto.

I frati ammettevano gli estranei di solito dietro istituzione di legati perché si provvedesse a suffragarne le anime.

Solo nel 1837, adeguandosi alla pratica dei comuni cimiteri, appaiono i primi tariffari.

La tassa da pagare veniva calcolata in relazione al fatto che la salma doveva essere collocata in una nicchia o in una cassa dopo il processo di mummificazione; oppure se si trattava di donna, uomo o bambino, oppure che l’inumazione del cadavere avvenisse in una sepoltura nel pavimento di cui le gallerie sono costellate.

 

 

 

Per quanto riguarda il metodo usato dai frati per la conservazione dei corpi si sa poco o nulla: il più comune era quello dell’essiccamento naturale mediante la sistemazione dei cadaveri nei colatoi.

 Dopo vari mesi in cui rimanevano chiusi ermeticamente, i cadaveri erano estratti, lavati con aceto, ed esposti per qualche giorno all’aria aperta.

Quindi rivestiti e collocati nelle nicchie o nelle casse di legno. In caso di corpi di persone decedute per epidemie o per particolari malattie si usava porre i cadaveri in un bagno di arsenico e di latte di calce; quest’ultimo dava eguali risultati ma toglieva al corpo il colorito naturale.

Per assicurare staticità ai cadaveri posti nelle nicchie in posizione eretta alcuni furono avvolti in tela di sacco e imbottiti di paglia. Nel 1881 la giunta comunale di Palermo proibì l’uso di questo sistema di conservazione, ma l’essiccazione continuò per almeno altri quattro anni.

Un tempo ogni cadavere era affidato alla propria famiglia, che si dedicava alla manutenzione con spazzola, pettini, unguenti, capi nuovi di vestiario, ago e filo.

Un modo sicuramente macabro, se pur velato d’affetto, di mantenere per sempre il contatto con i propri defunti.


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