Nei secoli XV e XVI la Santa taumaturga viene rappresentata come una donna
laica, giovane e bella, sempre coronata di rose e talora di gigli, che
simbolicamente rimandano al suo nome.
La storia del suo sacro
culto è aggrovigliata, così anche quella legata alle raffigurazioni
artistiche, va distinta in due diversi momenti, prima e dopo il 1624.
Molto frequente è l’iconografia di lei in abito da pellegrina, talvolta
con in mano il bastone o anche la croce e con addosso, o ai piedi, la
ciotola, spesso compare anche una scritta “Ego Rosalia Sinibaldi
Quisquinae Amore Domini mei Jeus Christi” a testimonianza del suo amore
per Cristo.
Appare accanto alla Santa,
rare volte, un cane che si ricollega a quell’episodio che la vide profeta
nei confronti di un uomo accompagnato dal fedele amico sul monte
Pellegrino.
A celebrare la gloria della “Santuzza” in tutto il mondo cattolico, fu il
pittore Vincenzo La Barbera che per primo dipinse una tavola commissionata
dal senato palermitano nel luglio del 1624 che fu portata trionfalmente in
processione per attutire la peste, immortalò la romita al centro di una
Palermo che era racchiusa all’interno della cerchia murata cinquecentesca
con il suo porto e il monte Pellegrino a simboleggiare la sua protezione
per questa città.
Il più illustre, Van Dych
trovandosi a Palermo per un breve soggiorno, inizio a dipingere una tela
per l’oratorio del SS. Rosario, capolavoro che terminò a Genova
nell’autunno 1627 e rispedì a Palermo nel 1628, aggiungendo nella
rappresentazione l’effige della Santa imponendo la nuova iconografia, che
successivamente trasmise in altre tre tele.
Dopo il 1624, una lunga schiera d’artisti ha ritratto per devozione per la
Santa, innumerevoli opere d’arte e, in tutte sono presenti i simboli che
la caratterizzano: il teschio e la corona di rose.
Opere singolari realizzano
i vari Rubens, anche Pietro Novelli dipinse diverse tele ispirandosi ai
motivi vandickiani, che tramando ai suoi vari seguaci come: Andrea Careca,
Pietro dell’Aquila, Pietro D’Asaro.
Magistrale è la rappresentazione in posizione sdraiata a terra, del
periodo barocco, nel momento del trapasso con il braccio che regge il
capo, l’angelo che l’accompagna, fedele custode della sua devozione, il
teschio simbolo della fragilità umana, il tutto ambientato in una
situazione che si svolge all’interno di una grotta.
Iconografia che ispirò il fiorentino Gregorio Tedeschi a realizzare nel
1625 la statua posta nell’ipotetico luogo dove erano sepolte le spoglie
della Santa con la figura giacente e in estasi, con il capo sorretto dalla
mano, mentre un angelo le porge la corona di rose e di gigli.
Di Carlo D’Aprile è la
bella statua, che dal 1661 troneggia sulla facciata del
Palazzo
Municipale, Gaspare Guercio nel 1656 scolpi la scultura collocata
all’interno del sacrato della Cattedrale palermitana, qui l’immagine
cambia la statua e in posizione eretta.
Ne poteva mancare il celebre stuccatore Giacomo Serpotta che lavorò in
diverse chiese e oratori, non venendo meno a realizzare opere inerenti la
Santa.
Un posto particolare occupa la devozione popolare nell’arte povera, la
“Santuzza” nella pittura su vetro, che ha avuto una favorevole generazione
nel sette-ottocento, con il tempo, il livello artistico si è notevolmente
ottimizzato lasciando opere di pregevole valore o, negli ex voto di
diversi materiali come la latta o in tavolette di legno dove il sentimento
popolare esala il culto per la Santa.
Tra le rappresentazioni
cartacee votive, sia stampe sia incisioni, sicuramente Rosalia per i
palermitani ha una collocazione ben determinata è tradizionale l’immagine
di Santa Rosalia e il cacciatore o la classica dormiente.
I “santini”devozionali che ragguagliano la Santa a “cosa” intima,
racchiusa in oggetti personali, utili nel momento dell’occorrenza.
Anche il teatro popolare si
interessò alla Santa, durante gli spettacoli non di rado venivano
rappresentati degli episodi biblici e la vita dei santi, il medesimo
avvenimento si svolgeva nel teatro dei pupi di stile palermitano, la
storia di Santa Rosalia per l’occasione veniva messa in scena nel giorno
del “Festino” o il
quattro settembre, il museo Internazionale delle
Marionette conserva un bellissimo pupo che raffigura “Rosalia” proveniente
da teatro di Vincenzo Crisafi e risale alla metà dell’ottocento.