Distribuiti nei principali mercati, erano rigorosamente dislocati nei vari
quartieri della città murata e, si preoccupavano per la panificazione e la
vendita che era a prezzo calmierato, poiché era proibito panificare nelle
proprie case, ne facevano privilegio le comunità religiose e le famiglie
aristocratiche, ai fornai restava solo il compito di produrlo poiché loro
erano retribuiti dall’amministrazione pubblica.
Di questi forni se ne contavano trentotto in tutta la città ed era facile
individuarli, giacché la loro ubicazione si trovava in vie e vicoli
denominati per la connessa attività, dopo la loro scomparsa si mantengono
soltanto alcuni toponimi come: vicolo del forno ai maestri d’acqua e
vicolo del forno e via biscottai nel quartiere del palazzo reale.
In quest’ultima via la presenza dei forni era più numerosa, alla
panificazione, associavano la produzione di biscotti di vario genere molto
rinomati.
La loro produzione era accentrata in pezzature di forma relativamente comune
al pane che si confezionava in campagna e cotto nel forno a legna, il “vastidduni”,
preparato con farina integrale di grano duro di forma rotonda classica per
eccellenza dalla pezzatura di un chilogrammo o mezzo chilo, dal bronzeo
colore esterno con mollica spugnosa e gialla, che nelle tumultuose rivolte
dei secoli passati fu sempre preso come distintivo alla fame del popolo e,
da “carrineddi” dalla pezzatura da un quarto di chilo, per il suo valore
commerciale che era un “carrinu”, del tipo oggi detto “rimacinatu”.
Pane contadino o “pane di casa” che si conserva a lungo preparato una
volta la settimana, generalmente il sabato con un rituale esclusivo.
In tempi più moderni è stato rimpiazzato, quasi un ritorno al tradizionale
pane di casa cotto a legna, con il “pane di Monreale” che è venduto da
ambulanti per strada la domenica in specie a pagnotta e a “pistuluna”
(filone).
Si dovette aspettare la produzione di farina di grano tenero tipo 00
per i panificatori confezionare con arte nella quale si distinguono varie
forme di pane comune.