IL NATALE a Palermo |
Dicembre è il mese di grande fervore
devozionale, dai suoi primissimi giorni si susseguono le feste
religiose, come le ricorrenze di
San Nicola, dell’Immacolata, di Santa
Lucia entrambe celebrate e riverite come si usava una volta.
Il coronamento naturale è il Natale con tutto il suo carico di
tradizioni, dalle novene ai canti al presepe.
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Il Teatro Massimo nel periodo
natalizio
Avvincente,
sicuramente Natale è la più raccolta festa per i cristiani palermitani,
già all’inizio del mese di dicembre si respira un’aria tutta
particolare.
Ricordando i tempi passati questa festa cristiana è contraddistinta da
tre momenti caratteristici: liturgici, ludici e alimentari che come
sempre non devono mancare per i palermitani per onorare le sante feste.
Le strade si vestono di luci e luminarie,
si respira aria di festa, da mille e mille addobbi natalizi è costituito
il particolare arredamento del paesaggio urbano, si rivestono i negozi e
i generi alimentari all’ingresso e all’interno, qua e la nascono i
mercatini di natale, quelli di Palermo coinvolgono per l’occasione
numerosi artigiani locali e dei paesi limitrofi.
Una volta la cosa che più richiamava l’attenzione erano le botteghe di
frutta (putiara) sia fresca che secca, il tutto era scintillante, la
natura aveva fatto la sua parte, a primeggiare erano gli agrumi con i
suoi colori arancio-oro.
Questo lungo periodo anticamente aveva inizio con la novena che si
sviluppava per nove serate dal 29 novembre al 7 dicembre il primo
periodo, per proseguire successivamente dal 16 al 24 dicembre, davanti
al presepe i più anziani della famiglia riuniti recitavano delle
preghiere natalizie (novene).
Alcune
famiglie agiate ingaggiano per le novene “u ciaramiddaru” bardato con
costumi da pastore, stazionava davanti al presepe e suonava “i ninnareddi”, una nenia sempre uguale e ripetitiva, circostanza che
permetteva di rispolverare gli strumenti a fiato “pifferi e zampogne”.
Il loro suono il più delle volte colmava strade e vicoli addobbati a
festa, si fermava davanti alle cappellette e gli altarini dei Santi,
“parate” all’occasione con fronde di “mortella” e arance, arbusti di
questa pianta entravano anticamente anche nel presepe, la sera per
rischiararli si accendevano le candele, oggi le lucciole luminose.
Si concludeva con la cena sommaria
allietata continuamente dal vino, dove lo
sfincione, sorta di pane
“cunsatu” per dargli una definizione particolare, fa la sua parte come
vivanda principale, seguivano cardi e carciofi in pastella, broccoletti
(cavolfiore) sempre in pastella, non doveva assolutamente mancare dal
punto di vista tradizionale: il baccalà fritto o in umido o quantomeno
con la salsa insaporito dalle “passole” ( uva sultanina) o stoccafisso,
precedentemente mantenuto in acqua per farlo ritornare e renderlo
commestibile, lo si prepara alla “ghiotta” con salsa di pomodoro,
capperi, uva sultanina, sedano e olive nere.
Le
famiglie un po’ più adagiate, diseredavano questo cibo povero e,
preferivano mangiare pesce, scelta che solitamente era orientata sempre
nelle anguille o capitone, o le prelibate murene.
Alla fine sono i dolci che prevalgono: a “petrafennula”, dura come una
pietra, che di solito si mangia nella novena dell’Immacolata o il
buccellato (ù cuccidatu) grossa ciambella, ripiena di fichi secchi,
ricoperta da confettini multicolori, i pasticcieri palermitani
confezionano la cosiddetta pastaforte, "a cubbaita" di mandorle e miele
cotto, la preparano anche di “giuggiulena” il nome dialettale del
sesamo.
Ma a prevalere per il Natale per i
palermitani è la tradizionale “mustazzola”, durissimi dolcetti di
zucchero, farina e miele, dove nella parte biancastra vi è raffigurato
generalmente un bambinello dormiente, dolce che rievoca l’antica vivanda
“mustacca” che i romani mangiavano nella festa pagana del saturnalia, a
Palermo la forma più piccola come un bocconcino li chiamano nucatoli che
si mangiano il giorno dei morti.
Le nonne, rievocando vecchi tempi, hanno
preparato le sfinci specie di frittelle fritte e cosparse di zucchero e
miele.
Dopo il dolce si beveva solitamente un bicchierino di
marsala o di
rosolio, generalmente fatto in casa.
Abitualmente tra una pietanza e l’altra,
gli adulti, generalmente gli uomini giocano a carte, altri individui,
una volta preferivano i dadi, tutti si divertono con la “tummula” a
puntare scorse di mandarini e fagioli, altri occupano il tempo
sgranocchiando frutta secca “scaccio” atto ad essere schiacciato come
noci, mandorle e nocciuole, quest’ultimi i ragazzini di un tempo, li
utilizzavano per giocare a “paru e sparu” (lu jocu di li nuciddi) come
premio per la vincita.
E’ consuetudine, prima di recarsi alla partecipazione della messa
notturna, di scambiarsi i “doni”, quest’antica usanza rievoca momenti di
vita contadina quando le prime primizie venivano regalati ai padroni.
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