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Le suore benedettine
preparavano dei dolcetti di pasta di mandorle dalla forma bombata
denominati usualmente “fedde del cancelliere” per realizzarli si
utilizzavano delle apposite formine bivalve, che foderate dalla pasta
reale venivano farcite con crema d’uovo e marmellata di albicocche. |
"Frutti di Martorana"
La tradizione vuole che questi dolci derivano da antiche usanze pagane
che riproducevano il sesso femminile.
La pasta reale o pasta di
mandorle consentì alle monache della badia della “Martorana” di
realizzare i famosi frutti di
martorana,
regalati ai bambini il giorno del due novembre, con questo impasto
colorato di verde si realizzano gli involucri della cassata e cassatine,
minuscole cassate con la ciliegina al centro; la pasta reale modellata e
stesa in una sagoma di gesso si realizzano le pecorelle pasquali.
Ogni cucina di ogni monastero
possedeva di solito un corredo minimo ed indispensabile di attrezzi per
la confezione della pasticceria in genere, ma era l’utensile specifico
che serviva a preparare il dolce di cui erano specialisti ad non mancare
e perfezionare.
Un mortaio di rame o di pietra
serviva solitamente a pestare le spezie come la cannella per
aromatizzare i vari tipi di dolci, o la mandorla, le noci o le nocciole
per la confezione dei torroni o i ripieni per altri tipi di dolci.
I calchi di latta, o di zinco o di rame per modellare o le formelle di
terracotta o di gesso, stampini in legno con decorazioni, i tagliapasta
di latta a forma di fiori, cuori, stelle, cerchietti e motivi decorativi
vari.
Un altro utensile molto diffuso
era lo “sperone” che serviva per ritagliare la sfoglia di pasta,
realizzato in metallo, comunemente era il rame quello più pregiato.
La “siringa” con il pistone di
legno serviva per preparare i vari tipi di biscotti semplici o ricci, lo
sbattiuova erano di solito di fil di ferro, sostituito da una comune
“forchetta”.
Per infornare si utilizzavano i
“lanni” delle teglie di latta o zingate con l’orlo rilevato o ondulato
di diverse forme: circolare, quadrata o rettangolare.
Molti elementi decorativi dove è la fantasia che subentra sono
realizzate con le proprie mani come il semplice “impasto” o piccoli
utensili di uso quotidiano: con il coltello si incidevano i vari motivi
a “dente di lupo, a reticolo o diverse geometrie; con il ditale si
incidevano particolari decorazioni a puntini o l’estremità di una chiave
usata come punzone.
La cucuzzata (zuccata) è un
elemento che si ritrova in molti pasticciotti palermitani tra cui il
natalizio cuore di Gesù, la sua preparazione è molto complessa ed
elaborata, si ricava dalla zucca di tipo “lunga” o a “tromba”, ma anche
dalla buccia dell’anguria.
Tagliata a strisce sottilissime e lunghe la “cucuzzata”, le suore
creavano i famosi “capìddi d’àncilu” (capelli d’angelo) utilizzati per
guarnire.
Era una specialità che si preparava con particolare cura nel monastero
di Montevergine che le suore rivendevano ad altre comunità religiose per
preparare i loro dolci.
D’antica tradizione spagnola erano
le ottime “impanatiglia”, un impasto di pasta frolla da cui si
ricavavano piccoli dolcetti ripieni di carne, confezionate dalle mani
abili delle suore benedettine dell’Origlione.
Assai leggera era la crema del “biancomangiare”
abitualmente si dava ai bambini e agli ammalati, le suore del monastero
di S. Caterina erano molto rinomate per questo tipo di gelatina di pollo
realizzata con latte di mandorla e aromatizzata con cannella, nella
versione dolce e salata, dove il tutto doveva essere bianco come la
neve.
Le domenicane del S. Caterina
inoltre confezionavano una sorta di panino votivo dedicato alla Santa
d’antica tradizione, composto da un impasto composto da farina di
mandorle, zucchero e albumi d’uova battuti a neve, la pagnottella veniva
farcita da conserva di zucca, mandorle e aroma di cannella e vaniglia.
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