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PANORMUS - LUOGHI

I CHIOSCHI PALERMITANI

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Verso la fine dell’ottocento in memore di una valenza anglosassone nascono chioschi all’interno dei giardini pubblici come quello di villa Garibaldi a Piazza Marina o al giardino Inglese nel viale della Libertà, piccoli padiglioni che successivamente perdono la sua funzione e vengono destinati ad altro uso.


Nelle piazze sistemate a villetta con tanto d’alberatura e aiuole fiorite, con possibilità di potersi godere il verde si collocavano in un angolo, chioschi in muratura simili ad un piccolo padiglione in stile liberty come quello di Piazza Principe di Camporeale, quanto quello di piazza Alberico Gentile, entrambi oggi sono divenuti eleganti punti di riferimento per gustare un ottimo gelato, o quanto quelli scomparsi a piazza Ucciardone e di piazza Castelnuovo.

Gli altri, minori, comunemente considerati popolari, ancora oggi assolvono il loro compito come quello ubicato nella piazzetta alla fine del Corso Scinà, punto di riferimento dei sonnambuli delle calde estati palermitane, o quello di fronte alla cattedrale che incessantemente da sollazzo alle numerose comitive di turisti accaldati che visitano la vecchia città e la basilica.

Questi chioschi sono sempre addobbati come una volta, incorniciati da limoni ed arance appaiate dalle loro foglie sempreverdi; in uno spazio riservato permane il lavabo dove scorre dell’acqua gelata, nel cui fondo giacciono i limoni: il tutto attorniato da giganteschi bicchieri e dalla presenza del contenitore del bicarbonato per osteggiare l’acidità di stomaco conosciuta in palermitano come “ù sdegnu”.

In questi posti sanno ancora spremere gli agrumi, a mano, con un marchingegno di metallo, che alcuni si tramandano di generazione in generazione, la peculiarità consiste nel distribuire la pressione per evitare di raggiungere la buccia e creare della schiuma con la fuori uscita degli oli essenziali che rendono amara la spremuta.

A Piazza San Cosimo, all’angolo tra le due piazze, con quella Beati Paoli, esisteva una tavola d’acqua in muratura, molto antica gestita dalla dinastia del Sig. Giuseppe Di Pasquale, la struttura semplice in muratura rivestita di marmo si appoggiava ad uno dei pilastri della chiesa di San Cosimo e Damiano, ed utilizzava il piedritto per sostenere delle mensole per la vista delle bibite “Partanna”, al centro era posto il lavello con due rubinetti, uno per l’acqua ghiacciata, che era prodotta da una serpentina di piombo all’interno di un contenitore posto sotto la tavola all’interno della nicchia e, raffreddata dal ghiaccio a blocchi prodotto industrialmente da una ditta locale e, il secondo per sciacquare i bicchieri che venivano riposti nella ringhiera d’ottone che delimitava il perimetro della tavola.


Il Chiosco dei Beati Paoli al "Capo"

Il Di Pasquale offriva agli avventori, oltre alla semplice acqua addizionata col “zammù”, le famose “Partannine” di vetro consistente, la gassosa al limone o al caffè, bibite sciroppate addizionate con acqua potabile ed anidride carbonica (selz) estratta dal “sifuni”, una specie di bottiglia molto resistente atta a contenere acqua gassata con un tappo speciale in piombo che era predisposto da un beccuccio e una manovella, la cui fuori uscita si otteneva premendo la levetta.

La sera, “la tavola d’acqua” dopo aver servito le famiglie di boccali d'acqua ghiacciata, si serrava recintandola da una carcassa di legno.

Negli anni sessanta, l’evoluzione industriale apportò un notevole progresso, la “tavola d’acqua” fu trasformata in un piccolo chiosco in acciaio con tanto di bancone frigorifero, prodotto dalla ditta Zerilli di Palermo, che permetteva di vendere anche il gelato.

Dopo anni di oblio, la sistemazione delle due piazze a permesso al suo centro l’ubicazione di un nuovo chiosco in ghisa dalla fattura ottocentesca, dedicato al piccolo chioschetto che fu del Signor Di Pasquale, oggi gestito dal nipote Marrone che continua la tradizione dei vecchi acquavitari, rivolgendolo con un occhio ad una vecchia leggenda popolare che è nata proprio sul luogo dove è ubicato “ i Beati Paoli”.

Sulla Via Roma, nei pressi del Teatro Biondo ad angolo con la via Venezia esisteva fino a qualche tempo fa un chiosco che funzionava soprattutto per gli ospiti del teatro, durante gli intervalli, proprio di fronte a lui, adiacente alla scalinata che porta a Piazza Caracciolo (vucciria) il chioschetto, negli anni cinquanta, assorbiva alle varie esigenze degli avventori che si appropinquavano al banco “dù purparu”.

All’angolo della discesa Maccarronai, attaccato al palazzo comunale, funzionava un piccolo deschetto di legno ancora esistente propria di fronte a Lucchese il gelataio.

In periferia, parte integrante della città vecchia, oggi, a Sant’Erasmo l’antico chiosco dove dava sollievo ai vicini pescatori, è divenuto un evoluto bar con tanto di pasticceria.

A Piazza Indipendenza, dove anticamente si andava a passeggiare, negli anni cinquanta un eclettico signore dal cognome Santoro, offriva a tutti i passanti e i viaggiatori che dovevano recarsi in autobus a lavoro, la possibilità di una bevanda calda, specialmente nelle ore mattutine, accattivante il suo caffè che serviva, oggi al centro della villetta il piccolo deschetto che aveva impiantato si è trasformato in un autorevole posto di ristoro dove si possono degustare dolci di ogni genere, gelati di cui è molto rinomato, rosticceria e tante altre leccornie.

Un secondo, più antico, è posizionato all’angolo del crocicchio con la Via Cappuccini.

Al Papireto, nella piazzetta Filippine, il vecchio chiosco, ubicato al lato della piccola villetta, è diventato stagionale, offre soltanto gelato e bibite in periodo estivo.

L’altro collocato alla biforcazione tra Via Papireto e la Piazza Porta Guccia, lavora tutto l’anno, oltre a bibite d’ogni genere e al gelato, anche durante la notte si possono gustare cornetti caldi e caffè.

Il vecchio chiosco del corso dei Mille, che a cambiato impiego, in qualsiasi periodo dell’anno e in qualunque ora, ai suoi avventori dà la possibilità di gustare un bel panino con la milza.

Oggi, scomparsi quasi del tutto, anno perso la loro funzione sociale, il breve ristoro refrigerante in mezzo ad un capannello di persone era l’occasione per scambiare qualche chiacchiera e rompere con il ritmo della vita quotidiana.


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