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Nel
535, l'imperatore Giustiniano I di Bisanzio fece
diventare la Sicilia una provincia dell'impero
bizantino e per la seconda volta nella storia
siciliana, la lingua greca risuonava forte
attraverso l'isola. Mentre il potere dell'impero di
Bisanzio iniziava a diminuire, la Sicilia venne
conquistata progressivamente dai Saraceni
dell'Africa del nord, dalla metà del nono secolo
alla metà del decimo secolo. Durante il periodo di
governo degli emiri arabi la Sicilia poté godere di
un periodo di continua prosperità economica e di una
viva vita culturale e intellettuale. L'influenza
araba si trova in circa 300 parole siciliane di
notevole importanza, la maggior parte delle quali si
riferiscono all'agricoltura ed alle attività
relative. Ciò è comprensibile perché i saraceni
introdussero in Sicilia un sistema di irrigazione
moderno e nuove specie di piante agricole, che
rimangono tutt'oggi endemiche nell'isola.
La lingua araba nel dialetto
siciliano
Alla venuta degli Arabi - prima
metà del IX sec. -, le condizioni linguistiche della
Sicilia sono oramai definite: il latino, non più
ciceroniano ma romanzo, aveva informato di sé tutti
i dialetti siciliani, mentre il greco sopravviveva
nel lembo nord-orientale e negli istituti religiosi
di rito bizantino. La conquista araba fu lenta -
Siracusa cade nell'878, Taormina resiste fino al 902
e Rometta sino al 965 -, nondimeno interessò le
maggiori città e le campagne dell'isola 17, turbando
profondamente l'assetto socio-economico che s'era
consolidato antecedentemente. Accanto alle
espressioni linguistiche esistenti, la latina e la
greca, iniziò ad imporsi anche quella araba,
divulgatasi persino come lingua letteraria.
Fra i vocaboli arabi penetrati e
conservati nei dialetti siciliani sono in gran
numero quelli che si riferiscono all'irrigazione
degli agrumeti dei campi. Così favara d'acqua
« sorgente impetuosa e abbondante » (fawwara);
gebbia « vasca rettangolare e circolare per
il ricetto dell'acqua da usare soprattutto nei
periodi di siccità » (gabiya); zappa
d'acqua « misura d'acqua » (sabba);
naca « acqua stagnante o ritenuta » (naq);
bunaca « luogo dove si poneva il lino a
macerare » (bù[abù]naqa); saia «
canale, canaletto dove scorre l'acqua per
l'irrigazione della terra » (saqija);
catusu « tubo per conduttura » (qddùs);
dogala « striscia di terra coltivata lungo le
fiumare », « terreno esposto alle inondazioni » (daghal);
margiu « palude », « acqua stagnante » (marg);
cubba « terra ammonticchiata sulle sorgenti
di acqua » (qubba).
Con altre forme si ha invece uno
specifico riferimento ai lavori e agli attrezzi
agricoli: burgiu «quantità ammassata di
paglia, di frumento, ecc. » (burg);
galibbari « mettere a maggese (sic. maisa) la
terra » (qalaba); marzeppa « mazza per
battere il grano» (mirzaba); mazzara «
pressatoio di legno» (mi'sara)', dall'ar.
zinbil deriva tzimmili « bisaccia di ampelodesmo » (
= sic. a disu, disa, ddisà)\ zzotta «frusta»
(sawt); zzàccanu « luogo dove si
rinchiudono le bestie », « il porcile » (sakan).
L'arabo penetrò anche in altri
settori della lingua, come è dimostrato dalla
terminologia che segue: marmànicu o
smam-mànicu « strano », « sciocco » (marinara);
zizzu « elegante, ben vestito » (azi'z);
mammaluccu « scocco », « stordito » (mamluk);
musuìuccu « uomo segaligno, magro » (masluq);
giufà « uomo balordo e stupido » (djehà o djuhà);
tamarri! « villano », « contadino rozzo » (tammar =
« mercante di datteri »); arrusu, iarrusu «
pederasta » (arus = « fidanzata », « sposo »);
maumettumilia « frase di Trapani che ripete un
giuramento dei Turchi » (muhammad maih = « Maometto
buono »); cai-ramata « grande qantità » (ghamar);
musciaru « graticcio di canne per essiccare la
frutta, la mostarda di fichidindia o i pomodori » (minsàr
o mansdr); rrunkuni « angolo » (rukn); sciara
« colata lavica o terreno lavico in decomposizione,
tipico della zona etnea » (sa'ra + harrafh] )
L'influsso dell'arabo sul lessico
delle parlate dell'isola risulta abbastanza
evidente, e tuttavia la popolazione, anche quella
delle campagne e degli strati popolari, non rinunciò
alle proprie origini linguistiche né ai costumi
tradizionali. Nel suo idioma il popolo « portò
dall'arabo soltanto quegli elementi che, per essere
legati ai vari settori della vita pratica [la
coltura dei campi, in special modo degli agrumeti, e
la tecnica di costruzione degli attrezzi agricoli]
dove più si esercitava l'influenza dei dominatori,
erano venuti ad avere diritto di cittadinanza nella
sua coscienza linguistica».
Palermo, San Giovanni degli Eremiti
Alcune parole di origine araba (incluse quelle
dubbie):
• bagghiu - cortile (da bahah).
• burnia o brunìa - giarra (da burniya; ma
latino hirnea)
• capu-rrais - capo, capobanda (da raʾīs;
capo)
• cafìsu - misura per l'acqua (e,
soprattutto, per l'olio) (da qafīz, in realtà misura
per aridi)
• carrubba - frutto del carrubo (da harrub)
• cassata - una torta tipica siciliana, con
ricotta (da qashata; ma latino caseata – qualcosa
fatta di formaggio; spagnolo quesada o quesadilla)
• dammusu - soffitto (dal verbo dammūs,
"cavità, caverna")
• favara - sorgente d'acqua (da fàra rigoglio
e gorgoglio che emette l'acqua che sgorga dalla
fonte)
• gebbia - vasca di conservazione dell’acqua
utilizzata per l’irrigazione (da già-bìa)
• giuggiulena - seme di sesamo (da giulgiulan)
• jarrùsu - giovane effeminato (da arùsa,
sposa)
• limbìccu - moccio (da al-ambiq)
• maìdda - recipiente in legno usato per
impastare la farina (da màida mensa)
• mischinu - poverino, meschino (uso
letterario, arcaico o regionale) (dall'arabo miskīn,
cfr. spagn. mezquino, sardo mischinu)
• saia - canale (da sāqiya)
• sciàbaca o sciabachèju - rete da pesca (da
sabaka)
• tabbutu - bara (da tābūt)
• taliàri - guardare, osservare (da talaya´;
spagnolo atalaya, torre, altura, e atalayar,
registrare il campo da una torre o altura,
osservare, spiare, dall'arabo ispanico attaláya´)
• tannùra - cucina in muratura (da tannur,
forno)
• tùminu - tomolo (misura agraria) (da tumn)
• vaddara - ernia (da adara)
• zabbara - agave (da sabbara)
• zaffarana - zafferano (dal persiano zafarān;
spagnolo azafrán, dall'arabo ispanico azza´farán)
• zagara - fiore dell'arancio (da zahr,
fiore; spagnolo azahar, dall'arabo ispanico azzahár)
• zaccànu - recinto per le bestie (da sakan)
• zibbibbu - tipo di uva a grossi chicchi (da
zabīb, "uva passita") da cui deriva il vino
Numerosi
sono anche i toponimi arabi:
• Alcàntara deriva da al-quantar (il ponte)
• Calascibetta, Calatabiano, Calatafimi,
Caltagirone, Caltanissetta, Caltavuturo, derivano da
(cittadella, fortificazione)
• Marsala, Marzamemi da marsa (porto)
• Mongibello, Gibellina, Gibilmanna, Gibilrossa da
gebel (monte)
• Racalmuto, Regalbuto, Ragalna, Regaleali da rahl
(luogo di soggiorno, quartiere)
Nonché, forse, alcuni cognomi:
• Fragalà - "gioia di Allah"
• Vadalà, Badalà - "servo di Allah"
• Zappalà - "forte in Allah"
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