Il carnevale termitano
(che si svolge ogni anno a Termini Imerese) vanta una tradizione secolare,
ed è, assieme a quelli di Sciacca e di Acireare, tra i più conosciuti della
Sicilia. La storia fa risalire la presenza singolari maschere “d'u nannu
c'a nanna” come acquisite alla fine dell’ottocento.
Un tempo durava addirittura
un mese, scandito da quattro giovedì: “d'a cummari” [il
giovedì in cui si doveva invitare la comare], “d'i
parenti” [il giovedì
dedicato ai congiunti], “d'u Zuppiddu” [il
giovedì dello "zoppetto", un chiaro invito alla perversione, all’allegria
e alla spensieratezza, da parte di una delle tante personificazioni del
diavolo], “grassu”
[il termine
invitava a mangiare grasso con licenza di darsi alle grandi abbuffate].
Oggi tutta l’allegria si concentra in soli due giorni , la domenica ed il
martedì precedenti il Mercoledì delle Ceneri.
Si deve ad alcune famiglie di
provenienza napoletana (i Napuliti) che si stabilirono a Termini all’inizio
dell’ottocento, possedendo delle terre in quelle zone. Sarebbero stati loro,
all’inizio dell’ottocento, a dare vita ai primi festeggiamenti ed a
introdurre, verso la fine dell’ottocento, le due maschere carnevalesche
acquistate in Francia. Maschere che poi furono adottate da tutti i carnevale
dell’isola
Il personaggio “du nannu”,
un rubizzo ometto, bassino, allegro e dispensatore di benevolenze ai molti
nipoti, viene sacrificato in un rito di “purificazione” alla fine del quale
gli viene data morte mediante il rogo.
L’allampanata “nanna” è la
protagonista femminile, snella e graziata, simbolo di fertilità. Essa
continua a vivere, come un invito alla riflessione per il periodo di
Penitenza che sopraggiunge.
La creatività dei
“cartapestai” locali ha dato vita, nel corso degli anni, ad uno
straordinario comporsi di immagini, volumi, figure, ad un’esplosione di
colori e di forme, ad uno scenario fantasmagorico che, al di là della
dedizione e della capacità dei maestri impegnati nella preparazione dei
carri, riesce a ottenere una massiccia partecipazione della gente locale,
anch’essa impegnata a rendersi utile per la buona riuscita della festa.
Dopo la sfilata delle maschere e lo svolgere dei carri allegorici, la
cerimonia del testamento da parte “du nannu”, il momento più atteso è il
rogo di quest’ultimo che, prima di bruciare, ha lasciato un testamento
morale fatto anche di moniti alla classe politica.
Ogni
anno, per l’ultima domenica di carnevale, tutto il paese si trasforma in
palcoscenico per dare vita ad un’antica pantomima popolare tragicomica,
mimata da novanta personaggi in costume del XV secolo.
Il “mastru di
campu” è la figura fondamentale della messinscena. La storia narra, ma
la cosa non è certa, l’amore di Bernardo Cabrera per la Regina Bianca di
Navarra, e del grottesco assalto allo
Steri compiuto da questi per conquistare l’amata.
Personaggio strano, vestito
con pantalone rosso, camicia bianca con tanto di cappa e spada, molto
rassomigliante ai pupi, specialmente nei rapidi movimenti, indossa una
strana maschera rossa, arriva a cavallo e con esso inizia a fare delle
strane evoluzioni.
Il Pitrè ci rammenta che questa strana
festa era rappresentata nel passato anche a Palermo nel quartiere dell’Albergheria.
Il cavaliere si cimenta
nell’impresa della conquista dell’amata che, nel suo palazzo, per
l’occasione ricostruito il legno, partecipa con la Corte ad un
festeggiamento.
Egli è aiutato dai
cosiddetti “ingegneri” che con enormi compassi misurano la piazza in cui si
svolge la manifestazione, per decidere quale strategia adottare.
Nel
corso della farsa avvengono altre “stranezze” ma alla fine, dopo che il
mastro di campo muore per ben due volte, come nei più tipici schemi delle
fiabe di tutto il mondo, risorgerà e vincerà l’amore della regina. Un buon
finale per tutti….tranne che per il re, diretto avversario e sconfitto (ma
la storia vuole che i fatti siano andati ben diversamente…).
Per dimenticare la stressante quotidianità e
tuffarsi nei divertimenti, nelle musiche carnevalesche e nell’allegria, il
primo giorno di carnevale è il giovedì grasso, caratterizzato dall’arrivo
del “nannu” alla stazione, attorniato da vari discendenti che aspettano che
egli si pronunci per qualche lascito.
Il lunedì invece la festa si svolge
lungo il corso principale, con la partecipazione di altre ridicole maschere,
denominate “macchiette”.
Al termine, il rogo del “nannu” cattura
l’attenzione di tutti.
La domenica successiva,
ultimo giorno, si procede alla premiazione dei carri allegorici e della
migliore mascherina. Ogni anno, dalle ceneri del rogo del “nannu”, rinasce
un diavolo (figura presente anche in altre edizioni), tradizionalmente
abbigliato di rosso, per annunciare un nuovo carnevale.
"Riavulicchiu”, maschera che balla,
saltella, tintinna, fugge e ritorna, solo o a branchi, è il padrone del
carnevale corleonese. Carnevale sospeso per ragioni di ordine pubblico per
una trentina d’anni, inaspettatamente risorto, e con grande clamore, negli
anni ’90.
Il diavolo è rosso, proprio
come nelle favole, vestito di rosso e nero, con le corna, la coda, la frusta
e centinaia di sonagli (“ciancianeddi”).
La sua figura è collegata
agli ancestrali timori da sempre nutriti dai contadini per le “cattive
annate” (in cui il “diavolo” mette la coda!). La cerimonia carnevalesca
utilizza il sorriso come fonte di esorcismo, nell’attesa di consegnare
incubi e diavoli al fuoco purificatore.
Scanzonando sui propri
guai, i diavoli tornano a scorazzare per le vie del paese, con il solo scopo
di mettere allegria. Un tempo,volendo soltanto essere segno di divertimento
e sregolatezza, andavano a branchi per le strade buie, annunciandosi col
suono cupo dei corni, soffermandosi in quelle case disponibili ad offrir
loro qualcosa (qualche “cannata”
di vino, con buona probabilità!).
Nessuno
sa da dove provenga questa maschera corleonese. Ormai tramandata per secoli,
si pensa possa risalire alle radici lombarde del paese.
Con il carnevale è nato il trofeo dei
quartieri, che prevede la consegna di un premio al carro o al gruppo
mascherato più bello e pieno di fantasia.
Tre le sfilate che si svolgono tra le vie del
paese: il sabato, la domenica e il martedì, giorno in cui si conclude,
quando il rigore invernale lo consente, con un ballo in piazza davanti al
palazzo comunale.
Portato a spalla dai diavoli tintinnanti, il
nannu raggiunge il luogo dell’addio, dove riceverà l’ultimo omaggio, una
collana di salsiccia che l’accompagnerà sul rogo; così si conclude il
carnevale corleonese.