Dedicate a diversi santi o immagini sacre, la più popolare di esse è senza
dubbio quella dell’Ecce Homo di Via Roma presso la chiesa di S.Antonio Abate.
Altri tabernacoli esistono, nel quale fanno vedere l’effige del Cristo
flagellato in diversi luoghi del vecchio centro storico eretti da privati o
istituzioni presbiterali e laicali.
C’è né uno in particolare nel rione dell’albergheria, lungo la Via Biscottari,
chiamata così perché anticamente esisteva un forno pubblico che era noto per
la produzione d’alcuni biscotti e, di conseguenza impose il nome all’angusta
via.
Questo simulacro a differenza di quello della Via Roma che si presenta con
l’iconografia dove il Cristo mostra, il suo busto con la classica cappa rossa
porpora di pregevole stoffa, incoronato con una rotella di spine d’argento
tra le sue mani, trattiene un bastone regolarmente d’argento dorato.
La gente ininterrottamente non fa mancare fiori freschi, più o meno
abbondanti come i frequenti oboli che vanno a riempire la cassetta
dell’elemosina.
Si presenta in tutta la sua statura, il mantello scolorito e sgualcito
confezionato con della stoffa comune, il suo capo porta una corona
d’originali spine e non d’argento, il suo viso scarno è ricoperto da una
barba di stoppa malconcia, le sue mani legate da un laccio ordinario tengono
un bastone di canna.
Le sembianze desolanti di questo “Ecce Homo”, rese smunte e caritatevoli, a
fatto nascere un detto popolare che riferendosi ad una persona smilza e
striminzita si suole esclamare: “Pari l’Ecce Homu di li Viscittara”.
Costui, è relegato all’interno di un’urna di vetro, collocata in una nicchia
che costituisce l’edicola sporgente nella via biscottari, antica venerazione
degli astanti e di generazione annose.
L’edicola protetta da una grata di ferro è il risultato della preesistente
chiesa, non più esistente, appartenuta ad una confraternita sotto il titolo
di Gesù e Maria dei Sacri Cuori Coronati di Spine, che fu demolita da un
bombardamento aereo del secondo conflitto mondiale, dai resti di questa, la
gente ne ricavò la nicchia che contiene il Cristo flagellato superstite.
Gli abitanti del luogo gli attribuiscono a quest’edicola votiva, un
divertente episodio che con il passare del tempo è divenuta una storiella
tradizionale.
“Una sera un tipo leggermente ubriaco, passando dinanzi al nostro
tabernacolo, decise di farle l’elemosina, vedendolo in quelle condizioni di
miseria, l’individuo non si reggeva in piedi, ondeggiando a tutti i costi non
riusciva a cogliere la fessura della cassetta dell’elemosina, la moneta cadde
a terra, quel gesto dall’ubriaco fu ritenuto come presuntuoso un rifiuto che
interpretò eslamando:”Poveru e seperbu !”.
Alla scena presenziava un ragazzino che senza ritegno, emise una superlativa
pernacchia, l’ubriaco credendo che quel suono provenisse dal simulacro,
irritato, ribatté: “poviru, superbu e…puru vastasu !”.