Anticamente festeggiare il
ferragosto era una commistione di sacro e di profano. In quel tempo,
scandito da altri ritmi, dove i viaggi e le vacanze non erano ancora uno
status symbol, la gente si riversava al mare e i bagni si concentravano nel
breve arco di tempo compreso tra il 15 luglio e la fine d’agosto.
I lidi più
rinomati erano quelli di Petrucci, di Virzì, di Fondachello o dei Bagni
Italia, dove si andava per respirare la salubre aria salsoiodica del mare.
Stabilimenti balneari tutti scomparsi, tutti situati ad est della città.
Bonificata, agli
inizi del ‘900, la spianata di Valdesi, e resa agibile la spiaggia (subito
occupata dalle cabine della società italo-belga che le gestisce ancora
oggi), sulla parte di spiaggia lasciata libera (più o meno quella di oggi),
si concentravano, negli anni ’50, i meno abbienti, che si muovevano con la
loro “motoape” stracolma d’ombrelloni, sedie, tavolini, beveraggi, con
abbondanti viveri, tra i quali, per nessun motivo, non poteva mancare la
teglia con la pasta al forno (anelletti, melanzane e salsa di pomodoro),
cucinata nella stessa mattinata al forno vicino casa.
Per i più intraprendenti c’era la villeggiatura casereccia “in un
villino” (nt’on’billinu), spesso a pochissima distanza dal mare.
Era quasi
sempre un villino polifunzionale, predisposto per accogliere famiglie
numerose, e disponeva, tra gli elementi di spicco, di una ara “fornacella”
(barbecue) che la faceva da padrona, trasformandosi in quei giorni in un
vero altare attorno al quale ruotava tutta la logica delle vacanze.
La
consuetudine di arrostire salsiccia, trinche di maiale, pesce e altre
abbondanti pietanze, ed annaffiarle con un buon vinello, dava e dà, ancora
oggi, al palermitano, un senso d’indipendenza e di opulenza. Nella città che
non si spopolava erano le feste rionali a segnare gli incontri e la vita
sociale e culturale.